Il recente articolo di Vincenzo Sanfilippo nel numero di settembre di Mosaico di pace, propone un nuovo modo di affrontare i temi del contrasto alle mafie, assumendo due importanti punti di vista, tipici degli studi per la pace.
- Il male sociale che ci appare indesiderabile non è mai cancro circoscrivibile - e quindi asportabile - da un corpo “sano”;
- una trasformazione del sistema sociale, non è praticabile se non ci consideriamo in qualche misura “parti del problema”.
Vorrei proseguire la riflessione iniziata riproponendo la centralità della nozione di conflitto, nel tentativo di far emergere in maniera più evidente gli ambiti conflittuali (già esistenti, nascenti o potenziali) la cui diversa gestione può prefigurare nuovi assetti nella direzione di un superamento della violenza mafiosa ai vari livelli.
A partire da queste ipotesi di lavoro ho cercato di collocare e definire il conflitto mafioso nei termini tipici degli studi teorici delle scienze per la pace.
Per Friedrich Glasl, uno dei maggiori esperti in materia di conflitti, il “conflitto sociale” è un «interazione di agenti (individui, gruppi, organizzazioni, etc.) in cui almeno un attore percepisce un’incompatibilità con uno o più altri attori nella dimensione del pensiero e delle percezioni, nella dimensione emozionale e/o nella dimensione della volontà in una maniera tale che la realizzazione [dei propri pensieri, emozioni, volontà] venga ostacolata da un altro attore». Il conflitto così inteso è parte della vita sociale, ne costituisce un componente basilare. Il conflitto può definirsi come un fenomeno neutro, proprio perché indica questa contrapposizione tra bisogni ed energie differenti. Dipenderà da come si svilupperà se il conflitto sarà tendenzialmente costruttivo o distruttivo. I conflitti sono realtà dinamiche e, pertanto, non esiste una definizione statica degli stessi.
Questa preliminare definizione di conflitto sociale, che delimita e chiarisce il quadro a cui questa riflessione si collega, può evidentemente disorientare quanti di noi si sono fin qui collocati dentro un paradigma anti-mafia. La mafia, non è definibile tout-court come conflitto, ma come un conflitto sociale o, in altri termini, come un sistema all’interno del quale sono presenti svariati conflitti tra loro relazionati che, per motivi culturali, storici e sociologici, restano quasi tutti allo stato latente. Gli stessi aggressori e le stesse vittime sono per lo più invisibili socialmente. L’uso della violenza, la tendenza all’introversione emotiva, l’omertà cristallizzano i conflitti impedendone una gestione di tipo evolutivo. Pertanto il loro disvelamento e la loro analisi in base alle categorie proprie delle teorie sociologiche e delle filosofie sul conflitto costituiscono un primo passo per la trasformazione. Proviamo a compiere il primo passo in questa direzione cercando di individuare gli attori nel conflitto mafioso.
Gli attori di un conflitto spesso non sono solo due ed in qualche misura coinvolgono terze parti, altri “attori” del sistema sociale. Per comprendere bene questo concetto, l’analogia operativa con gli studi sul bullismo è certamente molto utile. L’ambito scolastico e pedagogico ha infatti una dimensione operativa più alla portata della dimensione quotidiana. Tale parallelismo potrà sembrare azzardato, ma rende chiare molte posizioni che si possono assumere anche nei sistemi sociali mafiosi.
Secondo la teoria dell’apprendimento sociale di Bandura nei gruppi di ragazzi si attivano diversi meccanismi di modellamento del comportamento: il bullo suscita spesso ammirazione e identificazione e altri ragazzi sono sollecitati ad agire secondo questo modello; a sua volta il bullo viene rinforzato dal sostegno attivo o passivo di spettatori e aiutanti. La situazione di gruppo innesca un meccanismo di deresponsabilizzazione personale che porta molti membri del gruppo a non intervenire a sostegno della vittima.
Alcuni studiosi finlandesi hanno individuato due elementi rilevanti del bullismo che possono contraddistinguere questo comportamento dall’aggressività individuale: il suo carattere collettivo e il fatto di essere basato sulle relazioni sociali di dominanza e subordinazione.
Questi stessi autori hanno proposto una lettura dei fenomeni di bullismo all’interno del gruppo-classe che fa perno sui “ruoli dei partecipanti”. I ruoli individuati sono sei: bullo, aiutante, sostenitore, difensore, esterno, vittima. Nella Fig. 1 ho cercato di costruire una tabella in cui a fianco dei ruoli individuati nel fenomeno bullismo sono tracciate le possibili posizioni assumibili rispetto al conflitto mafia. Sia nella tabella che nello schema successivo ho inserito una categoria non prevista dagli studi sul bullismo, quella di “amici e parenti delle vittime” per la capacità che tali soggetti hanno nell’attivare la sfera emotiva oltre che per rendere simmetrica la distribuzione dei gruppi rispetto ad un’area centrale caratterizzata dall’indifferenza.
Una categorizzazione di questo tipo può essere integrata con un modello sistemico come quello elaborato da Vincenzo Sanfilippo (2003) e riportato nella Fig. 1 dove, in ogni sottosistema sono collocati possibili attori secondo una sequenza di vicinanza-lontananza tra gli appartenenti all’organizzazione mafiosa propriamente detta e le vittime della mafia.
