I gruppi misti di ebrei e palestinesi in Israele e le loro relazioni in Europa e nel mondo. Una cronaca dei fatti e la loro sempre più drammatica intensificazione.

Prendiamo una cronaca recente di quanto avviene: il 10 ottobre, 3 giorni dopo il primo anniversario della guerra, il 7 ottobre 2023. Il giorno in cui viene annunciato che l’esercito israeliano ha sparato contro il contingente Unifil nel sud del Libano con la presenza di militari italiani.
(La decisione da parte del governo israeliano di attuare i bombardamenti in Libano alla fine di settembre procede a ritmi incessanti, il culmine dei quali per ora non è solo l’attacco alle rampe di lancio dei missili di Hetzbollah nelle zone di confine con Israele e nella valle della Bekaa, la fertile vallata ad est di Beirut a poche miglia dal confine siriano, ma sono i bombardamenti nelle zone di Beirut dove l’organizzazione Hetzbollah ha le sue sedi.
Gli omicidi mirati hanno raggiunto il culmine con il pesantissimo bombardamento a Dahiyeh nella zona sud della capitale dove lo sceicco Nasrallah ha trovato la morte. Questo è quanto avviene dopo che il braccio armato del “Partito di Dio” ha cominciato a lanciare missili sul territorio israeliano fin dall’8 ottobre, ad un solo giorno dal massacro perpetrato da Hamas contro 1200 persone dei kibbutzim e del concerto giovanile rave nel sud di Israele, quasi tutti civili di tutte le età, il ferimento di 3.300 persone e il rapimento di 251 ostaggi con le brutalità avvenute contro le donne e i bambini. Solo 120 di essi possono essere ancora vivi. Ora i razzi colpiscono due grandi citta israeliane: Haifa e Tiberiade.
Ciò ha fatto sì che almeno 60mila civili israeliani, dei 200mila sfollati complessivi, abbiano dovuto lasciare le loro abitazioni nelle zone di confine con il Libano.
E’ evidente che il culmine del dramma è ormai nel Libano, anche se le operazioni militari a Gaza e soprattutto nel nord continuano con vittime palestinesi civili giornaliere e una dura ostruzione degli aiuti umanitari. Nel paese dei cedri la popolazione civile scappa di fronte agli ultimatum dell’esercito israeliano, che dichiara di non voler colpire la popolazione libanese, ma questa popolazione si trova già dopo 20 giorni circa in un’emergenza umanitaria con un milione e 200mila sfollati, 2000 persone uccise (tra miliziani e civili), di cui 221 donne e 127 bambini ( Fonte: Ministero della Salute a Beirut, ripreso da BBC News, 7 ottobre).
Tutto ciò avviene in un crescendo di attacchi e risposte, compresa l’operazione di terra che il governo israeliano ha deciso di cominciare dal primo ottobre.
I fronti aperti sono molteplici e danno atto di un processo di aggravamento del conflitto che si configura come senza sbocco, come per Gaza,, è un’ecatombe per la popolazione civile. Secondo il Ministero della salute di Gaza, controllato da Hamas, siamo arrivati a 42.065 palestinesi uccisi e 97.886 feriti dall’inizio della guerra, bambini e donne i più colpiti.
Infine, come dicevo in apertura, nella postazione Unifil dell’ONU lungo la linea blu nel sud del Libano, con la presenza di mille militari italiani ci sono stati due feriti tra i caschi blu. Il Ministro della difesa Guido Crosetto ha protestato contro questa violazione del diritto internazionale (gli spari al Contingente Onu si sono ripetuti anche il giorno dopo).

RIFLESSIONI e INFORMAZIONI POCO NOTE
Chi non ha dimenticato la condizione palestinese.

