Vegetarianismo: Considerazioni di tipo personale e strutturale
Innanzitutto mi presento: sono vegetariano da oltre quarant’anni al seguito degli insegnamenti di Lanza del Vasto (unico discepolo occidentale e cattolico di Gandhi).
Sono passato al vegetarianesimo nel 1973 dopo aver vissuto vegetariamente il primo Campo dell’Arca in Italia nel Mugello (una settimana di insegnamento di Lanza del Vasto, lavoro, yoga, danze e canti), allietato l’ultimo giorno da una pizza per tutti (fatta nella sua notte di vacanza dal panettiere locale rimasto ammirato per l’insegnamento di Lanza). Allora mi resi conto che la dieta vegetariana non aveva alcuna conseguenza debilitante e d’altra parte c’erano buone ragioni per uscire dalla correità della macelleria istituzionalizzata di animali da alimentazione. D’altra parte il mio lavoro professionale, che non era di tipo manuale pesante, non faceva temere nessuna conseguenza negativa.
Ci provai senza farci grandi studi: tolsi carne e pesce. E provai la libertà di una etica da uomini maturi, quella che si fa da soli, sulla base di decisioni di vita, in piena libertà di giudicare se le restrizioni che si scelgono siano eventualmente eccessive o da aumentare. E in un Paese come l’Italia, che faceva rallegrare ogni indiano vegetariano per la ricchezza di formaggi e di verdure, non ebbi problemi di dieta. Certo, la conseguenza fu meno grossezza nel gusto, meno impossessarsi del cibo, meno soddisfazione istintiva di schiacciare coi denti qualcosa di vitale. Ma ben presto mi accorsi che nasceva un sottile piacere a gustare a fondo alcuni alimenti che nella dieta con carne passano quasi inosservati (il pane, le verdure, i formaggi, ecc.). Poi le lotte non violente mi portarono a compiere dei digiuni di alcuni giorni; alla ripresa della alimentazione il cibo vegetariano mi appariva con una tale intensità di amore da farmelo riconoscere a distanza come amico,; e una volta incorporato, me lo faceva fondere col mio corpo. Più in generale, col vegetarianesimo il cibo non mi prendeva più per le viscere, lo sentivo una cosa mia, che non mi smuoveva l’istinto imperioso di sopravvivenza. Anzi, mi dava una mano nella gestione di me stesso: il mio corpo mi appariva più docile, meno sfuggente nelle sue voglie e bizzarrie. A me è sembrato di aver scoperto una maniera naturale di vivere il cibo. L’Occidente ha dimenticato che il corpo è assieme salute fisica e salute spirituale; e per mantenere ambedue occorre regola ed esercizio. La regola del vegetarianesimo è semplice e immediata nei suoi benefici, Soprattutto feci l’esperienza che la immancabile influenza annuale era eliminabile con un semplice digiuno di due-tre giorni, con grande incredulità dei medici (“Non è possibile!”).
Per cui se mi chiedono perché sono vegetariano, rispondo: “Perché è meglio che mangiare carne, meglio in generale.” E se vogliono una spiegazione immediata, dico loro che è come lavarsi le mani; cosa che fino all’ottocento la gente non faceva; ma che dopo è diventato una regola di civiltà; per cui se non lo si fa, ci si sente male; così come lo stomaco si sente male se per sbaglio gli entra qualcosa di carne, con la sue pesantezza, densità eccessiva di sapori e difficoltà di digestione.
Ma tra i più di un centinaio di argomentazioni che si possono addurre a favore del vegetarianesimo, credo che occorra rispondere anche con degli argomenti di tipo strutturale. Sin dal 1959 Lanza del Vasto ha elevato la non violenza a sistema teorico, perché egli è passato dal concepire la non violenza come idee soggettive (amore, benevolenza, attenzione ai rapporti personali), o oggettive (risoluzione dei conflitti, tecniche non violente come il digiuno, ecc.) a categorie strutturali, che cioè si riferiscono a strutture della società, quelle strutture che determinano la volubilità degli uomini conducendoli in massa verso direzioni che sembrano loro inevitabili,
Oggi nel mondo ci sono 60 miliardi di animali allevati per l’alimentazione umana (ovviamente non di tutta l’umanità, ma di quel 20% che sfrutta l’80% delle risorse della Terra). Questo significa che ogni uomo carnivoro richiede che per la sua alimentazione annuale gli siano macellati circa trenta animali (di tutte le stazze); che ovviamente mangiano e bevono e inquinano; con gravi conseguente per la Terra. Nulla di più vero in questo senso della frase di Gandhi;: La terra ha risorse sufficienti per sostenere tutti gli uomini; ma non ne ha per l’avidità do tutti.”. Occorre sentirsi responsabili di questo disastro nello sprecare cibo (cereali, acqua) e creare inquinamenti tremendi (deiezioni inquinanti, CO2, resistenza agli antibiotici usati a sfare negli allevamenti collettivi degli animali).
