Mosaiconline/ottobre 2020

Information Clearing House

Quando andai a Hiroshima nel 1967 per la prima volta l’ombra sui gradini era ancora là; era quasi l’impronta perfetta di un essere umano, una donna, a suo agio: gambe divaricate, schiena curva, una mano al suo fianco mentre sedeva aspettando l’apertura di una banca. Allo 8 e un quarto il mattino del 6 agosto 1945, lei e la sua sagoma furono bruciate nel granito. Fissai l’ombra per più di un’ora poi mi incamminai lungo il fiume dove i sopravvissuti ancora vivevano nelle catapecchie. Conobbi un uomo chiamato Yukio, il cui petto era inciso con il ricamo della camicia che indossava quando la bomba atomica fu sganciata.

Descrisse un enorme lampo su tutta la città, “una luce bluastra, qualcosa tipo corto circuito” dopo di che un vento soffiò come un tornado a cui seguì una pioggia nera. “Fui gettato a terra e notai solo che i gambi dei miei fiori se ne erano andati. Tutto era immobile e tranquillo e quando mi alzai c’era gente nuda che non diceva niente. Alcuni di loro non avevano pelle o capelli. Ero certo di essere morto”. Nove anni dopo, tornai per cercarlo ma era morto di leucemia.
“Non c’è radioattività ad Hiroshima”, titolò il New York Times in prima pagina il 13 settembre del 1945, un classico esempio di disinformazione pianificata. “Il Generale Faller”, scrisse William H. Lawrence, “negò drasticamente che la bomba atomica producesse una pericolosa, persistente radioattività”. Solo un reporter, Wilfred Burchett, australiano, aveva affrontato un viaggio pericoloso a Hiroshima immediatamente dopo il disastro provocato dal bombardamento atomico, sfidando le autorità di occupazione alleate che controllavano la “carta stampata”.
“Scrivo questo come ammonimento al mondo”, scrisse Burchett nel Daily Express di Londra il 5 settembre 1945. Seduto sulle macerie con la sua macchina da scrivere Baby Hermes, descrisse corsie di ospedale piene di gente senza ferite visibili che stava morendo per quello che definì “epidemia atomica”. Per questo gli fu ritirato l’accredito stampa, fu messo alla berlina e diffamato; la sua testimonianza alla verità non fu mai dimenticata.
Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki fu un atto premeditato di omicidio di massa che scatenò un’arma di intrinseca criminalità. Fu giustificato da bugie che formano il fondamento della propaganda americana del ventunesimo secolo, lanciando altresì un nuovo nemico e bersaglio: la Cina. Durante i 75 anni da Hiroshima, la bugia che ha retto di più è che la bomba atomica fu sganciata per terminare la guerra nel Pacifico e risparmiare vite umane.
“Persino senza gli attacchi dei bombardamenti atomici” ha concluso un sondaggio della United States Strategic Bombing del 1946, “la supremazia area sul Giappone poteva aver esercitato sufficiente pressione per determinare una resa incondizionata ed evitare la necessità di una invasione. Basato su una dettagliata investigazione di tutti i fatti e sostenuto dalla testimonianza dei leader giapponesi sopravvissuti coinvolti, è opinione del sondaggio che il Giappone si sarebbe arreso anche se la bomba atomica non fosse stata sganciata, persino se la Russia non fosse entrata in guerra (contro il Giappone) e perfino se nessuna invasione fosse stata contemplata o pianificata”.
Gli Archivi Nazionali di Washington contengono documentate proposte di pace giapponese già nel 1943. Nessuna ebbe seguito. Un telegramma spedito il 5 maggio 1945 dall’Ambasciatore giapponese a Tokio e intercettato dagli Stati Uniti metteva bene in chiaro che i giapponesi tentavano disperatamente di fare un’istanza per la pace non escludendo neanche “la capitolazione anche in presenza di condizioni dure”. Non se ne fece nulla.