(Nella foto sulla sinistra: I partecipanti ai seminari tenuti dalla Scuola di pace Névé Shalom-Wahat as Salam su: "Agenti di cambiamento nelle società miste")

Nella notte del 27 ottobre è scattata la risposta israeliana al bombardamento dei 180 missili lanciati dall’Iran sulle città israeliane il primo ottobre. 4 soldati morti e limitati obiettivi militari sono stati colpiti. L’estrema destra protesta, voleva più sangue e la stessa posizione ha scandalosamente espresso uno dei leader dell’opposizione Yair Lapid del partito Yesh Atid (C’è un futuro). Nella quotidiana rassegna stampa internazionale di Radio tre mondo e nelle newsletter ad essa collegata è prassi confrontare testate di diverso orientamento per avvicinarsi alla realtà dei fatti. Quindi le fonti a cui attingo spaziano dal canale televisivo in Libano Al Mayadeen vicino ad Hamas, alla testata storica libanese indipendente in lingua francese L’Orient le jour fino alla testata qatarina Al Jazeera e a Palestine News Network. All’interno di Israele possiamo confrontare quanto scrive Haaretz con altri giornali di orientamenti diversi come Times of Israel, Jerusalem Post fino al quotidiano più vicino al governo Yediot Ahronoth (“Ultime notizie”).
Il quotidiano Haaretz ogni giorno pubblica un riassunto molto accurato di quanto avviene sul campo e delle principali notizie che riguardano l’andamento del conflitto, attingendo anche a fonti di informazione di sua fiducia che ha coltivato nei molti decenni di attività giornalistica.
Un esempio: I missili di Hetzbollah hanno preso di mira anche le cittadine arabe nel nord di Israele come Kafr Manda e Sakhnin con i loro 55 mila abitanti. Hetzbollah ha affermato che a Sakhnin ci sia una base militare israeliana. Il conduttore palestinese, cittadino israeliano Rajaa Knaaneh del programma televisivo “The other side”, che trasmette in Israele, ha voluto dire ad Hamas e ai suoi canali televisivi e di stampa che non c’è alcuna base militare nella città. Altre città a grande maggioranza araba nel nord di Israele, nella bassa Galilea, sono state colpite dai missili di Hetzbollah. Per le milizie di Hetzbollah ed Hamas i palestinesi, cittadini di Israele, vengono assimilati talvolta ai “coloni israeliani” e in certi casi vengono considerati dei traditori (vedi articolo su Haaretz Targeted by Hezbollah Missiles, Palestinians in Israel Are Accused of Being 'Israeli Settlers' - Israel News - Haaretz.com)
Accade anche che gli ebrei israeliani, che da anni si battono per la difesa dei diritti umani e sociali dei palestinesi, come anche le persone appartenenti alle diverse comunità ebraiche nel mondo fuori da Israele, che fanno iniziative assieme ai palestinesi, vengano tacciati pubblicamente di collaborazione con il nemico dai membri delle destre estreme in Israele.
Non va dimenticato che il carattere democratico e binazionale di Israele contenuto nella Dichiarazione di indipendenza del 1948, dove la lingua araba figurava come lingua ufficiale al pari dell’ebraico, è stato infranto il 18 luglio 2018 con l’approvazione, da parte del quinto governo Netanyahu, di una Legge fondamentale, passata alla Knesset di misura, che definiva per la prima volta Israele come la casa nazionale del popolo ebraico, con l’aggiunta di un’espressa finalità di sviluppare gli insediamenti ebraici come valore nazionale. Questa svolta ha conseguenze dirette anche sui quasi 2 milioni di cittadini israeliani palestinesi e accentua una tendenza etno-nazionalista dello Stato che vede questa popolazione più come un fastidio che un’occasione pratica di convivenza.
