Sequestrati sulla Diciotti, migliaia di persone sono rimaste in mare senza poter sbarcare. Cosa sta accadendo alla nostra Italia?
La vicenda della nave Diciotti si è conclusa nella notte di domenica 26 agosto, a seguito della decisione del Governo (e del ministro dell’Interno) di far sbarcare i profughi destinandoli a trasportarli in Albania, Irlanda e il resto in Italia a seguito di un accordo con la CEI.
L’odissea degli immigrati (quasi tutti eritrei) era iniziata, pare, il 15 di agosto al largo dell’isola di Lampedusa, dove il Pattugliatore Diciotti, della Guardia costiera italiana aveva soccorso un gommone che stava per affondare con quasi 200 passeggeri a bordo. Dopo un percorso non proprio lineare, fino alle acque territoriali maltesi, tentando di attraccare e far sbarcare al porto di La Valletta, ottenendone un netto rifiuto, il ministro delle Infrastrutture consentiva che la nave attraccasse al porto di Catania, mentre il ministro dell’Interno disponeva il blocco dello sbarco per i 177 migranti (e, in conseguenza, dei militari della Guardia costiera), in attesa, così si diceva, che fosse arrivata da Bruxelles una risposta in ordine alla distribuzione, fra i vari Paesi dell’Unione Europea, di questi immigrati, ovvero che altri Paesi europei non avessero dato la loro disponibilità per attraccare e sbarcare nei rispettivi porti.
Appare abbastanza evidente l’inaccettabilità della soluzione dal punto di vista umanitario: vengono tenuti praticamente in ostaggio degli esseri umani fra i più deboli, già reduci da sevizie di ogni tipo, (torture, pestaggi, stupri, ecc.) in condizione di grandissimo disagio (la nave non era attrezzata per ospitare questo gran numero di persone, quasi tutte collocate sul ponte e non sotto coperta, in condizioni materiali e soprattutto igieniche molto critiche) per ottenere uno scopo politico, in sé del tutto legittimo, ma non perseguibile con queste modalità. Inaccettabilità anche ai sensi del diritto internazionale umanitario.
Ma, a parte l’aspetto umanitario e di diritto internazionale, tale questione si presentava ancora più grave dal punto di vista interno e costituzionale.
Tale provvedimento del ministro era totalmente illegale. Non ci si trovava di fronte a un provvedimento impeditivo dell’ingresso (divieto di accesso o chiusura della frontiera) come nel caso di Ventimiglia al confine fra Italia e Francia, pur certamente deprecabile. Le persone presenti sulla nave si trovavano in territorio italiano e sotto piena giurisdizione italiana. E lo erano ancor prima dell’attracco della nave al molo. La nave, infatti, non solo batteva bandiera italiana ma era un’imbarcazione militare dello Stato italiano. Si trattava tecnicamente di un fermo amministrativo, collettivo, totalmente privo di basi giuridiche e del tutto incostituzionale, in base agli artt. 13 e 10 della Costituzione italiana.
Non solo, ma si impediva anche a operatori umanitari di soccorrere gli immigrati, di rifocillarli e assisterli. Vi erano, infatti, donne e minori che necessitavano di assistenza anche sanitaria (artt. 31 e 32 Cost.). Si impediva anche a giornalisti e operatori dell’informazione di accedere alla nave, ledendo un altro diritto costituzionalmente garantito (art. 21 Cost.).
Ci si chiese subito che cosa facesse la magistratura e perché non intervenisse in proposito. In particolare, come mai la procura della Repubblica di Catania, così sollecita a inseguire ipotetiche violazioni di legge da parte delle ONG (veri e propri teoremi giudiziari) peraltro tutte risultate, allo Stato, non fondate, non fosse intervenuta su ben più corpose violazioni in atto (si trattava di una mezza dozzina di articoli della Costituzione italiana, oltre ad altri articoli del codice penale, per non parlare di numerose convenzioni internazionali, ratificate dallo Stato Italiano e pertanto obbligatorie) che fossero state commesse da apparati dello Stato e dallo stesso ministro dell’Interno.
Ciò che ben presto cominciava a rendersi evidente era che non si trattava più dei soli immigrati e dei loro diritti. Ma si inizia a comprendere che l’immediato ripristino dei diritti dei migranti costituiva anche l’occasione per una riflessione dello stato di salute di tutti gli altri nostri diritti costituzionalmente garantiti, molti dei quali funzionalmente collegati ad essi.
