È meno lontano di quanto si creda. L’altro mondo è a portata di volo, anzi di crisi. Un mondo umanitario fatto su misura come i pret à porter dei negozi alla buona che si trovano nei quartieri della città.

Le guerre e il terrorismo in prima battuta, col noto corteo di rifugiati e profughi, sfollati e coloro che si spostano all’interno del Paese (acronimo in inglese IDP, Internally Displaced People). Ognuno è oggetto di classifica, contato, categorizzato, assistito e soprattutto controllato. Ridotto ad un dossier, un numero, un luogo e un’amministrazione. Le sedi delle ONG si delocalizzano a seconda delle circostanze, cambiano di sigla, di colore, di area di parcheggio protetto, di progetto a seconda delle necessità e soprattutto dei fondi. Cambiano anche i volontari e si fermano quanto basta per metterci una pezza e poi sperare che accada qualcosa di nuovo. Le alluvioni, le carestie, le migrazioni, le frontiere che si spostano a seconda dei venti, il consolidamento della pace, la gestione della ‘bomba’demografia, la violenza contro le donne e i matrimoni precoci. Questo e molto altro rendono il mondo umanitario sostenibile e soprattutto redditizio. Provare per credere. Un mondo altro con tanto di riduzione se comprato all’ingrosso. La politica ha da tempo precettato l’umanitario. Ciò per continuare l’opera di demolizione e di spogliamento dei piani di distruzione strutturale della Banca Mondiale e il Fondo Monetario che di Internazionale ha solo il nome. Gli accordi sono commerciali e le pesche di beneficenza si creano per mandare i figli a scuola. Nascono le adozioni a distanza con le foto ricordo e gli auguri di capodanno. Nel paese si organizzano (e) lezioni mirate a scongiurare le malattie perché di ospedale si muore spesso. Formazioni professionali per coloro che vorrebbe imparare il mestiere di vivere e viaggi all’estero per i ricercatori universatori. I figli dei potenti, intanto, frequentano le scuole straniere pensate per imbrogliare il potere. In parte grazie alle ONG che diluiscono l’antagonismo di classe e banalizzano l’abisso delle ingiustizie sociali. Non casualmente le guerre diventano umanitarie e le ONG aiutano gli stati a ridurre le violenze e a curare le ferite da essi provocate.
Prendiamo ad esempio il controllo dei migranti. Le frontiere esterne dell’Europa, i soldi investiti per falsamente ridurre il numero degli irregolari che attraversano i confini. Si tratta in realtà di un’arma di distrazione di massa, come ben ricorda l’amico Turi Palidda. L’emergenza migrazioni è funzionale al sistema neoliberale che ha bisogno di manodopera ‘docile’ per continuare a funzionare. Ed è a questo punto che l’orda delle ONG si presenta. L’altro mondo molto umanitario difende i diriti umani dei migranti post- mortem, denuncia chi le finanzia (l’Europa e affini) e intanto spera che quanto denunciato possa continuare ad libitum. Contribuisce a controllare le frontiere, a finanziare posti di controllo poliziesco e, come l’OIM (la benemerita Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), poi si fregia di salvare i migranti nel deserto. Questo è il tipico doppio gioco che l’altro mondo umanitario contribuisce, impunemente, a creare. Ad ognuno il suo, diceva la definizione canonica della giustizia. Le ONG hanno scelto la parte migliore, che un giorno sarà loro tolta per darla agli aventi diritto, i poveri, gli unici col diritto di trasformare il mondo.
Venite a vedere per credere. Un giro in città a Niamey, per le feste comandate e quelle da venire. Andate nei luoghi dove più patente appare l’emergenza umanitaria. Pannelli a non finire piazzati nei punti più strategici alla vista degli assistiti e soprattutto dei donatori. L’altro mondo umanitario è riuscito con successo a trasformare il dolore in spettacolo retribuito.


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