Oggi il conflitto armato diffuso ha raggiunto livelli così intensi, per nulla paragonabili al lancio di qualche missile scud su Israele dall’Iraq di Saddam Hussein nel 1990 nella prima guerra del Golfo.
La Terra santa è una "terra stretta”, occorre ricordare che dal Giordano al mare l’intera area è di di 27mila Kmq complessivi (poco meno della Lombardia): in 21mila kmq vivono quasi 10 milioni di israeliani, nei restanti 6mila kmq vivono poco più di 3 milioni di palestinesi e circa 650mila coloni israeliani, A Gaza in soli 365 Kmq vivono ora poco più di 2 milioni di palestinesi. Una densità abitativa tra le più alte al mondo.
Il cosiddetto Patto di Abramo, stipulato dalle monarchie arabe degli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein con Netanyahu per Israele, firmatario Donald Trump nel settembre 2020 prevedeva una annessione di circa il 30% dei Territori della Cisgiordania. Così veniva incapsulata e congelata la questione palestinese.
Naturalmente l’Autorità palestinese, Hamas e le diverse formazioni erano contrarie. Ma qui desidero ricordare la posizione di due artisti ebrei che nella loro attività hanno cercato di immedesimarsi nell’altro e su questa base hanno svolto la loro opera di artisti, nella letteratura e nella musica in collaborazione con parti contrapposte.
Lo scrittore israeliano David Grossman, i cui romanzi sono stati formativi per molti, all’indomani del Patto di Abramo, pur considerando positivo il riconoscimento dello Stato di Israele da parte di Qatar, Marocco ed Emirati arabi uniti, considerava quel Patto un trattato di pace tra ricchi. “La vera pace è quella che tocca la vita della gente comune, di quella abbiamo bisogno, la pace tra noi e la Palestina, i nostri vicini”. Giugno 2021: https://www.doppiozero.com/david-grossman-la-paura-e-la-pace
Vale la pena anche oggi ricordare che nel suo libro-inchiesta, Il vento giallo, (dicembre 1987) lui aveva provato a mettersi nei panni dei giovani palestinesi dei Territori, che di lì a poco avrebbero dato vita al moto spontaneo della prima Intifada, non previsto dall’OLP che aveva base a Tunisi. Aveva anche provato a confrontare il suo modo di leggere la Torah con i “coloni” messianici israeliani (il gruppo Gush Emunim) per vedere quanto distante fosse la sua interpretazione dai letteralisti della Torah che cadevano nell’idolatria della terra. (https://www.cittafutura.al.it/sito/david-grossman-labisso-israele/)
Ma come dice Gad Lerner nel suo libro "Gaza. Odio e amore per Israele" (Feltrinelli, 2024) David Grossman non è stato ascoltato.
Anche il pianista direttore d’orchestra Daniel Barenboim, cittadino israeliano e palestinese, oltre che argentino e spagnolo, fondatore assieme allo studioso palestinese Edward Said della West Eastern Divan Orchestra composta da musicisti palestinesi, ebrei israeliani, libanesi, giordani, egiziani, fondata nel 1999 e che in varie riprese si è esibita nel Conservatorio di Ramallah. Più volte ha ribadito nei suoi interventi che suonare insieme tra cosiddetti nemici non è ancora la pace, ma ci indica una pista di lavoro comune che ispira le molte iniziative miste di collaborazione in alternativa alla cosiddetta “soluzione militare” che continua a definire illusoria e portatrice di sofferenze e odio. (25 Years West-Eastern Divan Orchestra - West-Eastern Divan Orchestra).