In particolare, il diritto dei parlamentari (dell’opposizione) di salire sulla nave, nell’ambito della loro funzione istituzionale di controllo dell’attività dell’Esecutivo, ai quali, almeno inizialmente, veniva impedito l’accesso alla nave. E così pure i diritti delle associazioni umanitarie, delle ONG, a intervenire nelle situazioni di disagio, ecc.
Per non parlare del comandante della Diciotti, costretto a cambiare rotta e ad attraccare nel porto di Catania, senza un ordine scritto, ma pare, sulla base di un semplice post su facebook. I militari dell’equipaggio (della Guardia costiera) del pattugliatore Diciotti, anch’essi, di fatto, sequestrati assieme ai migranti e costretti a fare i secondini, invece di poter continuare a svolgere la loro attività istituzionale. Subendo in tal modo una grave interferenza e senza che il ministro delle Infrastrutture, Toninelli, da cui dipende la Guardia costiera, obiettasse alcunché.
Si è assistito a una tale quantità di forzature istituzionali, quando non alla violazione di norme costituzionali e di diritti calpestati (i diritti dei minori non accompagnati, il diritto dei parlamentari al controllo sull’Esecutivo, il diritto alla difesa, il diritto/dovere di informazione, ecc.), che ci si chiedeva se il vero problema fossero ancora gli immigrati trattenuti sulla nave, che certamente pativano il maggiore grado di sofferenza, o se questo non costituisse soltanto un semplice pretesto per una stretta repressiva, da parte del ministro dell’Interno, anche per saggiare la sua forza all’interno del Governo, nelle istituzioni e nel Paese.
Peraltro, il Ministro anche a seguito delle pressioni provenienti da varie parti, provava a spiegare perché i migranti ospitati nella nave Diciotti non fossero stati fatti scendere dalla nave. Il motivo è che essi avrebbero commesso delle gravi illegalità. Ma se fosse stato così e l’unica illegalità di cui avrebbero potuto essere chiamati a rispondere, era quella dell’immigrazione clandestina – in base alla legge Bossi-Fini – perché allora impedire l’accesso agli avvocati e perché trattenere i migranti, piuttosto che sottoporli a un regolare processo, ovviamente dopo averli fatti uscire dalla nave?
Delle due l’una: o avrebbero commesso dei reati e allora avrebbero dovuto essere sottoposti a processo davanti a un giudice, con tutte le garanzie degli imputati; o non avrebbero commesso alcun reato e allora la loro detenzione di fatto non avrebbe avuto alcuna ragione giuridica. Peraltro, i migranti della Diciotti (provenienti al 90% dall’Eritrea, tutti quindi potenzialmente rientranti nello status di rifugiati) erano giunti nella acque territoriali italiane dopo essere stati soccorsi, pare, al largo (17 miglia circa) dell’isola di Lampedusa, quindi in acque internazionali. La tesi del reato di immigrazione clandestina non era francamente sostenibile.
Qualcosa però inizia a muoversi nella serata del 22 agosto.
Il Procuratore capo di Agrigento, intervenuto personalmente per un’ispezione sulla nave Diciotti, chiedeva formalmente al Governo di fare sbarcare i minori non accompagnati, in ottemperanza di leggi e convenzioni internazionali. Lo stesso faceva il Procuratore di Catania. Quanto agli aspetti penali il Procuratore ipotizzava non solo il reato di detenzione illegale, ma anche quello ben più grave, di “sequestro di persona” contro ignoti, e di abuso d’ufficio. Il Ministro consentiva allo sbarco dei minori non accompagnati, accentuando però la polemica con la Magistratura, in particolare con il Procuratore di Agrigento che aveva aperto un’indagine inizialmente contro ignoti, sfidandolo apertamente (“Io non sono un ignoto”) e l’Unione Europea, i cui Stati membri non erano disponibili a una distribuzione degli emigranti fra i vari Paesi europei.
La sera di domenica 26, dopo una grande manifestazione al porto di Catania in cui si chiedeva la fine del blocco dello sbarco, viene deciso, da parte del Governo, di far scendere, prima un piccolo gruppo per motivi urgenti di salute e dopo qualche ora il grosso dei migranti dalla nave Diciotti.
