Lanza del Vasto si trovava d’accordo con un solo filosofo, Nicola Cusano (1401-1464), che fu un cardinale, quasi vice Papa, incaricato della riforma della Chiesa in Europa e di missioni di pace; rispose alla caduta di Costantinopoli con il libro De Pace fidei, per auspicare la convivenza pacifica di tutte le grandi religioni: molti riti, un solo Dio.

Cusano è famoso per aver suggerito che per concepire Colui che ci trascende, Dio, occorre far coincidere gli opposti all’infinito (I quattro Flagelli (1959) cap. III, par 59, n. 2) (ad es. Massimo e Minimo), perché  su di esso tutto converge (ad es. un cerchio con raggio infinito diventa una retta). LdV ha applicato questa idea ai conflitti, cioè alle situazioni in cui, anche lì, si pensa che la soluzione trascenda la nostra intelligenza, non capiamo che ci resta da fare. In (Trinité Spirituelle, pp. 77-78) egli ha proposto l’immagine della bilancia a due braccia. Il conflitto è tanto più difficile da risolvere quanto più sono distanti le due braccia della bilancia, cioè le posizioni degli avversari, i quali pesano sui piatti della bilancia con le loro azioni passate e presenti. Secondo l’immagine della bilancia: con le guerre si vuole distruggere l’altro piatto; i tribunali usano una bilancia con punto di equilibrio standard nella legge formale: tre prosciutti, quattro mesi di carcere (Les quatre Fléaux, Cap V, par. 6); gli psicologi fissano l’attenzione sulla distanza tra gli avversari, in modo da studiarne le infinite risonanze sull’animo umano; le religioni tradizionali suggeriscono di fissare il punto d’equilibrio all’infinito (Dio, la grazia), ignorando o sopportando pazientemente ogni distanza. 

 Invece per trovare la soluzione non violenta, occorre seguire il suggerimento della bilancia: a maggiore distanza orizzontale occorre trovare un punto di equilibrio della bilancia a maggiore distanza verticale (eventualmente all’infinito, in Dio): gli opposti sul piano orizzontale possono convergere se per cercare il punto di equilibrio puntiamo in alto: “Risolvere... un conflitto... è un  elevarsi ed elevare la gente ad un piano in cui il problema non si pone più”, Doumerc, Dialogues, Cerf, 1980, p. 186) Con ciò LdV ha indicato che nei conflitti occorre tenere conto dei fatti compiuti (i pesi sui piatti), della distanza che separa i contendenti e dei valori ai quali appellarsi (o da mettere in dialogo) per giungere ad una soluzione. La quale c’è sempre ed è la conversione delle due posizioni in una nuova. Queste idee sfuggono ai non violenti pragmatici (Gene Sharp), perché questi vedono la non violenza come tecniche da eseguire con una forte disciplina ed ostinazione, in modo da incutere timore sull’avversario; oppure ai non violenti  razionalisti (J.M. Muller), che si basano sulla ragione occidentale per analizzare il conflitto e ricercarne una soluzione per vie interne al conflitto stesso. Perché tutti questi escludono il concetto di conversione, che a loro pare un residuo di quella base religiosa di Gandhi che essi escludono dalla loro non violenza.

Invece Johan Galtung negli anni Novanta (Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano, 1999) ha suggerito una definizione di conflitto che corrisponde a quanto descrive LdV; finalmente essa non è una tautologia (quella che si trova nei vocabolari). Un conflitto è un A-B-C. Il che vuole dire che: 1) esso è composto essenzialmente da tre dimensioni; 2) queste sono indipendenti tra loro; 3) se non si tengono in conto tutte e tre, il conflitto non è risolto veramente; 4) C è la contraddizione percepita; 5) B (Behavior) è l’insieme dei fatti compiuti dai contendenti e che pesano sul conflitto; 6) A è l’insieme delle attitudini che precostituiscono il conflitto o a cui ci si può richiamare per la soluzione del conflitto.

Galtung applica questo triangolo alla violenza diretta, alla violenza culturale e alla violenza strutturale; poi a quella superficiale e a quella profonda; analogamente per la non violenza. Secondo me, si perde nella descrizione del conflitto; la quale è sempre necessaria, ma non è risolutiva, perché il conflitto è una dinamica. Si può studiare una dinamica sul suo triangolo iniziando da uno dei vertici (ad es. B) per poi vedere come esso abbia generato il conflitto sugli altri due vertici. E’ un utile esercizio. Ma questa è storia, non è la soluzione. Certo, è difficile pensare tre cose assieme. Per semplificarci la vita di solito si sopprime il conflitto (con la forza, con l’astuzia, con l’indifferenza, con la passività, o  magari sopprimendo colui che lo causa).  Oppure il conflitto viene  ridotto ad una sola dimensione: la vendetta (occhio per occhio: solo B), la depressione (subire l’angoscia perché ci si  essere incapaci di risolvere la contraddizione: C), la fuga nel trascendente (richiamo ai valori eterni: A). Oppure si tengono presenti due sole dimensioni; ad es. la propaganda militare parla solo delle armi (B) e dei valori offesi o da esaltare (l’onore, il coraggio, ecc.: A); oppure il tribunale tiene conto dei fatti (B) visti secondo le leggi (A) senza tener conto del C; oppure i training non violenti lavorano sui fatti (B) più o meno reali e sulle contraddizioni (C) che essi suscitano, ma non su A.