Ma c’è un’altra ragione strutturale che colpisce al cuore la alimentazione carnivora. Per ogni proteina animale mangiata dall’uomo, l’animale che gliela dà ne ha mangiate sette di vegetali, di portata equivalente per la alimentazione umana. E’ come se con la alimentazione carnivora i terreni della Terra si restringessero di sette volte, perché ci mettiamo come intermediari gli animali che ne mangiano tante per alla fine darcene sette volte meno. Cosicché ogni nuovo popolo che raggiunge il cosiddetto “benessere” e passa alla alimentazione carnivora crea un disastro alimentare (Informazioni più estese si trovano facilmente, ad es. nella voce “Vegetarianesimo” di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Vegetarianismo#Ambiente.). Così fu per la URSS attorno al 1980; anche la politica cambiò, perché i suoi cereali non bastavano più,; e allora comprò cereali dal Canada e dagli USA. Il che naturalmente fece crescere il prezzo dei cereali sul mercato mondiale, il che ovviamente aumentò la fame nei Paesi poveri, che non potevano comprare cereali ai nuovi prezzi In tempi di fame nel mondo questo fatto è intollerabile, grida vendetta davanti a Dio e ai popoli .
Il minimo che si può fare in questa situazione è rendersi innocente, cioè “non nuocere”; “Non in mio nome”. Il motivo non è solo quello di dichiararsi fuori dal macello, ma anche di essere punto di riferimento e di appoggio ad ogni alternativa che si profili all’orizzonte per un cambiamento di mentalità e di alimentazione. Il vegetarianesimo comporta un rapporto con il proprio corpo e con gli animali che porta a rinnovare a fondo le nostre relazioni con la natura, a grande beneficio ecologico e spirituale del nostro corpo e anche dell’umanità. Mai più che col vegetarianesimo è valido il motto: “Pensare globalmente, agire localmente.”
Lanza del Vasto, la persona e la sua scelta vegetariana
Ma più che la mia piccola esperienza, debbo presentare quella di Lanza del Vasto e delle sue comunità.
Lanza del Vasto (1901-1981) è stato l’unico discepolo occidentale di Gandhi e l’unico cattolico. Erano i tempi in cui i viaggi in India erano un’esperienza da studiosi di una civiltà “altra”, sicuramente primitiva e soprattutto coloniale. Per lui invece l’andare in India nel 1937 è stato un “espiare l’Europa”, che allora era affogato nelle dittature fascista, nazista e franchista, in contrapposizione a quella stalinista in URSS, mentre le principali democrazie del tempo (Inghilterra, Francia, Olanda, ecc.) erano imperi coloniali sui popoli cosiddetti primitivi e gli USA erano la potenza dominatrice dell’America centrale e meridionale.
Egli in effetti aveva letto i libri dei maestri orientali sin da quando era studente a Pisa alla facoltà di Filosofia; e poi, anche da laureato, quando vagava di esperienza in esperienza (amorosa, artistica, di sopravvivenza economica e sociale) senza avere un obiettivo e senza accettare uin ruolo sociale.