La conclusione positiva della vicenda non può tuttavia esimerci da una serie di considerazioni. La maggior parte dei migranti sbarcati, circa un centinaio, sarebbero rimasti in Italia in virtù di un accordo, così veniva dichiarato dal Governo, con la CEI (Conferenza Episcopale Italiana). Si parla della CEI come se fosse uno Stato estero, ma in realtà la gran parte degli immigrati della Nave Diciotti, resterà nel nostro Paese, dove – smentendo le dichiarazioni furenti del ministro Salvini –potrà richiedere lo status di rifugiati.
Si finge peraltro di ignorare che da decenni organizzazioni cattoliche, parrocchie, Caritas, Centri Astalli, Beati i costruttori di pace, e tanti altri (non vorrei dimenticare nessuno!) sono in prima linea nella pratica dell’accoglienza. La Comunità di S. Egidio, insieme ad altre organizzazioni, prevalentemente evangeliche, ha pure organizzato un sistema di corridoi umanitari per facilitare lo sbarco regolare dei richiedenti asilo, in Italia e in altri Paesi.
Lo stesso papa Francesco, spesso sbeffeggiato e irriso da leghisti e loro amici della stampa, (il Giornale, Libero, Il Tempo, la Verità, ecc.) con un gesto solo simbolico, ma denso di significato, aveva aperto le porte del Vaticano a una famiglia di profughi siriani.
Ma non era proprio la parte politica di Salvini e dintorni a criticare le organizzazione cattoliche che accoglievano immigrati, accusandole quasi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina? Oppure mettendo in atto, come Casa Pound nel Veneto, anche episodi di vero e proprio squadrismo contro organizzazioni cattoliche impegnate nell’accoglienza a stranieri?
Si dice che tale accoglienza sarà gratuita e senza ulteriore carico di spese per lo Stato, ma resta il fatto che – come precisa il comunicato dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) – “qualora propongano domanda di protezione, hanno diritto di essere inseriti nel sistema pubblico di protezione al pari di qualsiasi altro richiedente: potranno eventualmente avvalersi (come già avviene per i migranti trasferiti in Italia nell’ambito dei cosiddetti “corridoi umanitari”) in sostituzione di detto sistema, dell’intervento privato della Chiesa, ma ciò non toglie che anche per loro la procedura di esame della domanda dovrà svolgersi in Italia, quale Paese di primo arrivo”, ai sensi del Regolamento di Dublino.
Ma anche il trasferimento dei restanti migranti in Albania e Irlanda, merita qualche considerazione.
L’Irlanda non è forse uno dei Paesi che aveva rifiutato l’accoglienza alla riunione di Bruxelles, immediatamente precedente, del 24 agosto? La questione resta senza risposta a meno che non si voglia collegare l’attuale consenso alla presenza, in quegli stessi giorni, di papa Francesco sul suolo irlandese.
Quanto all’Albania, si pongono alcuni problemi. Questo Stato non ha ratificato una serie di convenzioni relative ai rifugiati. Come si possono trasferire dei migranti in fuga da una sanguinosa dittatura in un Paese che non riconosce lo status di rifugiato e che potrebbe decidere di trasferirli, a sua volta, in un altro Paese (quello di provenienza o un altro, ad es. la Libia) dove non sono minimamente tutelati i diritti umani?
È ancora l’ASGI a precisare: “Non potranno in alcun modo essere trasferiti in Albania – Paese che non è parte dell’Unione Europea e il cui sistema normativo in materia di protezione internazionale non è conforme al Sistema Comune Europeo di Asilo – contro la loro volontà: nessuna norma nazionale o internazionale lo consente; pertanto eventuali trasferimenti in detto Paese potranno avvenire solo per effetto della libera scelta del richiedente”.
Il ministro dell’Interno si scagliava poi contro il Procuratore di Agrigento, che lo aveva inscritto nel registro degli indagati, assieme al Capo di Gabinetto del Ministero, per i reati, di abuso d’ufficio e sequestro di persona.
L’accusa da parte del Ministro e dei suoi supporters (sempre le stesse testate giornalistiche in precedenza citate) è ovviamente quella di protagonismo e di voler fare, indebitamente, politica e che oltretutto il comportamento del Ministro rientrerebbe nell’ambito dell’attività politica (e degli “atti politici”), che sarebbero sottratti in quanto tali ai controlli giurisdizionali. Una tipologia di accusa lanciate altre volte contro magistrati che avevano iniziato procedimenti penali contro esponenti politici.