Tale modello potrà aiutare ad individuare le vittime e gli aggressori, il tipo di violenza esercitata e la varietà delle “terze parti”, collocate in territori neutri o più o meno vicini a vittime e aggressori. In alcuni sottosistemi più categorie potranno fondersi in una sola o assumere contemporaneamente il ruolo di vittima e di aggressore, asseconda del grado di coscienza che l’attore ha del conflitto stesso.
Questo modello rende anche più chiara la dimensione del potere, specialmente del potere mafioso, che va visto, in un’ottica che Sharp definisce “processuale”. Secondo tale visione il potere
aumenta o diminuisce in rapporto all’obbedienza dei suoi “sudditi”. Il potere della mafia non si regge solo sui suoi apparati coercitivi e repressivi, ma anche sulle alleanze che riesce a sviluppare, e, soprattutto, sulla passività delle tantissime persone che, nonostante non lo condividano, lo subiscono, o di quelli che rimangono indifferenti. Sharp vede il potere come un “gigante dai piedi d’argilla”, e i piedi sono proprio formati dalle persone che stanno in fondo alla gerarchia, i quali tuttavia possono prendere coscienza dei propri interessi e del proprio potere, superando la paura della repressione e della coercizione, facendo così crollare il potere della mafia dal basso.
Un esempio concreto potrebbe essere collegato ai negozianti che pagano il pizzo. Questi sicuramente non appoggiano la mafia, la subiscono e sono quindi vittime, ma, con il loro comportamento, dettato dalla paura della repressione e delle violenze, la sostengono, rientrando nel nostro caso nella categoria dei “sostenitori”, se non addirittura degli “aiutanti”. Considerato che i proventi derivanti dal pizzo costituiscono un’importantissima fonte di risorse per la mafia, se un giorno tutti i negozianti di una città smettessero di pagare, la mafia si troverebbe in fortissima difficoltà e nello stesso tempo non potrebbe rispondere in maniera violenta ad ogni singolo commerciante.
Questi modelli, che a primo acchito potrebbero sembrare astratti schemi intellettuali possono facilitare invece domande molto concrete come ad esempio “Dove mi posiziono rispetto al “conflitto mafioso”? “Quali sono gli interlocutori strategici per il cambiamento?”
Il modello presentato mira quindi a definire gli attori, superando il limite dei confini ambigui e ambivalenti del fenomeno mafioso.
Esso può costituire un utile strumento per un’analisi in cui singoli e gruppi possono esercitarsi per rispondere alle domande circa la nostra “complicità” con i sistemi mafiosi.
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Fig. 1 Tabella comparativa tra gli attori sociali nel fenomeno bullismo e in un sistema a dominanza mafiosa
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BULLISMO |
MAFIA |
Bulli |
Leader che mettono in campo attività aggressive e incoraggiano gli altri a partecipare |
Mafiosi in senso stretto (inseriti a pieno titolo in un’organizzazione mafiosa (Cosa Nostra, Ndrangheta”, Camorra, etc.) |
Aiutanti |
Individui più passivi dei bulli, che li aiutano nelle attività ma non le promuovono |
Soggetti non propriamente mafiosi ma che con i mafiosi hanno contatti e collaborano per legami affettivi e familiari, per un tornaconto personale. Soggetti di cui la mafia “si può fidare”. In di questa categoria possono far parte anche politici, imprenditori, etc) |
Sostenitori |
Chi agisce in modo da rinforzare il comportamento del bullo, ad esempio ridendo, incitandolo, o semplicemente stando a guardare |
Coloro che non hanno rapporti di appartenenza alle organizzazioni mafiose ma la sostengono indirettamente: - perché credono sia “giusta” - perché, pur ritenendola negativa, la subiscono per paura di violenze e non la contrastano |
Spettatori (o Esterni) |
Chi non fa niente cercando di rimanere fuori dalle situazioni di bullismo |
Coloro che non prendono posizione rispetto alla mafia, o comunque, rimangono indifferenti |
Difensori |
Chi prende le difese della vittima cercando di far cessare le prepotenze |
Coloro che, pur non conoscendo le vittime, si schierano contro la mafia cercando strumenti per combatterla |
Amici/Parenti delle vittime |
Soggetti vicini alle vittime sul piano familiare e affettivo |
Soggetti vicini alle vittime sul piano familiare e affettivo |
Vittime |
Chi subisce più spesso le prepotenze |
Vittime (più o meno consapevoli) del sistema mafioso |
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Fig. 2 Attori del conflitto all’interno di una rappresentazione del sistema sociale a dominanza mafiosa
Area della contiguità affettiva e familiare |
Area delle attività economiche e produttive |
Area della cultura e della socializzazione |
Area politico- amministrativa |
L’autore
Manfredi Sanfilippo si è laureato a Firenze in “Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti” e ha conseguito la laurea magistrale a Pisa in “Scienze per la pace: Cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti”. È impegnato oggi nel campo dell’educazione, nel quartiere Zisa-Danisinni di Palermo, collaborando con il Centro Tau, un polo educativo, e seguendo, per Save the Children e la Cooperativa E.D.I., il progetto fuoriclasse, che promuove, attraverso la partecipazione di studenti, docenti e famiglie, proposte di cambiamento nelle scuole e nel territorio.