Appena arrivato in Sicilia, in macchina, Silvia parla con Sandra, sono entrambe mie compaesane di Pietraperzia. Sandra dice che un po' di anni fa frequentava Canicattì: “EÈ un paese fiorente e ricco”, al che Silvia, con sufficienza, fa: “Coi soldi della mafia!”. Silvia è una persona di media cultura, ha vissuto trent’anni a Milano dove ha insegnato a scuola.

Sandra ribatte: “Non è così, a Canicattì c’è un’economia basata sull’uva, c’è una fiorente e nota produzione di vino, e c’è anche una tradizione di artigianato”. Silvia chiede che tipo di artigianato. “Lavorano il legno e soprattutto c’è una fiorente tradizione di tappezzieri”. Io allora intervengo per ricordare che un certo Gino il tappezziere, di Canicattì, abita da trent’anni nel nostro paese perché ha sposato una nostra compaesana.

Spesso è una questione di immaginario inquinato, ma per diversi argomenti: il turismo, l’emigrazione, la lotta armata: subire per anni e anni un martellamento unilaterale mette in difficoltà la nostra possibilità e capacità di immaginare altro da quello che ci viene propinato da più parti: istituzioni, discorsi manichei, martellamenti mediatici e narrazioni binarie. Silvia ne è un esempio. Lo ha detto con sufficienza, quasi provocatoriamente, in modo inconsapevole. Io parlerei di potere più che di mafia, di come ci rapportiamo con il potere, con le Istituzioni, con la legge (il legalismo è pericoloso quanto o più dell’illegalismo?), ecc.

Mio padre mi ha raccontato che quando lavorava all’Ufficio tecnico con responsabilità sui lavori pubblici, per “rompere” il monopolio di una ditta di movimento terra che vinceva sempre la gara perché faceva un’offerta invitante (perché usava materiale di scarsa qualità e altre carte false), ha dovuto fare un’irregolarità, e cioè sospendere le gare e dare ogni anno l’incarico a una ditta diversa, per consentire una partecipazione alternata. Non poteva farlo ufficialmente, rischiava anche sanzioni. Lo so che è paradossale: per garantire un processo democratico ha dovuto aggirare una regola “democratica”; sempre mio padre mi racconta di un falegname che si conquistava l’appalto del Comune, ogni anno, quindi un monopolio. Ma mio padre non poteva fare nulla per evitarlo, perché gli altri falegnami gli dicevano che non volevano l’appalto, però gli riferivano, informalmente, che quel falegname che si aggiudicava l’appalto, andava da tutti gli altri falegnami e li convinceva a non partecipare alla gara. Ora, io non so come li convinceva, e neanche mio padre: né con la violenza né con le minacce, però di fatto... aveva un monopolio. Io conosco sia il proprietario della ditta di movimento terra sia il falegname. E so che il primo è considerato un uomo “rispettato”, il secondo pure ma meno del primo. Ho conosciuto più da vicino il falegname. Una volta l’ho visto con la testa china davanti a un crocifisso di legno, a forma di edicola votiva, che si era costruito lui stesso, stava pregando, alle cinque del mattino. Ovviamente era anche un assiduo frequentatore della messa della domenica. È interessante osservare che si può trasgredire la legge per consentire partecipazione democratica e, al contrario, pensare che una legge democratica garantisca avvicendamento di incarichi e invece... non è poi come potrebbe sembrare?!

Forse tutto ciò che sacralizziamo e non mettiamo in discussione, cioè la perdita dell’elaborazione e dell’azione diretta e individuale...genera mostri?!

 


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