Il vicolo cieco della guerra senza fine e il campo di azione dei gruppi misti
(dida foto sulla sinistra: Manar Qaedan, artista israelo-palestinese, membro della leadership di “Standing Together”)

Una prima evidente considerazione è che da un anno a questa parte nessuna delle popolazioni coinvolte nel conflitto si sente più sicura o prossima a una cosiddetta vittoria. Le popolazioni civili continuano a pagare un prezzo altissimo, in misura assai maggiore le popolazioni palestinesi di Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme est e ora la popolazione libanese. Ma anche la guerra a Gaza, le operazioni militari in Libano, in Siria, gli attentati in Iran e nelle sue ambasciate, non riescono a guarire la ferita che la popolazione ebraica in Israele e altrove ha subito nel massacro del 7 ottobre, che evocava quanto accaduto in Europa nel periodo che procedette la Shoah. 
Le destre israeliane al governo, le milizie di Hamas ed Hetzbollah, l’Iran degli Ayatollah, gli Outhi dello Yemen sono uniti nella reciproca soddisfazione per la soluzione militare ed esercitano vere e proprie rivalità mimetiche.
Desidero qui fornire elementi sulle idee e le attività di quei gruppi misti, arabi ed ebrei, che in Israele operano da anni per la difesa dei diritti umani e la denuncia delle violazioni nei Territori occupati della Cisgiordania, a Gerusalemme est e a Gaza. (About Us | standing-together)