Il segretario di guerra statunitense, Henry Stimson, disse al Presidente Truman di temere che la flotta aerea americana avesse bombardato il Giappone in modo così devastante da non consentire alla nuova arma di “mostrare la sua forza”. Stimson più tardi ammise che “non fu fatto sforzo alcuno e niente fu seriamente considerato per ottenere la resa all’unico scopo di non dover usare la bomba atomica”.
I colleghi che seguivano la politica estera con Stimson – guardando avanti all’era post-bellica che essi stavano forgiando a loro immagine come affermò magnificamente il pianificatore della guerra fredda George Kennan – misero bene in chiaro di essere “ansiosi di vessare i Russi con l’atomica tenuta piuttosto ostentatamente sul nostro fianco”. Il Generale Leslie Groves, direttore del Progetto Manhattan che realizzò la bomba atomica testimoniò: “Non c’è mai stata illusione da parte mia che la Russia fosse il nostro nemico e che il progetto fosse condotto su quella base”.
Il giorno dopo l’annientamento di Hiroshima, il presidente Truman espresse la sua soddisfazione per “lo schiacciante successo” dell’“esperimento”.
“L’esperimento” continuò ben oltre la fine della guerra. Tra il 1946 e il 1958, gli Stati Uniti fecero esplodere 67 bombe nucleari nell’isole Marshall nel Pacifico: l’equivalente di più di una Hiroshima ogni giorno per 12 anni! Le conseguenze umane e ambientali furono catastrofiche. Durante le riprese del mio documentario “L’imminente guerra in Cina” noleggiai un piccolo aeroplano e volai verso l’atollo Bikini nelle Marshall. Fu là che gli Stati Uniti fecero esplodere la prima bomba al mondo all’idrogeno. È rimasta la terra avvelenata. Le mie scarpe sono risultate “pericolose” per il mio contatore Geiger. Vi erano formazioni innaturali di palme. Non c’erano uccelli.
Mi incamminai attraverso la giungla verso il bunker di cemento dove, alle 6,45 del mattino del primo marzo 1954, il bottone fu premuto. Il sole, che era sorto, sorse ancora e vaporizzò un’isola intera nella laguna, lasciando un enorme buco nero, che visto dall’alto è uno spettacolo minaccioso: un vuoto mortale in un luogo di incanto.
La pioggia radioattiva si diffuse velocemente e “inaspettatamente”. È la storia ufficiale a sostenere che “il vento cambiò inaspettatamente”. Fu la prima di molte bugie come i documenti declassificati e la testimonianza delle vittime rivela.
Gene Curbow, un metereologo incaricato di monitorare il sito del test, disse, “Sapevano dove la pioggia radioattiva sarebbe andata. Persino il giorno dell’esplosione, avevano ancora un’opportunità di evacuare la gente ma la gente non fu evacuata; io non fui evacuato... Gli Stati Uniti avevano bisogno di cavie per studiare gli effetti della radiazione.
Come Hiroshima, il segreto delle Isole Marshall era un esperimento calcolato sulla vita di un gran numero di persone. Questo fu il Progetto 4.1, che cominciò come uno studio scientifico sui topi e divenne un esperimento su “esseri umani esposti alle radiazioni di un’arma nucleare”.
Gli isolani delle Marshall che incontrai nel 2015 – al pari dei sopravvissuti di Hiroshima da me intervistati negli anni Sessanta e Settanta – furono soggetti ad una gamma di tumori, solitamente cancro alla tiroide; migliaia erano già morti. Aborti e nati morti erano comuni; quei bambini che sopravvivevano erano nati orribilmente deformati. A differenza di Bikini, il vicino atollo di Rongelap non fu evacuato durante il test della bomba H. Direttamente sottovento di Bikini, i cieli di Rongelap si oscurarono e piovve quelli che in un primo momento apparvero come fiocchi di neve. Cibo e acqua vennero contaminati; la popolazione cadde vittima del cancro. Oggi è ancora così.