Che sia difficile pensare tre cose assieme lo sanno bene i cristiani. Giunti faticosamente (dopo  il 1000)  all’idea di Trinità, si sono accorti che questa idea era troppo difficile e, come dicono i teologi, l’hanno mandata in esilio, lasciandole solo una domenica sulle 52 dell’anno. Ma la tradizione popolare aveva recepito quell’idea, rappresentandola secondo un modello che è già presente a Santiago di Compostela 1100) e che nel 1400 Masaccio ha posto in prospettiva a S. Maria Novella a Firenze: Gesù è in croce, il Padre gliela regge e tra i due c’è lo Spirito Santo che ispira la situazione  (La tradizione scomparve dopo il 1600, quando l’Occidente si è slanciato nel mondo per colonizzarlo, prendendo la croce dal braccio corto, come fosse una spada).  Quella raffigurazione dice una verità profonda (riscoperta recentemente dal teologo Moltmann): la Trinità ha essenzialmente il conflitto al suo interno. O meglio, la Trinità presiede ad ogni conflitto, così come deve fare un Dio che sia veramente onnipotente. In altre parole, il Dio cristiano ha al suo interno il conflitto e che propone di risolverlo senza sopprimere né l’altro né il conflitto; e cioè: non violentemente. Già, perché la Trinità corrisponde perfettamente al triangolo di Galtung: A il Padre, B il Figlio e C lo Spirito Santo.

Ma la Trinità dice di più della definizione di Galtung, esprime anche un processo di convergenza dei Tre in Uno; cioè, porta all’Unità  (o, in termini filosofici, porta il molteplice all’unità). Già, perché da millenni Dio ci ha insegnato a risolvere i conflitti cercando l’unità. Intanto il Padre ha consigliato di prevenire i conflitti:prima di tutto tu non farli nascere; perciò  Non rubare, Non commettere adulterio, Non dire falsa testimonianza, Non desiderare le cose e la donna degli altri.  Poi il Figlio ci ha insegnato come risolvere i conflitti che sono già nati: “Non reagite al male [col male]”, “Amate [quelli che vi appaiono] i nemici” in modo da non arrivare mai ad uccidere, anche se ciò costasse essere uccisi; questo è l’insegnamento della croce di Gesù. Il quale in più, con lo Spirito Santo ci ha invitato a reagire alla violenza strutturale del mondo con quelle che sono chiamate Beatitudini: “Beati quelli che in virtù dello Spirito non vogliono essere come i ricchi, perché di essi è il regno dei cieli.”

Avete notato? Sono tutte doppie negazioni, del tutto estranee alla cultura greco-occidentale che parla sempre per affermazioni o negazioni. Gandhi ha dato la sintesi di tutto con un’altra parola non occidentale: non violenza, che esprime bene un atteggiamento generale per risolvere tutti i tipi di conflitti, con gli uomini e anche con la natura. Siccome la sua doppia negazione non afferma , non vale la legge della logica classica: “Due negazioni affermano “ e quindi essa appartiene ad una nuova logica, che oggi si chiama intuizionista (Encl. Pléyade, Logique, pp. 206-210) (Ciò realizza quello che voleva LdV (Trinité, p. 78) una logica superiore a quella di Aristotele). La doppia negazione non afferma, ma trascende (LdV, Vinoba, p, 124) e perciò può fare intuire quel punto di equilibrio che sul piano orizzontale non si vede. Perciò la maniera di parlare di Dio a noi è stata quella delle doppie negazioni; solo con esse si può ritrovare l’unità.Per questo altro motivo nel passato è stato difficile  risolvere i conflitti, perché non si deve ragionare per deduzioni da dei principi posti a priori (come di gfa in geometria), ma in una logica esplorativa ed induttiva, così come è quella intuizionista Questo fatto dimostra che veramente, come diceva Gandhi, risolvere i conflitti è una nuova scienza (la scienza della pace). Freud ha incominciato a intellettualizzarla per i conflitti interiori (“Sulla negazione” 1925) in un modo che si può trasporre così: quando appare una negazione della vita, occorre aggiungere un’altra negazione (ad es. Non è vero che lui è mio nemico); quindi, occorre basarsi sull’empatia per capire la motivazione dell’altro; e poi su questa sviluppare una dialettica (di parole, di gesti) per finalmente concludere una ipotesi di soluzione, da realizzare pensando che “E’ impossibile che egli non possa aderire a questa proposta, altrimenti non saremmo tutti fratelli”.

Si noti che, per quanto si faccia teoria, comunque c’è un salto, “una aggiunta” (diceva Capitini), un “trascendere” (dice Galtung), un “toccare la coscienza” (diceva LdV),  un aver fede nell’uomo e/o in Dio Trinità. Già, perché per credere che i conflitti siano sempre risolubili occorre avere altrettanta fede nell’uomo di quanta ne ha chi crede in Dio. Ma è proprio questo l’impegno di fede che l’uomo Figlio di Dio ha chiesto con parole molto semplici, ma divine:  “Amate i [vostri fratelli anche quando vi sembrano] nemici". 

(Per gli studiosi: A. Drago: “Improving Galtung’s A-B-C to a scientific theory of all kinds of conflicts”, Ars Brevis. Anuari de la Càtedra Ramon Llull Blanquenra, 21, 2016, pp. 56-91).