Mosaiconline/febbraio 2020

Tra protezione e costruzione della pace, la risoluzione 1325/2000 su Donne Pace e Sicurezza. Intervista esclusiva a Luisa Del Turco.

Sono trascorsi quasi 20 anni della risoluzione 1325/2000 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Donne pace e sicurezza. È necessaria una riflessione valutativa quanto più realistica possibile del punto in cui siamo oggi rispetto all’attuazione dell’agenda internazionale su Donne pace e sicurezza (Dps) e del relativo Piano d’azione nazionale per la valorizzazione del ruolo delle donne nei processi di pace.

Abbiamo chiesto a Luisa Del Turco, direttrice del Centro Studi Difesa Civile, di aiutarci a capire meglio quali politiche di genere vi sono nell’orizzonte internazionale e nazionali. Luisa De Turco si occupa da più di vent’anni di donne e sicurezza ed è stata la prima iscritta al roster di esperti su Donne pace e sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Grazie Luisa, per il tempo che dedica a Mosaico di Pace e per la condivisione della sua esperienza. Può presentarci il suo percorso personale in relazione a quello tracciato dalla risoluzione 1325/2000 su Donne pace e sicurezza? Perché questa risoluzione è così importante?
Mi fa piacere condividere questa esperienza, che come altre analoghe in altri paesi ha promosso l’evoluzione del dibattito e delle politiche su Dps. Lo sviluppo del primo Piano nazionale dell’Italia è coinciso con il decimo anniversario della ris. 1325, ma l’interlocuzione con le istituzioni era già cominciata qualche anno prima. Grazie a un input della rete internazionale di New York, che è stata all’origine del percorso e che segue puntualmente gli sviluppi dell’agenda Dps, ero stata informata del fatto che anche l’Italia avrebbe adottato un Piano d’azione nazionale. Ho quindi cercato un primo contatto con il Ministero degli affari esteri. Mi fa piacere il riferimento all’esperienza del Centro Studi Difesa Civile in questo ambito, poiché mi permette di spiegare quale sia l’approccio, la motivazione e quali aspetti peculiari di questa agenda internazionale, di per sé molto ampia.
Mi sono imbattuta quasi “incidentalmente” nel ruolo delle donne nella costruzione della pace e questo mi ha subito colpita e appassionata, mentre mi occupavo di guerre, di mantenimento e costruzione della pace e di gestione costruttiva dei conflitti. Scoprii che la storia delle vicende umane, e delle guerre e dei processi di pace, mostravano così degli aspetti meno noti.

Fermiamoci su questo. Quale novità porta la ris. 325 nella discussione internazionale e nazionale sui processi di pace e nelle situazioni di conflitto? E quale ruolo hanno avuto in questo le organizzazioni della società civile?
La società civile non è soltanto uno strumento d’implementazione di questa agenda, ma è anche alla sua origine. Per comprendere a pieno i contenuti e le previsioni della ris. 1325 è interessante ricordare quali sono state le spinte, le constituencies di questo processo. La società civile, le donne, i gruppi di donne si sono organizzate e orientate alla trasformazione non violenta dei conflitti per valorizzare le esperienze dal basso che hanno da sempre sperimentato, dietro le quinte della storia, in tante situazioni di conflitto. Nel 2000, eravamo in una fase storica cruciale di evoluzione del peacekeeping, per cui c’era un interesse specifico anche da parte delle Nazioni Unite, non solo delle agenzie operanti nell’ambito dei diritti umani, ma anche del dipartimento di peacekeeping. Documenti c testimoniano come interessi e istanze in ambito NU siano andati poi a convergere con quelli delle donne. Nel 1995 la Quarta Conferenza mondiale sulle donne ha condotto alla Piattaforma di Pechino, molto lungimirante, di ispirazione direi quasi “pacifista”, ma perché il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si pronunciasse su questo tema occorreva qualcosa in più. Il processo è dunque nato da un interesse convergente da parte di alcuni stati, di specifiche entità della famiglia Nazioni Unite e della società civile.