Incontrai Nerje Joseph che mi mostrò una fotografia di sé stessa da bambina a Rongelap. Aveva terribili bruciature facciali e vaste zone del cranio prive di capelli. “Facevamo il bagno alla sorgente il giorno in cui la bomba esplose”, disse, “Una nube di pulviscolo bianca comincio a cadere dal cielo. Riuscii a raggiungere la polvere. La usammo come sapone per lavarci i capelli. Pochi giorni dopo i miei capelli cominciarono a cadere”. Lemoyo Abon disse che “alcuni di noi erano agonizzanti, altri avevano la diarrea. Eravamo terrorizzati. Pensavamo dovesse trattarsi della fine del mondo”.
I filmati di archivio dell’autorità statunitense che ho incluso nel mio film si riferiscono agli isolani come “selvaggi suscettibili”. Sulla scia dell’esplosione, si vede un ufficiale dell’Agenzia dell’Energia Atomica vantarsi che Rongelap “è di gran lunga il posto più contaminato della terra”, aggiungendo che sarà interessante studiare l’impatto umano quando la gente vive in un ambiente contaminato. Gli scienziati americani, dottori inclusi, hanno costruito illustri carriere studiando “l’impatto umano”. Li si può vedere in pellicole tremolanti nei loro camici bianchi, attenti, con i loro appunti. Quando un adolescente isolano morì, la famiglia ricevette una cartolina di condoglianze dal dottore che lo stava esaminando.
Ho fatto il resoconto da cinque “ground zero” nucleari di diverse parti del mondo, Giappone, le isole Marshall, il Nevada, la Polinesia e Maralinga in Australia. Persino più della mia esperienza come corrispondente di guerra, tutto ciò mi ha mostrato l’efferatezza e l’immoralità di un grande potere: cioè il potere imperiale, il cui cinismo è il vero nemico dell’umanità. Questo mi colpì energicamente quando filmai al Ground zero di Taranaki a Maralinga nel deserto australiano. In un cratere a forma di piatto c’era un obelisco recante questa iscrizione: “Un test nucleare britannico è stato effettuato qui il 9 ottobre 1957”. Sull’orlo del cratere c’era questo cartello: “Attenzione,
pericolo di radiazioni. I livelli delle radiazioni per qualche centinaio di metri attorno a questo punto possono essere al di sopra degli standard di sicurezza. Tutto intorno a vista d’occhio, e anche oltre il terreno, era irradiato. Il plutonio grezzo giaceva tutto intorno come polvere di borotalco: il plutonio è così pericoloso per gli umani che un terzo di milligrammo costituisce una possibilità del 50% di contrarre il cancro. Le uniche persone che avrebbero potuto vedere il segnale erano gli indigeni australiani per i quali non c’era avvertimento.
Secondo una fonte ufficiale se fossero stati fortunati sarebbero stati spazzati via come conigli. Oggi una campagna pubblicitaria senza precedenti sta spazzando noi tutti come conigli.
Non abbiamo la benché minima intenzione di mettere in discussione il torrente giornaliero di retorica anti-cinese, che sta rapidamente superando il torrente di retorica anti-russo.
Tutto ciò che è cinese è cattivo, anatema o minaccia. Come tutto diventa confuso quando i nostri leader più insultati dicono così. La fase corrente di questa campagna non è iniziata con Trump ma con Barack Obama che nel 2011 volò in Australia per dichiarare la più alta concentrazione di forze navali statunitensi nella regione asiatica del Pacifico dai tempi della seconda guerra mondiale.
Improvvisamente la Cina era diventata una minaccia. Queste erano stupidaggini ovviamente.
Ciò che era spaventevole era la visione da parte dell’America psicopatica, indiscussa di sé stessa come la più ricca, la più affermata, come la più indispensabile delle nazioni.