L’inizio della svolta avvenne nei primi anni ’30, quando il gruppo di artisti che aveva fondato in Toscana ebbe una fine ingloriosa (opportunismo di molti del gruppo verso il Fascismo). Si convinse che il potere fascista era da rifiutare radicalmente. Inoltre la tracotanza bellicista del Fascismo e l’avventura colonialista italiana (guerra in Abissinia) lo convinsero a dichiararsi obiettore di coscienza, se l’avessero chiamato alle armi (Lanza del Vasto:(2006) L’etter giovanili (1923.1936), Plus, Pisa, p. 309.lettera a Luc Dietrich del 29 settembre 1935.) Infine l’orrore istintivo che aveva sempre avuto sin da bambino per la uccisione degli animali lo portò a compiere una scelta del tutto inusuale per quei tempi, i quali invece esaltavano i duelli e la tracotanza maschilista: il vegetarianesimo. Non ha scritto su come ci sia arrivato. Ma una volta lo sentii raccontare che all’inizio di questa scelta aveva una grande preoccupazione per le conseguenze debilitanti per il suo fisico. Raccontava che per mesi la mattina si guardava in basso per vedere se per caso la sua virilità ne fosse rimasta menomata, se gli fosse sceso qualcosa. Tale era la pressione psicologica su coloro che uscivano dal gregge con decisioni personali.
Ma soprattutto, sentendo arrivare di nuovo la guerra, si chiese come mai gli uomini si costruiscono dei flagelli in maniera ricorrente e come se ne potesse uscire. Tutta la sua filosofia non gli dava risposta. Pensò che l’unico nel mondo che gliela potesse dare era Gandhi (In quel momento tre europei importanti pensarono di andare da Gandhi: oltre lui Bonhoeffer (che poi preferì iniziare la esperienza, eccezionale tra i protestanti, di vita comunitaria, da cui uscì il libro Communio; ed Ernesto Buonaiuti , prete scomunicato prete modernista, docente universitario che fu dimissionato per aver rifiutato la tessera del Partito fascista, scopritore di Gioacchino da Fiore.) Avuta l’opportunità di un viaggio in India, decise di andare in quella terra lontana e da quel maestro per diventare suo discepolo.
Quando fu in India, derubato di quasi tutto, si immedesimò nel popolo indiano, facendo lunghi viaggi anche a piedi che lo portavano ad accettare le più svariate alimentazioni (sempre vegetariane). Progettava di restare per sempre da Gandhi come suo discepolo; e quindi si era abituato ad una cucina del tutto differente da quella occidentale. Inoltre la pratica ascetica che apprendeva anche da altri maestri spirituali lo portava a trattare il cibo con molto distacco e a fare molta attenzione alla capacità che esso ha di direzionare la vita profonda di una persona. Il digiuno, che divenne una sua pratica, gli diede ancor più padronanza della alimentazione.
Quale la sua motivazione profonda? La sua interpretazione del Peccato originale pone come intoccabile l’albero della Vita del Paradiso Terrestre, quello che il Padreterno cercò di tener fuori della sfera d’azione degli uomini. Una sua espressione è molto indicativa: “Ritieni di poter schiacciare un bruco? Ecco fatto: non era difficile. Bene. Ora rifà il bruco.”
Il vegetarianesimo nell’esperienza della Comunità dell’Arca di Lanza del Vasto
Tornato in Europa per fondare comunità di tipo gandhiano egli iniziò questa esperienza nel 1948 in Francia (Lanza del Vasto:(2006) Lettere giovanili (1923.1936), Plus, Pisa, p. 309.lettera a Luc Dietrich del 29 settembre 1935.) Di queste comunità egli scrisse la regola, la quale includeva il vegetarianesimo. Ma non in forma stretta, nel senso che la regola chiede il voto (annuale, ultimo di sette voti) di non violenza e, come sua conseguenza, il vegetarianesimo: “... di non affliggere nessun essere umano, e, se possibile, nessun essere vivente, per il piacere, il profitto e l comodità” (Lanza del Vasto: L’Arva aveva una vigna per vela, Jaca book, 1980, p. 159. Come appendice allego le pagine specifiche dei suoi scritti sul tema del vegetarianesimo e più in generale sulla alimentazione e sull’esercizio del digiuno (che egli mirabilmente definisce come “l’esercizio che consiste nel non pensare che si sta digiunando”).