Si tratta di gruppi consolidati e “storici” e anche di gruppi di più recente formazione, che non hanno mai voluto rimuovere la questione palestinese. Essi ritengono che una vera e concreta pace in quel fazzoletto di terra che va dal Giordano al mare può essere raggiunto se tutti gli attori locali ed internazionali vogliono veramente affrontare la questione.  
Uno di questi è il gruppo misto In Piedi Insieme! Standing together! (in ebraico ed arabo: Omdim Beyahad, Naqef ma’an). Una formazione che esiste da dieci anni e che ha lanciato campagne molto importanti che illustrerò più avanti. Nel loro sito si esprimono così: “Le destre al governo di Israele e le milizie di Hamas ed Hetzbollah si nutrono a vicenda e si giustificano a vicenda nella loro fede nelle armi: le destre vogliono ridurre drasticamente la presenza palestinese nei Territori e a Gaza, le milizie ribadiscono l’obiettivo della distruzione di Israele.
Sono proprio gli esponenti dei gruppi misti che denunciano da testimoni oculari che gran parte delle città a maggioranza arabo israeliana del nord di Israele non dispongono di rifugi idonei, poiché le case risalgono a decine di anni fa. Rula Daood, coordinatrice nazionale di Standing together proviene dal villaggio arabo nel nord in Israele Kfar Yasif, dove vivono i suoi genitori. “I razzi di Hetzbollah colpiscono il villaggio e non ci sono rifugi nelle case, né rifugi pubblici. Quando suonano le sirene le persone si rifugiano sulle scale, lontani dalle finestre”.
E anche Manar Qaedan, artista palestinese israeliana, membro della leadership di Standing together di Netanya, cittadina del centro nord tra Tel Aviv e Haifa dice:“i rifugi pubblici sono prevalentemente nelle grandi città, di solito collocati nei pressi dei quartieri ebraici. Solo le case di recente costruzione dispongono di rifugi privati”. In sostanza è più probabile che i missili e i droni di Hetzbollah provenienti dal Libano e i missili  dell’Iran facciano più vittime tra la popolazione araba in Israele. Paradosso della cecità della guerra! 

Nonostante il flusso vorticoso del conflitto, dei conflitti che rende difficoltosa una riflessione, torniamo al periodo tra la fine di agosto e i primi di settembre, Possiamo vedere che all’interno della società israeliana, delle sue organizzazioni della società civile, dei suoi gruppi misti, ebrei e palestinesi insieme, la mobilitazione aveva raggiunto una forza notevole.
A metà agosto ventuno organizzazioni non governative, ovvero gruppi misti in Israele hanno presentato il Report: Lo stato dell'occupazione, una pubblicazione annuale, che quest'anno è stata presentata coralmente evidenziando più delle volte passate il lavoro coordinato dei diversi gruppi misti a partire dall'organizzazione storica B't Selem (nome che significa A immagine e somiglianza del Signore dal versetto del primo libro della Torah: Bereshit/ Genesi, 1, 27) - (https://www.btselem.org/about_btselem)

(Nella foto sulla sinistra:  opera di Manar Qaedan - Senza titolo, dipinto con spray e acrilico su carta, 70*100, anno 2019). 

Tra le numerose organizzazioni firmatarie figurano Peace Now, Gisha ( “Accesso”, gruppo che si batte per la libertà di movimento dei palestinesi nei e fuori dai Territori occupati) Legal Center for Freedom of Movement, Phisicians for Human Rights, Yesh Din ( Volontari per i diritti umani) e Rabbis for Human Rights. In questo campo si distingue anche il gruppo Mesarvot che coordina gli obiettori di coscienza, i refusenik, che si rifiutano di combattere nei Territori occupati, a Gaza e in Libano. Quest’estate vi erano gli obiettori Tal Mitnik, la giovane Elda Keldar e Ariel Davidov che ad intermittenza venivano incarcerati e poi rilasciati. (Nella seconda metà di ottobre una coppia di loro compagni obiettori Sofia Orr e Daniel Mizrahi hanno compiuto un tour in Italia, organizzato dal Movimento nonviolento, con una coppia di giovani donne palestinesi, Aisha Omar e Tarteel Al-Junaidi che operano nei Territori occupati).
Sottolineo la presenza e l’attività del già citato gruppo misto “In Piedi Insieme! Standing together! Una formazione che esiste da dieci anni e che ha lanciato campagne molto importanti come quella chiamata: Humanitarian Guards. Essa si è data l’obiettivo dell’allestimento di almeno 400 camion, dall’inizio del conflitto, preparati dalla popolazione di arabi israeliani assieme agli ebrei israeliani per portare aiuti concreti e necessari alla popolazione di Gaza.