Quello che non fu mai disputato fu la sua abilità come bullo prepotente con più di trenta membri tra le Nazioni Unite a patire le sanzioni americane ed una scia di sangue che corre attraverso paesi indifesi bombardati, i rispettivi governi rovesciati, le loro elezioni manipolate, le loro risorse saccheggiate. La dichiarazione di Obama divenne nota come il perno dell’Asia. Uno dei suoi principali avvocati era il suo Segretario di Stato, Hillary Clinton, che, come rivela Wikileaks, voleva rinominare l’Oceano Pacifico, mare Americano. Laddove la Clinton mai dissimulò il suo bellicismo, Obama fu un maestro di marketing. “Affermo chiaramente e con convinzione”, ha detto il nuovo Presidente nel 2009, “che l’impegno dell’America è di cercare la pace e la sicurezza di un mondo senza armi nucleari”. Obama ha incrementato la spesa sulle testate nucleari più velocemente di ogni altro presidente dalla fine della guerra fredda. È stata sviluppata un’arma nucleare “utilizzabile”, conosciuta come B61 Modello 12; ciò significa, secondo il generale James Cartwright, ex vicepresidente del Joint Chiefs of Staff, che “diventare più piccoli ne rende l’uso più concreto”. L’obiettivo è la Cina. Oggi più di 400 basi militari americane circondano la Cina con missili, bombardieri, navi da guerra e armi nucleari. Dall’Australia, a nord, attraverso il Pacifico al Sud Est dell’Asia, Giappone e Corea e attraverso l’Eurasia all’Afghanistan e l’India le basi formano come mi ha detto uno stratega statunitense “il cappio perfetto”. Uno studio della Rand Corporation che, dall’epoca del Vietnam, ha pianificato le guerre americane, è intitolato Guerra con la Cina. Pensare attraverso l’impensabile. Commissionati dall’Esercito degli Stati Uniti, l’autore evoca il famigerato grido di cattura del capo stratega della guerra fredda Herman Khan “pensare l’impensabile”. Il libro di Khan, sulla guerra termonucleare, ha elaborato un piano per una guerra nucleare vincibile.
La visione apocalittica di Khan è condivisa dal segretario di Trump Mike Pompeo, un fanatico evangelico che crede “nell’estasi della Fine”. Egli è forse l’uomo più pericoloso vivente. “Ero direttore della Cia – si è vantato – “mentivamo, imbrogliavamo, rubavamo. Era come se avessimo avuto interi corsi di formazione”. La Cina è l’ossessione di Pompeo. La fase finale dell’estremismo di Pompeo è raramente o mai trattata dai media anglo-americani dove i miti e le menzogne sono una tariffa normale come pure le bugie sull’Iraq. Un razzismo virulento è il sottotesto di questa propaganda. Classificati come “gialli” anche se erano bianchi, i cinesi rappresentano l’unico gruppo etnico ad essere stato bandito, da “un atto di esclusione”, dall’entrare negli Stati Uniti perché erano cinesi. La cultura popolare li ha dichiarati sinistri, inaffidabili, subdoli, depravati, malati e immorali. Una rivista australiana, il Bulletin, si dedicava a promuovere la paura del pericolo giallo come se l’Asia intera stesse per cadere sulla colonia dei soli bianchi con la forza di gravità.
Come scrive lo storico Martin Powers, riconoscendo il modernismo cinese, la sua moralità secolare e “i contributi al pensiero liberale che hanno minacciato il volto europeo, così è diventato necessario sopprimere il ruolo della Cina nel dibattito sull’Illuminismo... Per secoli, la minaccia della Cina al mito occidentale la superiorità lo ha reso un bersaglio facile per le esche da gara”.
Nel Sydney Morning Herald, l’instancabile Peter Hartcher descriveva coloro che diffondevano l’influenza cinese in Australia come “topi, mosche, zanzare e passeri”. Ad Hartcher, che cita favorevolmente il demagogo americano Steve Bannon, piace interpretare i “sogni” dell’attuale élite cinese, di cui apparentemente è al corrente. Questi sono ispirati da desideri per il “Mandato del cielo” di 2000 anni fa. Per combattere questo “mandato”, il governo australiano di Scott Morrison ha impegnato uno dei paesi più sicuri sulla terra, il cui principale partner commerciale è la Cina, con i missili americani del valore di centinaia di miliardi di dollari che possono essere lanciati contro la Cina.
