Il pensiero calcolante è sempre indietro rispetto al nostro umano andare, però ci opprime, è quella famosa “mente che mente” (la cita anche Brunori S.a.s. in una sua canzone!). In treno da Pisa a Firenze, dopo un viaggio in aereo da Catania a Pisa, rimango “sospeso” in Valdarno (secondo la mente che mente!), a Vaggio, a pochi chilometri dalla Pieve dove abito.
Mentre aspetto l’autobus a Figline, penso (la Mente!) che è scomodo abitare in una Pieve a pochi chilometri dalla stazione (“Sarebbe meglio abitare a Figline”, mi insinua la Mente!). Due ragazze mi guidano cortesemente nella ricerca dell’orario degli autobus, e una delle due, che scende a Vaggio, mi guida, camminando fino a casa sua, fino all’uscita del paese (mi conosce appena ma mostra una premura...rincuorante). Sta per iniziare a piovere, il tratto della strada che percorro è mezza interrotta perché stanno rinnovando l’asfaldo del manto stradale. Un operaio mi guida nella strada da poco asfaltata (sento sotto le suole l’asfalto da poco “raffreddato”). E’ scettico, l’operaio, sulla possibilità che io trovi un passaggio. Dopo pochi metri temo di bagnarmi (piove sempre di più) ma ecco che si ferma una donna: magra, capelli corti e occhiali, la riconosco: Barbara! “Ci eravamo visti all’incontro di letture due settimane fa a Faella”, escamo io. E lei annuisce. Quando arrivo all’incrocio, mancano meno di 2 Km per arrivare alla Pieve, penso alla Mente che mi opprimeva. E penso che quello che mi preoccupava (troverò un passaggio? Mi bagnerò? Quanto tempo aspetterò? Sarò stanco perché sveglio da prima dell’alba per prendere l’aereo…) mi ha salvato...dal trauma della… velocità o dal jet leg! Quando abitavo a Perugia, tornando da viaggi simili, per vacanza o tournée, sentivo una solitudine “pietrosa”, un isolamento violento, perché passavo dalla stazione dei treni al mio appartamento in pochi minuti. Mi mancava un “passaggio”: da un mondo a un altro, da un paesaggio (anche umano) a un altro, cosa che non mi è mancata oggi: oltre a Barbara, mi ha dato un altro passaggio un certo Gianluca, di Piandiscò, che era stato nella Locride ai tempi del vescovo Bregantini, stessi luoghi in cui è ambientato il mio libro Eremo e laura. Poi mi ha dato un ultimo passaggio un altro di cui non ricordo il nome, però nella prima parte della salita ho camminato a piedi, e ho sentito le foglie gialle di alcuni alberi sul lato della strada, piovermi addosso, come per salutarmie accogliermi. Mi vengono in mente le parole di Chandra Candiani, ascoltate tre giorni fa su Radio tre, nella rubrica Uomini e profeti: “A volte mi sembra che il mondo sia fuori dal mondo, e non chi vive ritirato”. Insomma, la ricetta è sempre quella: piedi sulla terra che avanzano, aspettando un incontro inatteso, come dice la canzone Grazie nudità, che ho scritto un anno fa, ancora inedita. Aspettando con fiducia, affidamento, non passivamente e senza andare incontro (“Vai incontro all’altro, solo se perdi la corazza, se togli la maschera, se togli la chiusura”, dice una strofa di quella canzone). A casa trovo un po' di riviste e libri che mi sono arrivati nei giorni in cui non c’ero. C’è anche la rivista Oreundici. A pag. 32 c’è questa poesia di Piero Martinengo dal titolo:
ANCORA E SEMPRE
Ancora e sempre…
meraviglia
sta lì,
nell’incontro
fra casualità e bellezza.
Appena sussurrato da conquista.