guerreLa situazione sociopolitica della RDC vista a partire della sofferenza della gente. 

Dopo una breve presentazione del paese, analizzando la sua situazione sociopolitica del Congo,. è stato spiegato il fatto che la RDC può essere chiamata oggi una prigione a cielo aperto a tre livelli: economico, politico e culturale.
In seguito è stata presentata l’impegno che si sta svolgendo in campo per liberarsi da questa prigione, descrivendo la lotta dei movimenti cittadini e l’impegno della Chiesa cattolica.
Abbiamo la testimonianza di due giovani, una ragazza e un ragazzo, uccisi durante le manifestazioni organizzate dal comitato di coordinamento dei laici cattolici di Kinshasa. Questi due giovani martiri sono diventati i simboli della lotta per la liberazione. Per aver versato il loro sangue.
La Repubblica Democratica del Congo (RdC), è un paese dei paradossi: possiede il secondo bacino forestale del mondo, ricco di legname pregiato e d’acqua dolce in grande quantità. Il paese ha numerosi parchi nazionali classificati come patrimonio mondiale dell’UNESCO; estrae una varia tipologia di minerali, particolarmente quelli necessari agli apparecchi tecnologici e ha delle risorse preziose e strategiche nell’ottica dell’economia mondiale. Malgrado ciò, la RdC è il penultimo paese per quanto riguarda l’indice di sviluppo, perché i servizi sociali e le infrastrutture di base sono quasi inesistenti o inadeguate. L’economia informale è la più diffusa, e l’estrazione illecita e il traffico illegale delle materie prime privano il paese di importanti risorse e alimentano numerosi gruppi armati. La corruzione è fuori controllo ed è anche diventata una strategia di governo. E la popolazione è abbandonata a se stessa lottando per la sopravvivenza.
In questo contesto, la popolazione sente di vivere in una prigione a cielo aperto. Infatti, il dizionario francese “Larousse” definisce una prigione anche  un luogo dove qualcuno si trova a vivere sentendosi sequestrato e privato di libertà e di dignità. Ed è questo il sentimento della maggioranza della popolazione congolese. 
1. La prigione economica può essere descritta come quella mantenuta dalla brama delle milizie armate, che sono una pedina in mano alle organizzazioni criminali per destabilizzare le aree ricche del’Est del Congo e permettere l’esportazione illegale delle materie prime preziose. I profitti del commercio illegale di queste materie prime mantengono almeno ottomila uomini che combattono in file  di circa 50 gruppi armati. Ogni anno, dalle zone di guerriglia, si contrabbanda più di 1 miliardo di Euro in oro, coltan, diamanti, legname, ecc. Tutto questo è facilitato dai paesi vicini per i quali il caos nel Congo è una fonte di risorse economiche. Dalle statistiche della banca centrale di Kigali, nel 2013, il Ruanda ha esportato 2.466 tonnellate di coltan, il 28% del mercato mondiale, per un ricavo di 134 milioni di dollari.
2. La prigione politica può essere descritta dal fatto i politici congolesi, essendo al servizio  più degli interessi esterni e di quelli che sono al potere, non fanno altro che una politica per il loro arricchimento e di repressione quando si sentono minacciati da una popolazione che grida la sua libertà. Per illustrare questo, i parlamentari guadagnano al mese un salario di più o meno 10mila $ quando un insegnante ne guadagna solo 60 $ al mese. Si dice che Mobutu nei suoi 32 anni di regno avrebbe accumulato per se e la sua famiglia quasi 5 miliardi di dollari, Kabila e la sua famiglia nei suoi 17 anni di regno avrebbe già una ricchezza stimata a 15 miliardi di dollari e lui e la sua famiglia controllano più di 80 società e imprese in tutti i settori economici del paese. Per difendere questo bisogna mantenersi al potere a tutti i costi anche uccidendo la proprio popolazione.
3. La prigione educativa è quella di una politica di conservazione della popolazione nell'ignoranza di quello che è e di quello che ha, con l’obiettivo di alienarla e farla perdere la sua identità culturale, di non elevarla a un livello intellettuale  innovativo, usando il metodo di dividerla per sottometterla.
La RdC sarà dunque libera quando uscirà da questa sua prigione. Per questo c’è già una lotta e un impegno forte per la liberazione del popolo congolese. Questa lotta è caratterizzata dalla presa di coscienza del suo dramma, quello di essere un popolo prigioniero, un popolo che non ha libertà e dignità. La presa di coscienza che la vita di un congolese non conta di fronte all’oro, al coltan e a tutte le altre risorse del paese. Il massacro della popolazione in Kivu, in Kassai è solo la conseguenza di questa logica: le risorse del Congo sono più preziose della vita dei congolesi.
In questa lotta sono impegnati diversi movimenti cittadini come la LUCHA, il FILIMBI e “LES CONGOLAIS DEBOUT”:
1. LUCHA (Lotta per il cambiamento) è un movimento civile composto di giovani studenti che prosegue l’obiettivo di rendere il popolo congolese un popolo esigente per spingere le autorità politiche e economiche a rendere conto alla popolazione.
2. FILIMBI (il fischio dell’arbitro per dare il cartone rosso a un giocatore che ha giocato con cattiveria o contro le regole durante la partita di calcio) lotta per l’alternanza al potere chiedendo ai politici attuali di uscire dalla scena perché hanno fallito.
3. LES CONGOLAIS DEBOUT (I congolesi in piedi) lotta per la coscientizzazione dei congolesi perché possano chiedere l’alternanza politica e cambiare la mentalità di guadagno della vita tramite la corruzione al posto di esigere i propri diritti al salario giusto, alla scuola, alla salute, ecc.
Accanto a questi movimenti cittadini c’è un impegno forte della Chiesa cattolica. I vescovi congolesi hanno fatto la mediazione per arrivare al famoso accordo del 31 dicembre 2016, che dava un anno a Kabila e il governo che doveva essere guidato da un leader dell’opposizione per organizzare le elezioni dell’alternanza politica in Congo. L’accordo esigeva la liberazione dei prigioneri politici, la garanzia delle libertà fondamentali, come quella di manifestazioni pubbliche, e chiedeva al presidente di esprimersi chiaramente sulla sua non candidatura. Ma il governo ha messo in pratica solo i punti dell’accordo che gli andavano bene, gli altri sono rimasti lettera morta. Per esigere l’applicazione completa di quest’accordo, il comitato di coordinamento dei laici cattolici dell’arcidiocesi di Kinshasa ha iniziato delle manifestazioni pubbliche. Il 31 dicembre 2017, il 21 gennaio 2018 e il 25 febbraio 2018 sono state organizzate da questo comitato laico di coordinamento delle dimostrazioni che sono stati represse con una violenza incredibile: più di 25 morti, più di 150 feriti, chiese profanate, ecc. Di fronte a questa violenza contro dei cristiani non-violenti, il cardinale Laurent Monsengwo ha fatto una dichiarazione forte dicendo che “è arrivato il tempo che la verità possa trionfare sulla menzogna sistemica, che i mediocri possano lasciare il posto e che regni la pace, la giustizia in R.d. Congo”.


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