Mosaico di pace/giugno 2019
“Questa finalmente è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa” (Gen 2,23). Le prime parole che la Sacra Scrittura pone sulla bocca di un uomo sono rivolte alla donna, un corpo che gli dice di sé e gli fa prendere coscienza del suo, che rompe gli argini della sua solitudine. È l’altro-da-sé che lo fa scoprire persona capace di accogliere uno-come-sé, fino a riconoscersi persona nella dimensione del dono di sé-per-l’altro, come attuazione del progetto d’amore di Dio nella vita dell’uomo e della creazione.
La redenzione operata dal Figlio di Dio ristabilirà per sempre quella dis-armonia causata dal peccato dell’uomo che, nell’appropriarsi di ciò che gli è stato donato, distoglie lo sguardo dall’autore della vita. Da creatura si fa fautore del suo arbitrio: assoggettando la relazione con l’altro e la realtà a oggetto funzionale ai propri scopi, denatura la libertà della sua figliolanza divina dalla sacralità del dono all’uso-per-sé.
E’ il peccato che getta ombra sulla bellezza originaria e costitutiva di ciò che Qualcuno prima di noi e per noi ha preparato. La conseguente nudità in cui l’uomo si scopre, diviene la vergogna da cui tenterà sempre di divincolarsi, affogando nella concupiscenza delle sue tendenze più egoistiche: il corpo è il campo di battaglia per la conquista, con l’aiuto della grazia, della liberazione del cuore.
‘Per questo Cristo, entrando nel mondo”, restituisce alla persona smarrita la sua capacità di amare, la possibilità di farsi dono, per intessere con tutto e tutti un dialogo di comunione. La Redenzione rende l’uomo nuovamente capace di farsi dono, per intessere con il Creatore e la creazione tutta il dialogo di comunione.
La lettera agli Ebrei ci offre una visione teologica sul corpo, mutuando l’espressione che Gesù stesso rivolge al Padre.
“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta”: la lettera agli Ebrei ci offre una visione teologica sul corpo che, mutuando l’espressione che Gesù stesso rivolge al Padre, dice di un Dio che non vuole per-sé, come invece è per tutte le ideologie e credenze asservite ai mille dei che la storia dell’uomo sa produrre e moltiplicare.
“Un corpo mi hai preparato”, per colmare della Sua divinità la mancanza dell’uomo inscritta nel suo corpo creaturale ferito e indebolito dal peccato, riabilitandolo alla sua attitudine alla comunione: “perché di me è scritto di fare il tuo volere” (cfr. Eb 10, 5\7).
Un volere che lo Spirito di Dio ha alitato sull’informe impasto di terra di Adamo come volontà di vita, facendone corpo di persona.
Un corpo integrato quanto distinto da tutti gli altri corpi della creazione e dell’universo per la sua apertura costitutiva all’oltre-sé e all’altro-da-sé.
Nel mistero dell’Incarnazione il significato del corpo assume il suo più alto significato: Dio stesso sceglie di vestirsi e di abitarlo per porre la sua dimora tra noi, come forma la più degna e la più prossima all’uomo per ri-conoscersi nella sua figliolanza divina.
“Il Verbo si è fatto carne” (Gv 1, 14) per colmare della Sua divinità la mancanza dell’uomo inscritta nel suo corpo provato dal limite e ferito dal peccato, riabilitandolo alla sua attitudine alla comunione per corrispondere all’amore, come espressione massima del dono di sé.
Il dono del Figlio ci fa capire quanto Dio tenga a noi: fino alla resurrezione dei corpi, quando lo spirito avrà finalmente permeato la nostra umanità; quando potremo vederLo e vederci ‘faccia a faccia’ e finalmente il Padre potrà riabbracciare nel Nuovo Adamo ogni suo figlio. Chissà che anche in cielo non si rinnovi l’esplosione della gioia genesiaca finalmente compiuta: “Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne”!
“Questo è il mio Corpo” (1Cor 11,24), dono libero e gratuito dello Sposo che ama fino alla fine, offerta prelibata e somma dell’amore!
Un Corpo che si fa Eucaristia, rendimento di grazie, abbraccio cosmico, dove Gesù riporta noi e l’universo intero nel cuore di Dio, Padre di ogni uomo e Creatore di tutte le cose.
