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All’Onu grande successo della comunità civile internazionale e di 122 Paesi disarmisti. Prossimo passo le ratifiche nei vari Stati e l’eliminazione totale delle 15.000 testate esistenti.

Nei prossimi giorni la Camera dei deputati discuterà e probabilmente approverà una nuova legge sulla tortura. Il 14 giugno scorso, al termine di un importante convegno a Roma dal titolo "Legittimare la tortura?", avevamo firmato e diffuso un appello ai parlamentari, per invitarli a non votare il testo uscito dal Senato (e sconfessato dal primo firmatario della versione iniziale, Luigi Manconi), perché confuso, inapplicabile e controproducente. Invitavamo i deputati a tornare alla definizione del crimine scritta nella Convenzione Onu contro la tortura, cioè la versione più seria, equilibrata e condivisa al momento disponibile.

Da tanti mi è stato chiesto di raccontare dove affondano le radici del mio impegno per contribuire ad alimentare la “Fraternità” (nei vari ambiti della vita, nell’agire e pensare politico), così come del perché la intitolazione nella mia città di un Centro al Servo di Dio Igino Giordani. Non è semplice farlo dal momento che dovendo far riferimento a un aspetto religioso della mia vita, ho timore di ferire la sensibilità di amici che si dichiarano atei o di fede rigorosamente laica.

Ad oggi la retorica dell'economia di guerra ha prevalso: basti pensare a quante volte abbiamo sentito dire che questo settore è indispensabile per generare posti di lavoro e creare ricchezza. Eppure gli studi al riguardo ci mostrano esattamente il contrario - come ha affermato Raul Caruso, docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore ed autore del libro “Economia della pace” (ed. Il Mulino) durante l'incontro "Economie di pace - tra scenari globali e scelte quotidiane" organizzato dal Forum trentino per la pace e i diritti umani con il patrocinio morale della regione Trentino Alto Adige.

A volte non vedo un fiore/ sulla collina di Palestina, a rallegrare il giorno
di “Colui che rimane”, accerchiato, assediato, senza acqua, né via.

Ieri sera, una pattuglia dell’esercito nigerino ha aperto il fuoco su un veicolo che trasportava migranti in provenienza da Agadez e in direzione della Libia via Dirkou. Un migrante è stato ucciso e tre altri feriti. Secondo una fonte degna di fiducia, l’autista, pensando ad un attacco di banditi armati, ha rifiutato di obbedire alle ingiunzioni delle forze di sicurezza che gli chiedevano di fermarsi. (La redazione del giornale Air info, basato ad Agadez, il 13 giugno 017).

Mercoledì 28 giugno 2017 sarà inaugurato alla presenza delle maggiori autorità civili e militari il nuovo “Centro Polifunzionale” per migranti del Comune di Messina, realizzato all’interno di uno stabile della centrale via Bisazza. Prima che media, forze politiche e sociali e cittadini prendano per buone le narrazioni dell’amministrazione comunale guidata da Renato Accorinti (assessora competente Nina Santisi) è opportuno soffermarsi sulle pesanti ombre del progetto, presentato come il fiore all’occhiello delle politiche cittadine nel settore “accoglienza”. In verità la filosofia che ha condotto al finanziamento e alla realizzazione della nuova struttura è intrinsecamente legata alla visione sicuritaria, fortemente criminalizzante e discriminatoria, di mera gestione dell’ordine pubblico e/o “contenimento” militare del fenomeno migrazione, così come si è affermata in tutti questi anni nell’Unione Europea e in Italia.

Risoluzione del Parlamento europeo spinge verso l'embargo sulle armi all’Arabia Saudita. 
Giovedì scorso, 15 giugno, il Parlamento europeo ha approvato una nuova risoluzione sulla “Situazione umanitaria nello Yemen”. Nessuno degli organi stampa nazionali – che pontificano sulla “guerra dimenticata in Yemen” – ne ha dato notizia. Men che meno, da quanto mi risulta, i partiti italiani dei parlamentari europei che pure l’hanno votata. A diffondere la notizia in Italia è stato il senatore sardo Roberto Cotti (M5S) attraverso la sua pagina Facebook.

Stavo chiudendo l’ufficio per fare ritorno a casa, quando l’occhio s’è imbattuto sul calendario appeso alla parete, la data odierna un impatto inaspettato, improvviso, mi ha catapultato nell’era del ferro e del fuoco, epoche cretacee, jurassiche, risvegliandomi ricordi che credevo sepolti ormai perduti nel tempo. Il 13 giugno di tanti anni fa, del 1984, secoli esplosi e implosi letteralmente, scomparsi, una sorta di caduta all’indietro, dove la memoria storica è letteralmente andata in frantumi.

In un clima solidale, la festosa parata ha visto sfilare in rassegna con i loro stendardi gli amici di Baobab Experience, della Campagna “Ero straniero”, di Assopalestina, di Banca Etica, di Un ponte per..., di Greenpeace, di Arci, del Movimento Nonviolento, di Emergency e tanti altri, accompagnati dalla musica della Banda Murga Sincontrullo. Presenti anche il deputato Giulio Marcon e il Senatore Massimo Cervellini che hanno preferito questa parata civile piuttosto che quella militare ai Fori Imperiali. L’iniziativa è stata promossa dalla Campagna “Un’altra difesa è possibile” (sostenuta da 6 Reti del mondo della pace, del servizio civile, del disarmo e della giustizia), insieme con Un ponte per … e il Movimento Nonviolento.

La Rete Civica Livornese Contro la Nuova Normalità della Guerra ha partecipato questa mattina al presidio di protesta davanti a Camp Darby a Tombolo promosso dalla Campagna Territoriale di Resistenza alla Guerra Area Pisa-Livorno per l’annunciato potenziamento della base militare statunitense.


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