Il minimo è già evidente. In un paese storicamente segnato dal razzismo violento nei confronti degli asiatici, gli australiani di origine cinese hanno formato un gruppo di vigilanza per proteggere i cavalieri delle consegne. I video telefonici mostrano un pilota delle consegne preso a pugni in faccia e una coppia cinese maltrattata razzialmente in un supermercato. Tra aprile e giugno, ci furono quasi 400 attacchi razzisti contro gli asiatici-australiani.
“Non siamo i tuoi nemici”, mi disse uno stratega di alto rango in Cina, “ma se tu [in Occidente] decidi che noi lo siamo, allora dobbiamo prepararci senza indugio”. L’arsenale cinese è piccolo rispetto a quello americano, ma sta crescendo rapidamente, in particolare lo sviluppo di missili marittimi progettati per distruggere le flotte di navi. “Per la prima volta”, ha scritto Gregory Kulacki dell’Unione degli scienziati preoccupati, “la Cina sta discutendo di mettere in allerta i suoi missili nucleari in modo che possano essere lanciati rapidamente su avvertimento di un attacco... Questo sarebbe un cambiamento significativo e pericoloso in politica cinese...”.
A Washington incontrai Amitai Etzioni, illustre professore di affari internazionali alla George Washington University, che scrisse che era stato pianificato un “accecante attacco alla Cina, “con attacchi che potevano essere erroneamente percepiti [dai cinesi] come tentativi preventivi di eliminare le sue armi nucleari, trasformandole così in un terribile dilemma [usalo o perdilo] [che] condurrebbe alla guerra nucleare”.
Nel 2015, gli Stati Uniti hanno organizzato la loro più grande esercitazione militare singola dopo la guerra fredda, in gran parte in gran segreto. Un’armata di navi e bombardieri a lungo raggio ha provato un “Concetto di battaglia tra mare e aria per la Cina” – ASB – bloccando le rotte marittime nello stretto di Malacca e interrompendo l’accesso della Cina a petrolio, gas e altre materie prime dal Medio Oriente e dall’Africa.
È il timore di un tale blocco che ha visto la Cina sviluppare la sua Belt and Road Initiative lungo la vecchia via della seta verso l’Europa e costruire con urgenza piste strategiche su scogliere e isolotti contesi nelle isole Spratly. A Shanghai ho incontrato Lijia Zhang, una giornalista e scrittrice di Pechino, tipica di una nuova classe di maverick schietti. Il suo libro più venduto ha il titolo ironico Socialism Is Great! Cresciuta nella caotica e brutale Rivoluzione Culturale, ha viaggiato e vissuto negli Stati Uniti e in Europa. “Molti americani immaginano”, ha detto, “che i cinesi vivano una vita miserabile e repressa senza alcuna libertà. L’idea del pericolo giallo non li ha mai lasciati... Non hanno idea che ci siano circa 500 milioni di persone che vengono sollevate dalla povertà, e alcuni dicono che sono 600 milioni”. Le conquiste epiche della Cina moderna, la sua sconfitta della povertà di massa e l’orgoglio e la contentezza della sua gente (misurata da sondaggisti americani come Pew) sono fatti intenzionalmente sconosciuti o fraintesi in Occidente.
Questo da solo è un commento sul deplorevole stato del giornalismo occidentale e sull’abbandono di rapporti onesti. Il lato oscuro repressivo della Cina e quello che ci piace chiamare il suo “autoritarismo” sono la facciata che ci è permesso vedere quasi esclusivamente. È come se fossimo alimentati da storie senza fine del malvagio supercattivo Dr. Fu Manchu. Ed è tempo che ci chiediamo il perché: prima che sia troppo tardi per fermare la prossima Hiroshima.


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