In realtà, il tipo di indagine e la relativa conclusione, con la trasmissione di tutti gli atti alla competente Procura del Tribunale dei Ministri (nella fattispecie presso la Corte di Appello di Palermo), che dovrà inoltrarli al Tribunale dei ministri per il completamento delle indagini, è un’ipotesi espressamente prevista dalla Costituzione all’art. 96 (reati compiuti dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni) e dalle leggi attuative. Il riferimento agli “atti politici” è decisamente fuorviante e riguarda la funzione amministrativa e la non sottoponibilità degli “atti politici” al giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato), non già la responsabilità penale (che ha per oggetto i reati). Pertanto, il comportamento del Procuratore di Agrigento costituiva un’attività dovuta: c’era una notizia di reato, occorreva intervenire. Oltretutto, l’iscrizione nel registro degli indagati non costituisce una sentenza, ma soltanto l’inizio di un’indagine.
Peraltro il Procuratore di Agrigento, trasmettendo gli atti all’organo giudiziario costituzionalmente competente e affidando a questo l’ulteriore prosecuzione delle indagini, si era spogliato del tutto dell’azione penale – che aveva solo promosso – e pertanto non avrebbe potuto gestire più nulla in merito ai reati contestati. Il suo lavoro è quindi destinato a concludersi e l’accusa di protagonismo risulta dunque del tutto strumentale e priva di fondamento.
Il Tribunale dei Ministri
Il Tribunale dei Ministri è una sezione specializzata del Tribunale ordinario, competente per i reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai Ministri nell’esercizio delle loro funzioni.
Peraltro, il procedimento relativo a un reato ministeriale prevede una procedura complessa e piena di garanzie per l’indagato, comprensiva anche di un voto parlamentare.
L’articolo 96 della Costituzione stabilisce, infatti, che “Il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale”.
Ricevuti gli atti, il Tribunale dei Ministri, entro 90 giorni, compiute indagini preliminari può decidere l’archiviazione oppure la trasmissione degli atti con una relazione al Procuratore della Repubblica, affinché chieda l’autorizzazione a procedere.
L’autorizzazione è chiesta alla Camera di appartenenza degli inquisiti. Nel caso del Ministro Salvini, dovrebbe essere quindi il Senato.
La Camera competente – sulla base dell’istruttoria condotta dall’apposita giunta – potrà negare, a maggioranza assoluta, l’autorizzazione ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico.
Come si vede, si tratta di una procedura ultragarantista nei riguardi degli indagati, per i quali è sempre possibile eccepire la sussistenza di quella che si potrebbe chiamare una ragion di Stato. Il reato commesso dal Ministro (o dal Presidente del Consiglio) non sarebbe cioè penalmente sanzionabile se commesso per un motivo politico preminente (un interesse pubblico o un interesse costituzionalmente rilevante).
Da questo punto di vista il Ministro dell’Interno può dormire sogni tranquilli, almeno fintantoché la maggioranza di governo si dimostri compatta, e tale appare, almeno fino a ora.
Tentando una conclusione, si potrebbe affermare che tutto è bene ciò che finisce bene. Ma è proprio così? Io non credo che tutto sia finito. La questione della migrazione incontrollata è destinata a continuare e nel giro di qualche giorno o settimana, si riproporranno le stesse questioni. L’approccio arrogante e muscolare del ministro Salvini, vero capo della coalizione di governo, non si fermerà certamente qui. Ma proprio quest’atteggiamento di sfida con cui affronta tutte le questioni non può non preoccupare. Non soltanto quello che fa, o minaccia di fare, contro i migranti, ma, l’abbiamo visto in questa vicenda, contro i giornalisti, gli operatori sanitari, i parlamentari dell’opposizione, ecc. comportandosi come se il fatto di aver avuto una grossa affermazione elettorale ed essere ministro lo esonerasse dal rispetto di tutta una serie di regole, a cominciare dalla Costituzione, su cui peraltro ha giurato all’inizio del mandato. Qualificare come “medaglie” le eventuali imputazioni da parte della Magistratura, ricordano il “me ne frego” di mussoliniana memoria. Ancora peggio ipotizzare “riforme” della magistratura il cui scopo evidente è quello di legare le mani alle Procure. Il tutto all’insegna del “superamento” dello Stato di diritto.