Ho sentito raccontare da Lanza che durante i primi anni della comunità le discussioni sul vegetarianesimo furono accese: fino a che punto occorreva limitarsi nella alimentazione? C’era l’esempio estremo di Gandhi, che (come questi racconta nella sua autobiografia) rischiò di far morire la moglie (così gli diceva il dottore) per non volerle dare il brodo di pollo che l’avrebbe guarita. Nei primi tempi della Comunità si decise niente carne, pesce e neanche latte. Poi però la nascita di bambini in comunità portò a cambiare la regola (così come la regola sul vestito; che era fatto a mano da loro e disegnato con grande semplicità (ma anche eleganza) da Lanza; all’inizio esso era chiuso ai lati del petto; ma poi le esigenze dell’allattamento delle donne portò ad aprirlo ai lati, salvo un laccetto per stringerne i bordi). Gandhi riconosceva di essere un testardo irremovibile; Lanza del Vasto, aveva troppo spirito artistico per non essere elastico sulle regole anche fondamentali.
Un nuovo periodo di discussione accesa ci fu quando, negli anni Settanta, anche nella società nacque un movimento per il vegetarianesimo e una attenzione diffusa per il tipo di alimentazione La Comunità era il crocevia degli alternativi e tra gli altri ci passò anche Oshaw, che proponeva la macrobiotica. In comunità si creò un incrocio di tipi di alimentazione, dal vegetarianesimo, al vegetalianesimo, alla macrobiotica, al crudismo, ecc.; al punto che Lanza del Vasto ricordava che se si fossero seguite tutte le regole di tutti “La comunità avrebbe dovuto mangiare solo i sassi”. Per cui nella Comunità il vegetarianesimo è la regola generale, ma c’è molta libertà individuale all’interno di un proprio cammino spirituale. Perché “l’importante - ricordava Lanza del Vassto - è che l’alimentazione, tanto più il vegetarianesimo, non diventi una religione”, benché esso sia una regola di vita molto importante.
Il vegetarianesimo nell’insegnamento di Lanza del Vasto
L’insegnamento di Lanza del Vasto fa tesoro della sapienza gandhiana e la approfondisce sulla base dei testi sacri occidentali (sia pur visti alla luce delle grandi religioni, in vista di definire un “Fondo comune di tutte le religioni”, al quale appartiene la nonviolenza e anche il vegetarianesimo).
Cruciale per la concezione del vegetarianesimo in generale e nell’insegnamento di LdV è l’idea di peccato originale. Anche Gandhi credeva in questa idea: Dio ha dato all’uomo l’intelligenza per contemplarlo, ma questi ne ha subito abusato a proprio vantaggio (M.K. Gandhi – 1909 - Hind Swaraji, ed. It. Mov. Nonviolento, Verona, 1980 von prefazione di LdV; ed Satyagraha, Pisa, 2009 Cap. X ). LdV ne segue l’insegnamento dando una interpretazione letterale del brano biblico: “mangiare il frutto” è ciò che si fa in banca, è il mettere a frutto, è lo sfruttare a proprio vantaggio, per proprio tornaconto. Allora il nome dell’albero di quel frutto significa che l’uomo tira a sé la natura e i rapporti umani per sfruttarli a proprio vantaggio, dividendo la natura e il mondo in un io egoista e l’esterno da sottoporre all’intelligenza sfruttatrice. Allora questo racconto non è più collocato all’origine dei tempi, ma all’origine dei rapporti interpersonali e sociali. La intelligenza del proprio interesse allora divide il mondo in piacevole e doloroso, in comodità e scomodità, in vantaggioso e svantaggioso, successo e insuccesso nel riuscire a piegare gli altri alla propria volontà.
Tra il naturale e il soprannaturale allora nasce l’artificiale delle astuzie, dei raggiri, delle regole fatte ad arte, delle leggi su cui costruire l’imbroglio, delle leggi prevaricazione, delle istituzioni dei furbi contro i semplici, della piramide sociale che scarica sui più sprovveduti tutto il peso della vita dei più “intelligenti ed avanzati”. Ecco allora che tutto ciò realizza i flagelli “fatti da mano d’uomo”, descritti in Apocalisse 6 e 8: Miseri,a, Servitù, Rivoluzione, Guerra; essi crescono fino a costruire strutture mondiali di oppressione dell’umanità: i Due Blocchi della Guerra Fredda; più in generale, la Scienza e la Tecnica viste nelle due Bestie di Apocalisse 13.