La ris. 1325 del 2000 riguarda dunque i processi di pace e si articola su tre pilastri, le cosiddette tre PPP, Protezione, Partecipazione, Prevenzione. Ti chiedo di soffermarci su questi tre elementi, sottolineando il legame con la trasformazione dei conflitti, aspetto che mi appassiona.
Sì, volentieri. Accanto all’idea di proteggere le donne dalla violenza bellica si è inserita quella della loro partecipazione attiva ai processi di pace. L’aspetto meno innovativo, non per questo meno rilevante è quello della protezione delle donne nei conflitti armati: già di questo parlavano la Convenzione di Ginevra, i protocolli aggiuntivi, fino allo Statuto della Corte penale internazionale che ha permesso poi di configurare alcune fattispecie già previste in un elenco più ampio comprendente le forme di violenza contro le donne in zone di guerra come crimine di guerra e contro l’umanità. Il carattere innovativo, dove risiede il potere trasformativo della ris. 1325, è il ruolo attivo delle donne nella costruzione della pace. La seconda P, quella fondamentale per caratterizzare l’agenda “Donne pace e sicurezza”, è infatti quella della Partecipazione delle donne, prevista in vari ambiti e a tutti i livelli in materia di pace e sicurezza. Sappiamo che quella di genere è una prospettiva: attraverso essa possiamo vedere la partecipazione delle donne anche ai massimi livelli decisionali, come già previsto dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw), ma nel settore specifico “Donne pace e sicurezza”. Si tratta di donne che partecipano in rappresentanza degli stati, delle Nazioni Unite, nelle OOII...

Qui parliamo di partecipazione a livello istituzionale…
Sì, ma non solo. Nella 1325, anche se la società civile organizzata non è esplicitamente citata come tale, c’è un riferimento importante all’azione di pace delle donne dal basso. La 1325 con la sua natura politica in senso ampio ci dà la possibilità di assicurare la presenza delle donne nelle posizioni di leadership, ma anche la partecipazione delle donne in processi dal basso...

Influenti sul cambiamento reale, sulla trasformazione che costruisce la pace?
Sì, di come si costruisce la pace. Dobbiamo ricordare l’altra P, anzi altre due! La terza P è quella della Prevenzione. Di fatto c’è una difficoltà a passare dalla retorica all’azione, in generale per tutte le politiche. Una sfida per tutti, però questa prevenzione è rimasta in secondo piano a livello operativo, soprattutto perché la prevenzione è stata intesa come prevenzione della violenza basata sul genere, piuttosto che prevenzione dei conflitti, che era l’idea originaria.

La quarta P?
C’è poi un’altra P, quella della Prospettiva di genere in qualsiasi azione, dall’assistenza dei rifugiati alla smobilitazione dei combattenti, dall’azione umanitaria ai negoziati, tutto va fatto in un’ottica di genere che significa non necessariamente “donne”, in considerazione di tutti i ruoli sociali costruiti, a partire dalle differenze biologiche, da una data società in un certo momento storico.

Con uno sguardo all’Italia, cosa puoi dirci di questa triplice prospettiva? Qual è stato nel tempo il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nell’evoluzione della dimensione Donne pace e sicurezza?
L’Italia ha un percorso interessante. La discussione su Donne pace e sicurezza, come la stiamo considerando, non ha trovato subito riconoscimento. Del resto, i paesi sono stati invitati ad adottare piani d’azione nazionali non subito dopo la risoluzione, ma solo nel 2005. Quello dell’Italia era un ritardo relativo. Certamente il primo Piano di azione nazionale, mi assumo la responsabilità di questo giudizio, era piuttosto vago. A dieci anni dalla prima risoluzione, su iniziativa di due organizzazioni della società civile, era stato pubblicato il report Donne, pace e sicurezza. A dieci anni dalla risoluzione 1325, una prospettiva italiana”, da me curato. Il report è stato presentato alla Camera dei Deputati per attenzione e sensibilità di una parlamentare che si è fatta “madrina” di queste istanze. È stato un momento importante. Era presente anche il capo di stato maggiore della Difesa. Era la prima volta che si parlava pubblicamente di questo in certi ambiti. Sia nel paper sia nella presentazione alla Camera sostenni che sarebbe stato opportuno adottare un piano soltanto se fosse stato efficace: altrimenti meglio aspettare. Il primo Pan adottato fu invece lungo e generico, sebbene avesse aperto una breccia. Soltanto il terzo Piano d’azione nazionale (2016-2019) ha segnato una svolta decisiva, dovuta a vari fattori, compreso l’impegno personale di alcuni funzionari ministeriali, in particolare del presidente del Comitato interministeriale per i diritti umani che ha voluto coinvolgere in maniera più significativa e sistematica la società civile che nel frattempo si era meglio organizzata. Oggi abbiamo un Piano migliore nella sua struttura che, grazie a una decisa volontà politica, è stato anche finanziato. Grazie a questo Piano, la società civile, insieme ad alcune università, in particolare al Centro per i diritti umani dell’università di Padova, abbiamo realizzato un progetto di formazione per lo sviluppo dell’expertise e per lo scambio tra rappresentanze delle organizzazioni di vari settori. Grazie a un approccio di grande apertura, in fase di redazione del piano, siamo riusciti ad avere una previsione specifica sulla formazione in materia non solo per i militari, ma anche per la società civile. Sono state selezionate e formate circa trenta persone, soprattutto donne, appartenenti a varie realtà e organizzazioni, attraverso un corso dedicato ( “Civil Society Organization Gender Advisor”). Un percorso che sta dando interessanti frutti. Alcune organizzazioni non governative italiane stanno adottando una gender policy, parte di un processo che considero comune e condiviso.

