La diagnosi è arrivata inaspettatamente a marzo del 2022 e da allora facciamo i conti con questo intruso nella nostra famiglia e nella nostra vita di coppia, a distanza di tanti anni dall’inizio della nostra storia insieme. Raccolgo qui alcune esperienze vissute in momenti diversi, piccole storie senza pretese che raccontano questa vita a tre.

Visita fiscale.
L’appuntamento per la visita fiscale per il riconoscimento dell’invalidità è nel quartiere Prati di Roma. Il medico è quello segnalato dall’INPS. Stefano è in carrozzina. Primo ostacolo: uno scalino alto al portone. Ci aiutano e lo superiamo. Ma la sorpresa è dopo: rampa di sei scalini! Lo aiuto a salire le scale, poi salgo io con la carrozzina. Lui si siede ma non c’è spazio di manovra per girare la carrozzina in modo che entri in una porta stretta poco distante dalla scala. Il rischio è di cadere giù. Superato in qualche modo anche questo ostacolo, ci aspetta solo un altro gradino per entrare nell'appartamento del medico. Scambio con il medico su questa singolare sistemazione logistica per una visita fiscale per invalidità, poi, andando via, di nuovo tutto al contrario. Non sappiamo ancora l’esito di quella visita, ma ne siamo usciti indenni! È già qualcosa…

In taxi.
Da quando è subentrata questa malattia ci capita qualche volta di dover ricorrere ad un taxi per spostarci. In genere incontriamo tassisti molto gentili, non così quella volta... Guidando il tassista ce l'aveva con tutti, finché, rivolgendosi a una persona su una macchina davanti a noi, ha detto: “ci mancava anche questo handicappato!”. L'ho seccato subito! Lui si è scusato. Quando siamo arrivati lo ha fatto di nuovo, era proprio mortificato. Così ci è toccato rincuorarlo. Ci ha pensato Stefano: “non si preoccupi non mi ero offeso, sono handicappato solo da un anno e non mi ero associato alla categoria”! È un buono... Per quanto riguarda me, avrei reagito allo stesso modo anche in tempi non sospetti.

I marciapiedi di Roma.
ra noi è stato sempre Stefano a prendersi il compito di studiare i percorsi da fare, in macchina, soprattutto in tempi pre-google maps, e nelle nostre vacanze in montagna o in bici. Cartina alla mano si studiava sentieri e piste ciclabili. Peccato che la competenza maturata non aiuti nello studio dei percorsi da fare per spostarsi a Roma da un punto all’altro in carrozzina: non esistono mappe che indichino i numerosi ostacoli che si incontrano, le buche, gli scalini… Ogni volta è un’avventura, purtroppo non piacevole. Si è costretti a percorrere tratti in strada, quando non ci sono scivoli, o i marciapiedi sono impraticabili, o c’è una macchina parcheggiata davanti ad uno scivolo... Problemi che prima non vedevamo ora fanno parte della nostra quotidianità. Saremmo consulenti perfetti per indicarne la soluzione, se solo il Comune volesse avvalersene!

Le riunioni condominiali.
Abbiamo cambiato casa nel 2020, in pieno periodo Covid e questo non ha aiutato a fare la conoscenza dei nuovi vicini di casa. È arrivata poi la malattia e, con i problemi di deambulazione, le difficoltà a utilizzare l’ascensore con il deambulatore o la carrozzina.
Se ne parla in due riunioni di condominio: la nostra richiesta è di sostituire la cabina con una dotata di porte scorrevoli. Le attuali porte basculanti, oltre a ridurre l’apertura, si chiudono con difficoltà, una volta dentro, non consentendo alla persona interessata la possibilità di essere autonoma nel farlo. L’amministratore ci spiega che la legge prevede che il condominio non può rifiutare una tale richiesta nel caso di disabilità, ma gli altri condomini non sono tenuti a sostenerne la spesa. Tutto chiaro. Il condominio non parteciperà alla spesa. Si tratta ora di decidere se andare avanti o no a spese nostre. La questione si potrebbe chiudere qui, magari domandandosi se sia giusta o no una legge così, se non fosse per lo strascico di dolore che quelle assemblee hanno lasciato…

Mi è rivenuta in mente una vecchia battuta, sempre attuale: Non sono io ad essere razzista, è lui che è negro! Alcune battute divertenti, così come le barzellette non fanno solo ridere, fanno anche capire come siamo, sono strettamente legate alla realtà, cogliendone aspetti che restituiscono in chiave ironica. Questa in particolare, oltre a puntare i riflettori sul razzismo, coglie una tecnica frequentemente usata. Se si vuole giustificare il proprio comportamento verso un’altra persona, che potrebbe essere soggetto ad un giudizio negativo, una tecnica che funziona bene è quella di spostare il giudizio su di lei, colpevolizzandola, ed effettuando così un ribaltamento di ruoli tra aggressore e vittima. Non sono uno stupratore, è lei che se l’è cercata… in giro di notte, e poi vestita in quel modo! Non sono omofobo, ma due ragazzi per mano o che si baciano non si possono vedere, lo facessero a casa loro. E potrei continuare…
Quelli che cominciano il discorso dicendo: “Non sono omofobo (o razzista, o altro), ma…”, lo sono ma non lo sanno. Le discriminazioni più difficili da debellare sono quelle a cui si da un altro nome, quelle di cui non si ha consapevolezza.
Chi, come noi, insieme a tanti altri e altre, spende pezzi della sua vita a combattere ingiustizie e discriminazioni, schierandosi dalla parte degli stranieri, delle donne, delle persone LGBT+, di chi per motivi diversi vive una situazione di marginalità, queste tecniche le conosce e sa riconoscerle anche quando arrivano mascherate da altro. Ci è capitato così di coglierle anche nelle nostre assemblee condominiali. Non sono io ad essere insensibile alla richiesta di un vicino di casa, è lui che sbaglia e vede barriere architettoniche dove non ce ne sono. E non mancano esempi a dimostrazione della tesi che chi le vede se le è inventate. A questo si aggiunge poi un aggravante non da poco: questa persona disturba, fa rumore in casa in ore in cui non dovrebbe. E così alle tante novità, che faticosamente affrontiamo in questo periodo della nostra vita, se ne aggiunge un’altra. Nessuno ce l’aveva mai detto nella casa di prima, dove vivevano con noi i nostri figli, da bambini e per i primi trenta anni delle loro vite. Succede incredibilmente ora che siamo solo in due. Non importa se sia vero o no: l’obiettivo della colpevolizzazione è centrato, e i ruoli sono ribaltati. Ci sta quindi che una persona che si inventa barriere architettoniche e che per di più disturba non possa poi aspettarsi solidarietà dagli altri e che qualcuno dica, come è successo: “Per questo intendo ostacolare le sue richieste”.
Ci sono parole che, persino al di là delle intenzioni di chi le pronuncia, possono arrivarti come pietre e ferirti. E ce ne sono altre, che possono fermare qualcuna di quelle pietre e arrivare come carezze a toccare le ferite che ti porti dentro e lenirne il dolore. In quelle assemblee abbiamo colto le une e le altre.
Tante di quelle carezze potrebbero disarmare le parole, come diceva papa Francesco, curare l’umanità malata di violenza, sopraffazioni, intolleranze, indifferenza, potrebbero restituirci la capacità di guardarci negli occhi, regalarci una convivenza serena, in pace, nelle piccole comunità condominiali, e non solo in quelle. Varrebbe la pena provarci…

 


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