Qui c’è una chiara concezione del peccato (o violenza) non solo personale, ma strutturale, che cioè incombe sulle persone come realtà astratta, sostenuta dalla volontà cosciente o incosciente di tutti. Qui c’è la crescita del male nelle i peggiori aberrazioni universali. Purtroppo questo concetto manca in tutte le religioni, che in questo sono inadeguate alla modernità della civiltà occidentale, che ha costruite mille istituzioni, ognuna ambigua tra il buono e il cattivo, che vengono presentate come il progresso inevitabile rispetto alla vita primitiva. (Solo Papa Woytila nella Sollicitudo Rei Socialis 1987 ha parlato di peccato strutturale, quello tra Est ed Ovest (detto da Ldv dei “Due Blocchi”), e quello tra Nord e Sud. Ma poi praticamente nessun teologo ha ripreso l’idea, che è del tutto scomparsa dall’orizzonte pastorale della cattolicità, ridotta ad una fede tutta legata ai rapporti antropologici di piccola comunità, senza accorgersi delle strutture delle istituzioni sociali).
Al male angosciante di questi tre brani biblici, LdV contrappone come risposta spirituale il brano delle Beatitudini. Nella sua “Preghiera cristiana per Gandhi” egli le legge in sequenza; allora si nota che esse sono composte da due quaterne di risposte ai mali del mondo; le risposte della prima quaterna sono passive socialmente, quella della seconda attive. (In questa quaterna c’è un punto delicato: la beatitudine dei “puri di cuore”, che sembra riportare tutto il discorso ad una intimità senza relazioni sociali. Ma che il testo è manchevole; lo dimostra la sua promessa:: vedere Dio; essa è vuota, perché già tutti quelli che si salvano vedono Dio (e chiaramente non solo i puri di cuore si salveranno). Per ridare senso alle parole, suggerisco di inserire la sapienza del libro sacro caro a Gandhi, la Bagavad Gita. Qui l’insegnamento chiave è che ogni cosa, (anche un conflitto!) deve essere fatta con cuore puro, distaccato, senza attaccarsi ai risultati, meno che mai per interesse personale. Ecco allora che la beatitudine dice: “Beati quelli che si impegnano nel lavoro sociale purificando il cuore, perché avranno occhi per vedere Dio negli uomini”. Intesa così, essa si inserisce a significato pieno nella crescita di impegno sociale della sequenza: prima i misericordiosi e poi i pacificatori e i combattenti per la giustizia).
In un mio articolo ho applicato le idee di LdV mettendo in corrispondenza i quattro flagelli con le due quaterne delle risposte delle Beatitudini. Ne risulta che il vegetarianesimo è una risposta da beatitudine di tipo “passivo”: è quella della “mitezza” rispetto al Flagello della Guerra che si sta facendo alla natura come agli uomini. Allora la corrispondente Beatitudine di tipo “attivo quella del fare la pace tra gli uomini, fa capire che il vegetarianesimo ha un completamento nelle relazioni sociali: i miti si muovono nella società cercando di realizzare la pace anche nella relazione interpersonale.
Secondo Lanza del Vasto, le istituzioni che determinano la vita sociale odierna sono la Scienza assolutista e la Tecnologia pervasiva di tutta la vita umana; Di fatto vediamo che se proponiamo la soluzione vegetariana dai Flagelli che riguardano la natura con il vegetarianesimo,; è la Scienza che esclude questa risposta, sulla base del pregiudizio “scientifico” che la dieta carnivora sia la migliore sotto tanti aspetti, se non addirittura indispensabile. Lentamente. Questo pregiudizio deriva dal fatto che ancora la Scienza non sa comprendere appieno la alimentazione umana , sia perché le sue tecniche sono parziali, sia perché la sua visione è parziale (ad es. non è ecologica e comunque pretende di non avere alternative interne). Perciò in essa c’è una forte componente ideologica che, conformata sui poteri forti della società, va a soddisfare gli istinti primordiali delle masse; oggi ci sono gli interessi di enormi industrie alimentari che impediscono una piena coscienza di questa parzialità della scienza. Ma lentamente, sulla base della esperienza personale, si sta arrivando a capire questa trappola giustificata scientificamente.
Ecco allora la necessità di concepire il vegetarianesimo come la risposta di chi sceglie di essere mite e che in definitiva si impegna a fare la pace con la natura e ancor meglio con gli uomini.
Convegno del Centro Studi Vegetariani Cristiani, Prato 1 Ott. 2017