(Nella foto sulla sinistra: Maya Ganga Ofer Agdeba, responsabile del Dipartimento studentesco di Standing together, zona di Haifa)

La giovane ebrea israeliana Maya Ganga Ofer Agdeba, appartenente allo Staff dell’organizzazione dedicato agli studenti dell’area di Haifa, nell’intervista a me rilasciata, si esprime così: “ La nostra organizzazione vuole affermare e proteggere i diritti umani dei “cosiddetti nemici”, i palestinesi, scortando i camion che portano viveri, materiale sanitario, aiuti umanitari alla gente di Gaza, ai bambini, alle donne. Lo abbiamo fatto fin dalla primavera scorsa. I gruppi dell’estrema destra dei coloni tentano di ostacolare le nostre azioni, gettando via i viveri che abbiamo raccolto. Abbiamo rimesso i viveri a posto. Ci vedevano determinati e abbiamo interpellato la polizia richiamandola al dovere di far rispettare la decisione di invio dei sostegni umanitari, ma si mostravano piuttosto acquiescenti nei confronti dell’arroganza dei coloni. Abbiamo resistito con mezzi nonviolenti fino a che i coloni si sono ritirati. La prima volta è successo al check-point di Tarqumiya nella Cisgiordania in Aprile e poi in altri punti di Israele”. Con questa campagna coordinata hanno dato un messaggio di speranza a tutta la popolazione diffondendo video e foto, con l’uso sapiente a livello nazionale e internazionale delle reti sociali, di questi atti organizzati di solidarietà.
Anche nelle scuole miste bilingue ebraiche e arabo-palestinesi si sono svolte importanti attività. Il Villaggio Névé Shalom-Wahat as Salam (Oasi di pace) e in particolare la Scuola di Pace ha organizzato dei seminari nelle università sul tema: Agenti di cambiamento nelle città miste. 
Anche se sappiamo che a settembre il governo israeliano ha di nuovo fortemente rallentato l’arrivo di convogli umanitari nella Striscia di Gaza, suscitando la assai tardiva presa di posizione del segretario di Stato americano Antony Blinken del 16 ottobre nella quale ha chiesto al Governo israeliano di aprire i valichi agli aiuti umanitari entro 30 giorni, avvertendo che, in caso contrario, ci sarebbero tagli alle forniture militari.
Sotto la spinta tenace del Coordinamento dei parenti degli ostaggi, “Bring them all back now” di quelli liberati, dei già defunti, di quelli che ancora probabilmente sono nelle mani di Hamas (la stima è di 121 persone) il paese aveva visto dalla primavera all’estate una mobilitazione straordinaria di milioni di persone, sui quasi dieci milioni di abitanti. L’obiettivo del cessate il fuoco come precondizione per aprire le trattative per la liberazione degli ostaggi raccoglieva un consenso altissimo nella società israeliana, ma il governo si opponeva a ciò: “Nessun cessate il fuoco se ciò comporta l’abbandono del corridoio Filadelfia”.
La constatazione che l'uccisione dei sei ostaggi da parte di Hamas è avvenuta pochi giorni prima di domenica 1 settembre, giorno della diffusione della notizia, ha incendiato di sdegno una grande parte della popolazione israeliana, che ha intensificato la mobilitazione su spinta dell'instancabile coordinamento dei parenti degli ostaggi, “Bring them all back now” . Ad esso si sono unite le organizzazioni della società civile, alcune delle quali di tipo misto, binazionale. La mano dura della polizia si è fatta sentire come mai prima d'ora sulla popolazione israeliana: uso di bombe detonanti, esplosione di bombe di acqua fetida, strumenti repressivi che venivano usati contro le manifestazioni palestinesi, mai contro il proprio popolo in movimento. Il sindacato principale in Israele Histadrut ha quindi indetto per lunedì 2 settembre lo sciopero generale!
Milioni di persone si sono riversate nelle piazze di Israele.
Il quotidiano Ha Haretz ha diffuso il 3 settembre nella rubrica quotidiana “Israel at war” la dichiarazione di un funzionario del governo israeliano che sostiene che Nethanyahu sapeva che gli ostaggi sarebbero stati uccisi prima di un'eventuale incursione dell'esercito per liberarli. Solo un accordo sul cessate il fuoco li poteva salvare!
A quel punto il governo Netanyahu ha avvertito forte la pressione della società civile, dei partiti dell’opposizione in controtendenza alle sue posizioni condivise dalle destre estreme che tengono in vita per poco più di quattro voti il suo governo.
Egli ha quindi diffuso la voce che Hamas avrebbe fatto uscire da Gaza gli ostaggi attraverso il corridoio Filadelfia, per giustificare il suo rifiuto del cessate il fuoco! Una eventualità senza fondamento secondo quanto riportato da un servizio di Haaretz.
Ma di fronte a tali pressioni, la svolta che il governo delle destre estreme ha impresso è stata l’apertura del fronte libanese, uno spostamento di fronte e di attenzione mediatica. In questo modo l’obiettivo ampiamente condiviso del cessate il fuoco e della della liberazione degli ostaggi sopravvissuti è stato accantonato e l’attenzione si è spostata su Hetzbollah e il suo lancio incessante di missili - fatto reale e pesante soprattutto per la popolazione del nord di Israele - ma che hanno colpito anche Haifa (città con una presenza palestinese israeliana notevole) e Tel Aviv. Come dicevamo in apertura le vittime più esposte a questi attacchi sono paradossalmente le popolazioni palestinesi in Israele. Così è passato il rifiuto del “cessate il fuoco” da parte del governo e così anche da parte di Hamas. Un altro esempio chiaro di rivalità mimetica tra i contendenti. In questo contesto sono continuati i bombardamenti dell’esercito israeliano a Gaza, soprattutto al nord e ora si sa che gli arrivi dei convogli di aiuti sono stati ampiamente rallentati.

