Antonio Thellung ha aggiunto un nuovo titolo alla serie dei suoi numerosi scritti, Amarsi da vecchi e credere nell’incredibile (Gribaudi editore, Milano, 2017), in cui coniuga l’esperienza della sua vita coniugale con la partecipazione al mistero della vita per affermarne la “credibilità”.
Il libro si articola in due parti legate dall’intento di testimoniare in modo credibile che è ancora possibile coltivare un amore coniugale per una intera vita e che, dalla realtà di questa esperienza, si può trarre la chiave interpretativa per altri momenti esistenziali la cui narrazione potrebbe apparire stravagante. Tale è in realtà il divenire quotidiano di ciascuno di noi, come l’autore, prova a raccontare: un quotidiano fatto di amore coniugale in cui i momenti di tensione e di discussione, pur duri, che angustiano la serata si risolvono all’alba, come da copione scrive l’autore, profittando dell’occasione di un brillante recupero godendo uno di quei momenti d’intimità particolare che sono tipici dell’amor coniugale.
Un quotidiano fatto di vecchiaia vissuta nell’amore che consente di sopportare le difficoltà e angustie, che l’accompagnano, descritte nei particolari per rendere più significativo il valore del rimedio, che induce l’autore a permettersi una “scandalosa” esclamazione: Che bella vecchiaia la nostra così piena di meravigliosi acciacchi!
Da questa visione l’autore muove per riflettere sulla condizione umana che ogni giorno muta arricchendosi di novità che, se scoperte all’improvviso senza un’adeguata preparazione, sarebbero fonte di grande sorpresa se non di scandalo. Solo guardando al passato il mutamento appare in tutta la sua ampiezza inducendo a chiedersi se la condizione umana ne ha tratto o non giovamento: questo nostro mondo terreno, evolvendosi, tende a migliorare? O a peggiorare? O a restare sostanzialmente equivalente?
Da un attenta e articolata serie di riflessioni sulle vicende umane opportunamente selezionate, da cui emerge la sostanziale contraddittorietà del divenire umano, deriva il proporsi e riproporsi di un interrogativo inquietante: è ragionevole confidare nell’evoluzione umana?
Se non ci si riduce a rifugiarsi, nel ritornello popolare: speranza è l’ultima a morire, resta solo l’impegno a trasformare le realtà contraddittorie per orientarle verso una direzione di marcia costruttiva.
A promuovere tale impegno, ad individuarne le forme e, soprattutto, al coinvolgimento in esso del cristiano l’autore dedica la parte centrale del suo scritto misurandosi con le incredibili stranezze che l’accompagnano provocando dubbi, incertezze, incredulità. La caduta non solo dei tabù e dei miti, con cui in passato si era certi di uscirne, ma anche delle ipotesi metafisiche, con cui si era cercato di sostituirle, rende velleitario, impedendolo, ogni tentativo di svelare il mistero, che ci circonda, perché se è autentico rimarrà sempre mistero, e bisogna imparare a contemplarlo senza pretese, per goderne tutto l’inesplicabile fascino. Illusoria è, infatti, la pretesa di definire verità o di usare dio per spiegare ciò che accade, mentre resta legittima, per andare al di là dell’incredibile che permane, la ipotesi di un Dio che tutto comprende unitariamente in sé, che sia cosciente di esistere, che agisca in modo trasformante (saprà lui come).
A questo punto resta l’interrogativo su che cos’è quell’assemblaggio di materia che si usa chiamare essere umano,a cui l’autore tenta di rispondere nelle ultime pagine, resistendo alla tentazione, già superata nei confronti di dio, di rifugiarsi in una comoda condizione di sano scetticismo ripetendosi: incredibile incredibile. Sennonché lo scontro e l’incontro quotidiano con la mia sposa mi risuona nella coscienza come una sveglia permanente, che mi sospinge oltre.