Ciò che ammiriamo dell’umanità di Gesù è la bellezza di un corpo che vive fra noi e con noi nella libertà dei gesti e delle parole, che non si lascia alterare, che non si tradisce e che resta libero anche nell’ora della prova e della morte.
È un Corpo bello nel suo mostrarsi nudo al nostro sguardo, che ci attira a sé nel momento della sua maggiore vulnerabilità e che c’invita a toccarlo, finalmente Vivente, per credere.
Un Corpo bello per la trasparenza tra ciò che è e ciò che fa, bello da bagnare di lacrime e baciare fino ai piedi, bello da profumare esanime nel sepolcro, da adorare in quel pezzo di Pane che dà la vita! Un corpo che si fa ‘via, verità e vita’ per i nostri corpi fragili e ambigui, che manifestano e nascondono, che dicono e non fanno, che presumono verità e “si compiacciono della menzogna”, che simulano servizio e usano potere, che promettono amore e tradiscono, che prendono e non si donano, che vivono…e non vivono!
Il corpo è nudità promessa e consegnata “perché la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11), e se la gioia è già piena di per sé, cosa di più non sarà la gioia piena? Gioia piena è quando si fa dono per te e per sempre: parole d’eternità che riempiono la terra e l’universo intero dell’amore che dà la vita, quello a cui aneliamo “come terra deserta, arida senz’acqua”(Salm 62,2).
Il Suo Corpo, nudità di Sposo di cielo che ama fino a condividere l’umana debolezza della sposa, fino a prendere su di sé tutto di lei rendendosi vulnerabile, fino a farla sua con prezzo di sangue e a morire per lei. Amore di Sposo che mostra nel Suo Corpo Crocifisso la nudità stessa del Padre: la Sua Misericordia!
Questo è il Corpo che la Chiesa è chiamata ad amare e imitare, come sposa fedele che sa mostrare la nudità della sua bellezza proprio nella fragilità della carne, che sa attraversarla fino in fondo, fino alla croce, salvandola dalle forze egoistiche e distruttive del male, con lo sguardo puro di chi sa cogliere la verità di ogni realtà che de te, Altissimo, porta significatione.
Corpo di umanità ferita e oltraggiata è quello che Francesco d’Assisi impara ad abbracciare nel corpo dilaniato e marcito del lebbroso.
Corpo di umanità peccatrice è quello che Francesco non disdegna nel corpo del sacerdote poverello a cui si confessa.
Corpo dell’umanità depauperata ed emarginata dei poveri e dei miseri della terra è quella che Francesco frequenta nelle periferie della sua storia per imparare da loro a farsi fratello.
Corpo che si fa dolce Bambino fra le braccia della sua Madre poverella nel Natale di Greccio, dove Francesco desta il cuore degli uomini assopiti e dimentichi del bambino che è in ognuno di noi.
Corpo di umanità che Francesco incontra nel diverso e che riconosce come prossimo nel dialogo pacifico e fraterno con il Sultano della fede che i più spacciavano come nemica.
Corpo di umanità che Francesco riconcilia nella pace e nel perdono quando nella sua città religione e potere si sfidano nelle ragioni umane e politiche.
Corpo di umanità trafitta quella di Francesco, stimmatizzata dall’amore, sigillo di sponsalità finalmente piena, dove l’Amante diviene ‘una sola carne’ con il Suo Amato.
Corpo di umanità fatta per T\te, quando lo sguardo di Chiara si posa su di lui, quando gli occhi pieni di Dio di questa sorella gli dicono di sé; quando quel corpo di sposa amata e amante, dalla clausura della sua appartenenza a Dio si specchia nel suo; quando quel cuore di madre che si prende cura delle sue stimmate nel chiostro di S. Damiano, lo invita a lodare Dio per le sue creature; quando finalmente, col suo corpo di donna, Chiara potrà baciare il corpo del suo fratello e padre, reso più di cielo che di terra da sorella morte.
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1-2).Questo è il corpo per noi preparato, corpo ricevuto per farne un’umanità piena, umanità piena per farci dono, dono per diventare ciò per cui siamo stati fatti. “Allora ho detto: ecco, io vengo!”