La scelta di campo della società civile in Europa
Con le argomentazioni che seguono diventa sempre più urgente saper scegliere tra questi movimenti misti che operano all’interno di Israele, possibili e potenziali soggetti politici che richiedono un forte sostegno dai movimenti pacifisti a livello internazionale, e il cosiddetto “asse della resistenza” costituito dalle milizie di Hamas ed Hetzbollah, dal regime degli Ayatollah iraniani, dagli Outhi dello Yemen.
Questo asse della resistenza riscuote purtroppo un certo credito in quell’ala, che ruota attorno al movimento pacifista, che si definisce anti-imperialista, anti-sionista ( Giovani palestinesi, Radio Onda d’Urto, alcuni Centri sociali) che identifica Israele come un blocco monolitico, costituito dall’attuale governo di estrema destra. Tale governo riscuote simpatie e collaborazione, con alcune tenui riserve, dai governi di destra in Europa, a partire dal governo italiano, che si astenne il 13 dicembre 2023 sulla Risoluzione approvata dall’Assemblea dell’Onu di cessate il fuoco (153 favorevoli, 23 astenuti, 10 contrari).
Il primo di ottobre alle ore 19 circa ora israeliana ero collegato con Manar Qaedan, la già citata artista palestinese del gruppo misto Standing together! Abbiamo dovuto interrompere l’intervista per il suono delle sirene: erano in arrivo i 180 missili balistici dall’Iran diretti al sud e al centro, quest’ultima la zona più popolosa di Israele, dove lei risiede, a Netanya, poco più a nord di Tel Aviv/Jaffa nell’area chiamata “triangolo Sharon”.
Come affermato nella prima parte dell’articolo sia l’attuale governo israeliano, sia “l’Asse della resistenza” si nutrono di una medesima finalità: la distruzione dell’avversario in una guerra senza fine. Per questi ultimi è prioritario l’obiettivo tutto militare di fiaccare la superiorità bellica di Israele trascurando così l’enorme crescita delle già spaventose sofferenze che verrebbero inflitte alla popolazione civile soprattutto palestinese e libanese ed anche israeliana, sia palestinese, sia ebraica. Questo enorme tributo di sangue viene sacralizzato con l’espressione attinta dal vocabolario religioso del martirio.
E sul piano della diplomazia ufficiale, che riprende ora dopo il fallimento dell’agosto scorso, gli Stati Uniti guidano le trattative a Doha e al Cairo con gli altri Stati: Egitto, Qatar e Israele. Su queste trattative hanno pesato le contraddizioni del continuo rifornimento di bombe da parte degli Stati Uniti ad Israele ( non solo di sistemi di intercettazione antimissili). Quelle bombe vengono utilizzate per colpire i civili a Gaza e in Libano. Tra luglio ed agosto nel pieno delle trattative l’amministrazione americana accordava rifornimenti militari per 18 miliardi di dollari: 1800 bombe da 900 Kg. e 1700 da 225 kg oltre ai dispositivi per la contraerea. (Fonte: Times of Israel, 11 luglio). Anche la Federazione russa fornisce armi all'Iran ( sottoposto a sanzioni da Stati Uniti, Europa ed altri) in materiali di difesa aerea, razzi S-300 e radar.
(Fonte Ansa, 6 Agosto su dichiarazione di un membro iraniano dei Guardiani della rivoluzione al New York Times). L'ombra del conflitto aperto in Europa lascia la sua impronta anche sul tavolo delle trattative nel conflitto mediorientale. Da qui si possono capire i limitati risultati ottenuti dal tavolo diplomatico: 105 ostaggi liberati dei 250 rapiti nell’unica breve tregua del novembre 2023 e la liberazione di numerose decine di detenuti palestinesi. Alcuni paesi europei come la Spagna e il Regno Unito già nell’estate avevano espresso dissenso verso le forniture ad Israele prima del recente, già citato, tardivo avvertimento statunitense del 16 ottobre di riduzione dei rifornimenti a Israele. L’Italia è attualmente il terzo fornitore di armi al Governo Netanyahu.
Il dato desolante e paradossale è che la denuncia di un caso di poliomielite a Gaza ha almeno costretto le parti a concordare una pausa umanitaria, quando la diplomazia ufficiale non era riuscita a raggiungere un obiettivo simile. Israele e Hamas hanno rispettato una pausa umanitaria di 10 ore in settembre, rinnovata in ottobre ed è giunto ai primi di novembre l’annuncio dell’avvio di una terza fase delle vaccinazioni. Se i bambini del centro e del sud della Striscia sono stati in gran parte vaccinati, al nord dove sono concentrate le operazioni militari dell’esercito israeliano non può ancora cominciare il secondo ciclo. Restano scoperti almeno 15 mila bambini e gli sfollati che convergono verso il centro della Striscia, verso Gaza City, dove le somministrazioni possono svolgersi.