Appare poi particolarmente significativo il rapporto con Orban, premier d’Ungheria e leader del c.d. gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Rep. Ceca), con il quale ha avuto un incontro, qualche giorno fa a Milano. C’è una notevole affinità, del resto conclamata, fra i dirigenti dei partiti di governo di questi Paesi e il partito di Salvini. Paesi, questi, che vengono presi ad esempio proprio per la chiusura totale all’immigrazione, salvo poi lamentarsi, stracciandosi le vesti, se gli altri Stati dell’Unione Europea non prendono sul serio le rivendicazioni dell’attuale Governo italiano sulla distribuzione degli immigrati e non consentono a un’accoglienza pretesa dall’Italia a colpi di sequestri di migranti, ma strizzando pure un occhio ai Paesi del gruppo di Visegrad.
Non dimentichiamo che Orban, fortemente nazionalista, oltre ad aver rifiutato di accogliere molti richiedenti asilo, facendo mettere delle reti di filo spinato alla frontiera, ha anche disposto forti restrizioni ai diritti civili e politici, mettendo il bavaglio alla stampa non favorevole al Governo e ponendo fine all’indipendenza della Magistratura, mettendola di fatto alle dipendenze del Potere Esecutivo. In altre parole sta svuotando lo Stato di diritto nel suo Paese. Orban e Salvini si sono trovati perfettamente d’accordo su quasi tutto, anche in vista delle prossime elezioni per il Parlamento europeo. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei…
Ultimamente il Ministro degli Interni ha deciso di sgombrare le occupazioni abusive di case, certamente illegali. Verrebbe da dire “ben venga”, se a ciò si accompagni una proposta seria di soluzione del problema abitativo per i senzacasa. Dubito che questo Ministro dell’Interno, e anche il Governo, voglia risolvere il problema. Anche qui, come con i migranti: quello che appare è che l’atteggiamento del ministro sia piuttosto quello di agitare il problema, magari gonfiando i muscoli, in cerca di un facile consenso. La soluzione, se ci sarà, tanto meglio, ma non pare questo l’obiettivo che si è dato il ministro. Ci chiediamo allora quale potrebbe essere la prossima mossa. Non ci vuol molto a capire che, molto probabilmente, potrebbe essere la caccia ai rom con la demolizione dei relativi campi, cosa che il ministro aveva peraltro promesso in campagna elettorale. Ovviamente senza risolvere minimamente il problema abitativo dei nomadi con tutti le questioni connesse, ad es., la scolarizzazione dei minori, ecc., con la sola conseguenza di fare spostare i nomadi semplicemente da un luogo a un altro. Successivamente, possiamo facilmente ipotizzare, potrebbe prendere di mira gli insegnanti, cui il ministro ha già dedicato una felicissima battuta “per fortuna che gli insegnanti che fanno politica in classe sono sempre meno!” – peraltro già pesantemente penalizzati dal governo Renzi, con la cosiddetta buona scuola. Il prossimo obiettivo potrebbero essere probabilmente gli appartenenti alla religione islamica, e così via. Si cerca di convincere che i problemi dell’Italia si risolvano indicando volta per volta, un capro espiatorio, una categoria da bastonare e reprimere e si agisce di conseguenza, nella logica che non bisogna preoccuparsi di risolvere i problemi, ma soltanto di “agitarli”.
L’attuale Ministro dell’Interno ha posto in essere atti particolarmente gravi, altri, forse ancor più gravi ne sta minacciando, che possono configurare una generalizzata stretta repressiva e autoritaria.
Se non adeguatamente contrastato, non soltanto costituisce una grave minaccia ai diritti oggi dei migranti, domani degli occupanti di case, dopodomani chissà, dando vita a una catena pericolosa, per lo stato di diritto, per le nostre garanzie costituzionali, in definitiva, per la nostra stessa democrazia.
Mi piace concludere con i versi del Pastore luterano Martin Niemöller, che ci appaiono di estrema attualità:
“Quando i nazisti presero i comunisti, io non dissi nulla
perché non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, io non dissi nulla
perché non ero socialdemocratico.
Quando presero i sindacalisti, io non dissi nulla
perché non ero sindacalista.
Poi presero gli ebrei, e io non dissi nulla
perché non ero ebreo.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.
Ettore Palazzolo è stato docente di diritto costituzionale presso Università di Catania