Tornando all’agenda internazionale su Donne pace e sicurezza, il 23 aprile 2019 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha riconosciuto la violenza sessuale come tattica di guerra e strumento del terrorismo internazionale, adottando la ris. 2467 che rappresenta un passaggio fondamentale nel quadro generale Donne pace e sicurezza. Possiamo sostenere che con questa risoluzione la comunità internazionale, insistendo sulla protezione, stia scegliendo di essere “parziale” e di adottare una prospettiva di genere nei processi di pace?
Il paradigma della 1325 è generale e complesso, non proseguito nelle successive dieci risoluzioni. Nel 2008 viene adottata una risoluzione nell’ambito di alcune iniziative delle NU con un focus specifico sulla protezione delle donne. Questo perché si erano verificati episodi di violenza contro le donne in zone di conflitto di una portata molto ampia e di una forte drammaticità, di una gravità che non potevano rimanere senza risposta. Dalla seconda ris. 1820 fino all’ultima che tu hai citato, la 2467, c’è stata una serie di tappe intermedie che hanno avuto il focus specifico sulla protezione dalla violenza contro le donne, fino all’ultima, appunto, che tratta la questione della violenza sessuale nei contesti di guerra. Questo non necessariamente oscura il resto. Bisogna vedere quanto su questo “resto” si faccia realmente nei vari settori coinvolti (istituzioni, forze armate, società civile). Donne pace e sicurezza è una politica complessa, parte integrante di un’agenda comune della comunità internazionale. Non ho mai criticato un eccesso di zelo in una delle componenti coinvolte. Il problema è implementare il resto. Lo stesso vale per le tre P. È gravissimo che a livello internazionale lo stupro sia diventato arma di guerra, uno strumento vero e proprio, non più un “effetto collaterale”, come veniva abitualmente definito, del conflitto ed è importante che ci sia stata una risposta da parte della comunità internazionale. La mia preoccupazione è che, nonostante il richiamo di ogni risoluzione alla partecipazione, gli effetti concreti su tale aspetto restano minori, anche a livello di politiche. La sfida dell’implementazione sul terreno poi è una sfida su tutti i fronti, ma l’enfasi negli ultimi anni, in effetti, è tornata sulla protezione.

Vuoi aggiungere un’annotazione particolare riguardo al metodo con cui la risoluzione 2467/2019 è stata adottata?
Volentieri. Una nota per me fondamentale: la 1325 era stata adottata all’unanimità. C’era un fronte comune e coeso che superava il Consiglio di Sicurezza stesso per estendersi ad altre componenti, singoli stati, società civile, agenzie. In questo caso no. C’è stata, invece, una mancata comunione d’intenti all’interno del Consiglio di Sicurezza, una mancata sinergia con la società civile e questo è molto grave. Dal punto di vista del processo di sviluppo dell’agenda, come per la nuovissima risoluzione Donne pace e sicurezza (2493), la società civile, quando non contraria, non ha supportato questo ulteriore sviluppo di un’agenda che oggi conta 10 risoluzioni.

Quali suggerimenti ci puoi dare? Quali possono essere le linee attuative, di potenziamento della dimensione di genere all’interno dei processi di pace, che ripongano l’attenzione sulla partecipazione e sulla prevenzione?
Il Centro Studi Difesa Civile ha firmato l’appello del NGOs Working Group internazionale di advocacy, proprio in vista del 2020, nel quale si chiede alla comunità internazionale maggiore rilievo alla prevenzione dei conflitti e una costante partecipazione della società civile allo sviluppo dell’agenda Donne pace e sicurezza. Bisognerebbe potenziare la presenza di figure dedicate, come quelle di gender advisors, così come abbiamo fatto per la società civile attraverso il finanziamento della formazione previsto nel terzo Piano d’azione nazionale. Ci sono, inoltre, moltissime entità che si muovono nel settore della protezione, così come rapporti di monitoraggio dedicati nell’ambito NU. È una “struttura” dettagliata e articolata che spero si possa ottenere anche grazie alla partecipazione dal basso per la prevenzione dei conflitti. La nuova risoluzione adottata a ottobre scorso dal Consiglio di Sicurezza ha di positivo il riferimento esplicito a questi aspetti.

La ringrazio molto per questa conversazione. Mosaico di Pace racconta in modo trasversale e plurale l’impegno della società civile per la pace e di certo questo nostro incontro ha dato un contributo importante alla riflessione sul ruolo delle donne nella costruzione della pace dal basso.

 


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