Linee di azione dei gruppi misti: alternativa alla mutua distruzione dei popoli che vivono dal Giordano al mare.
Come ricordato sopra nel paragrafo che ricostruisce lo scenario del settembre scorso in cui la società civile israeliana ha messo in difficoltà il governo, il cambio di scenario con l’apertura del fronte libanese ha posto in ombra ciò che continua ad avvenire a Gaza, in particolare nelle zone del nord come a Jabalya. I bombardamenti massivi per colpire anche un solo membro di Hamas semina morti e genera migliaia di sfollati. Ciò si somma alle restrizioni dell’entrata di aiuti umanitari soprattutto in questa zona del nord. Tutto ciò si configura come un crimine di massa da parte dell’esercito israeliano. Il sito della BBC riporta un’importante intervista a Eran Etzion, un israeliano ex deputato e Vice Capo del Consiglio di Sicurezza nazionale. Ha collaborato in passato con quattro primi ministri e non ha risparmiato critiche puntuali al primo ministro Netanyahu. A chiare lettere dichiara: “ Le Forze di Difesa israeliane potrebbero commettere crimini di guerra in questa situazione e devono rifiutare di eseguire gli ordini che infrangono il diritto internazionale, come lo spostamento forzato della popolazione civile e l’ostruzione dell’approvvigionamento di viveri alla popolazione palestinese.”.
Sempre nello stesso lungo articolo uno dei più importanti avvocati britannici per i crimini di guerra, il professor Philippe Sands KC, ha affermato che mentre Israele aveva il diritto all'autodifesa dopo gli attacchi del 7 ottobre, ora sta violando il diritto internazionale. Quindi la Corte Internazionale per i crimini di guerra conferma il mandato di arresto per Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant. Anche a tre leader di Hamas, Yehiya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh era stato spiccato un mandato di cattura per essere responsabili del massacro del 7 ottobre. I primi due sono stati uccisi da operazioni mirate delle forze israeliane, l’omicidio di Ismail Hanieh non è stato rivendicato dall’IDF (Sito BBC, l’inviato speciale Fergal Keane).
I soldati dell'IDF dovrebbero rifiutare gli ordini che potrebbero essere crimini di guerra, dice alla BBC l'ex consigliere per la sicurezza israeliano  https://www.haaretz.com/israel-news/2024-11-01/ty-article/.premium/black-flags-and-war-crimes-should-israeli-soldiers-in-gaza-refuse-to-obey-orders/00000192-e693-d61b-adb7-fe937f170000
In questa situazione in ottobre sono diventati 130 i riservisti dell’esercito israeliano che hanno opposto il loro rifiuto fin dall’aprile scorso a partecipare alle operazioni militari a Gaza ed in particolare nel nord poiché violano deliberatamente i diritti umani fondamentali di protezione della popolazione civile palestinese, trascurano gli sforzi per un accordo sui 121 ostaggi (secondo le stime) ancora nelle mani di Hamas che possono essere ottenuti attraverso un accordo di cessate il fuoco.
Vedi dal quotidiano “Avvenire” I 130 che hanno detto «signornò» perché «questa non è più guerra di difesa».
(Link Instagram di Standing together: le manifestazioni del 3 novembre a Tel Aviv per informare sui bombardamenti al Nord di Gaza e le violazioni del diritto internazionale, https://www.instagram.com/reel/DB4ngkEN1bk/?igsh=em05a2hnMXVzam9s)
E’ necessario informare su un avvenimento che non ha avuto il necessario risalto sui media italiani la Conferenza organizzata dal quotidiano Ha Haretz a Londra il 27 ottobre dal titolo: Israele dopo il 7 ottobre: alleato o solo? Questo incontro ha visto la partecipazione della Comunità ebraica del centro di Londra JW3, Il Fondo Nuova Israele nel Regno Unito che incoraggia e finanzia le attività miste che rafforzano i legami tra palestinesi ed ebrei, l’organizzazione A Land for All e Yachad (significa: relazione, condivisione). A questo incontro erano presenti alcune rappresentanti del gruppo misto Standing together. Rilevante è il fatto che in quell’incontro l’ex primo ministro di Israele Ehud Olmert e l’ex ministro dell’Autorità palestinese Nasser al-Kidwa, due persone di grande esperienza, hanno dimostrato di voler unire le loro forze per immaginare un’uscita da questa guerra senza fine.
Essi sono impegnati in un paziente e tenace lavoro comune di ridefinizione dei confini dei Territori palestinesi e di Israele.
Gli obiettivi sui quali stanno lavorando sono: rilancio dell’opzione dei due Stati, immediato cessate il fuoco a Gaza con ritiro totale dell’esercito israeliano.
Rilascio di tutti gli ostaggi prigionieri di Hamas in cambio della liberazione di un numero congruo di palestinesi detenuti in Israele. Creazione di un corridoio che unisca la Cisgiordania a Gaza.
Questa area politica, che ancora non è giunta al livello della costituzione di un soggetto politico coordinato, merita un’attenzione ben maggiore e dovrebbe essere conosciuta e anche sostenuta dal più largo movimento pacifista che svolge il ruolo prezioso di “ terza parte” in un conflitto costellato da decenni di sofferenze privato di una prospettiva di convivenza tra le popolazioni che abitano quel territorio.

L'autore
Lorenzo Porta, docente di scienze umane e filosofia nei licei fiorentini. Da anni svolge attività di informazione e sostegno ai gruppi misti di ebrei e arabi. Nel corso degli anni ha contribuito agli incontri di gruppi di studenti provenienti dalla scuola bilingue Névé Shalom/Wahat as Salam (“Oasi di pace” in lingua ebraica e araba) con studenti italiani. Ha pubblicato articoli su questi temi sulla Rivista “Azione nonviolenta”, “Keshet” ( Arcobaleno) e “Mosaico di Pace”. Iscritto al Movimento nonviolento.
E' coordinatore del Centro di Documentazione sociale per la nonviolenza e i diritti umani (CEDAS).


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