Mosaico di pace/luglio 2021/Dossier
Intervista a Donatella della Porta a cura di Anna Scalori
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Donatella Della Porta è sociologa, professore ordinario di Scienza Politica e responsabile del Centro studi sui movimenti sociali alla Scuola Normale di Pisa. Proprio su questo tema le abbiamo chiesto di condividere con noi alcuni pensieri.
Le manifestazioni del Genoa Social Forum del luglio 2001 videro una mobilitazione straordinaria rispetto al numero e all’eterogeneità dei partecipanti, alla capacità di coinvolgimento, alla puntualità dei contenuti. Cosa a suo avviso la rese possibile? E perché, salvo nel 2003 in occasione della seconda guerra del Golfo, il movimento per la pace non fu più capace di tanta mobilitazione?
Il Genoa Social Forum, nato nell’ambito del Social Forum mondiale, fu un punto di arrivo di tanti percorsi che venivano da lontano e che avevano coinvolto diversi movimenti e diverse campagne a livello internazionale. Durante le manifestazioni del luglio 2001 divenne particolarmente evidente, anche per chi non era direttamente coinvolto, la forza di immaginare un “altro mondo possibile” da parte di organizzazioni molto diverse. Una delle cose che stupì gli osservatori fu la capacità di incontro tra questi movimenti, che fino ad allora si erano mobilitati su percorsi differenti e che a Genova resero visibile la molteplicità dei loro colori e la capacità di costruire consenso. Vi era la delusione di tante organizzazioni che si erano mobilitate per la cancellazione del debito nei paesi del Sud del mondo, per l'ambiente, per i diritti delle donne e così via e che confidavano nei processi avviati dalle Nazioni Unite con grandi incontri: Rio per l'ambiente, Pechino per le donne, etc. Tale delusione per l’incapacità delle organizzazioni internazionali di raggiungere quegli obiettivi venne espressa con forza e insieme alla critica per aver avallato un modello di sviluppo guidato dal mercato, insensibile alle sofferenze sociali: Banca mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione mondiale del commercio. Queste organizzazioni si erano mosse soprattutto per la liberalizzazione dello scambio delle merci - una sorta di “globalizzazione cattiva” - e si muovevano in maniera molto poco trasparente. A Genova venne sottolineato il bisogno di trasparenza, giustizia e democrazia.
Uno degli elementi che emerse come profondamente innovativo fu la capacità di tanti gruppi diversi di incontrarsi attraverso il metodo del consenso, che era stato elaborato soprattutto dalle organizzazioni pacifiste: ciò che contava e che stupì fu la capacità straordinaria di portare in piazza tante persone diverse in dialogo tra loro e in grado di pensare ad azioni di protesta e proposta. Fu questo che rese il Genova social forum capace anche di sfociare nel grande momento di protesta contro la guerra nel 2004, che rappresenterà uno dei momenti di maggiore capacità di mobilitazione del Movimento pacifista mondiale. A Genova ritornarono nelle piazze persone e molti giovani con esperienze diverse, dai boy scout ai centri sociali, con la volontà di costruire un movimento transnazionale attraverso una mobilitazione di massa che non rifiutava una globalizzazione responsabilizzante, inclusiva e democratica, ma rifiutava la globalizzazione finanziaria, dei mercati e delle merci.
Oggi, nonostante i temi proposti allora siano ancora più necessari, pare essersi stemperata la capacità di aggregazione tra realtà molto diverse tra loro. Ciò può essere in relazione alla cruenta repressione che si accompagnò a quelle giornate? O al venir meno di possibili interlocutori politici, allora magari residuali ma presenti, in grado di accogliere quelle istanze di cambiamento e di giustizia sociale, economica ed ecologica?
Senz'altro penso che a Genova vi sia stato un trauma, perché la repressione fu violentissima, anche contro manifestazioni autorizzate come quella dei disubbidienti, uno dei gruppi più radicali ma che aveva concertato come stare in piazza. A Genova ci furono poi tanti attori diversi, tante polizie diverse, spesso con dinamiche competitive sia interne che esterne e con una visibile incapacità di coordinamento. Vi fu anche un ruolo importante della politica: il contro vertice di Genova era stato negoziato o almeno organizzato con il centro-sinistra, mentre le manifestazioni si svolsero gli inizi dei lunghissimi anni di governo del centro-destra. La presenza a Bolzaneto del leader dell’allora partito post fascista Gianfranco Fini fu uno degli elementi che sembrarono confermare una volontà di scontro.
Dopo Genova non si verificò più una tale repressione, perché la reazione della società civile, della Stampa Libera nazionale e internazionale, etc. fu di fortissima critica. Quello fu infatti un momento di grandi speranze ma anche un momento scioccante per molti, per i tanti giovanissimi che avevano partecipato. Però non fu un inizio di smobilitazione, perché a Firenze il Movimento per la Pace fu ancora molto forte e straordinariamente di massa. Il declino del movimento dopo il 2004 va cercato secondo me nella difficoltà dei movimenti sociali a mantenere una mobilizzazione permanente attraverso le stesse formule. Quella del social forum era una formula estremamente originale, orientata a creare uno spazio per parlare tra diversi piuttosto che per votare e sconfiggersi, però con il passare del tempo si crearono fatiche e conflitti interni. Gli entusiasmi di Genova e poi di Firenze sulla capacità di tenere insieme tante diverse anime andarono smorzandosi, e i social forum europei successivi videro restringersi il livello di partecipazione. Vennero sostenuti in parte dalle organizzazioni sindacali e in parte da altre organizzazione più strutturate, ma persero la capacità di attrazione dei giovani e di chi non aveva organizzazioni di provenienza, che era stato appunto l’elemento straordinariamente aggregativo di Genova. Una delle caratteristiche dei movimenti è la carsicità, la fatica a mantenere forme di attività che all’inizio sono innovative ma poi diventano routinarie. Inoltre non solo il centro-destra andò al governo, ma il centro-sinistra divenne sempre più esitante sui temi della Giustizia sociale e orientato a recuperare voti a destra, perdendoli così a sinistra. E le organizzazioni che avevano sostenuto Genova e il movimento ritornarono ad essere più autocentrate e gerarchiche - dai sindacati alle organizzazioni cattoliche - e meno capaci di dialogo con tutte le componenti minori che avevano animato l'esperienza del social forum. Quello che accadde dopo non fu esattamente un ritorno al silenzio, ma un ritorno al livello locale, con la conseguente difficoltà di mantenere una mobilizzazione a livello nazionale o europeo. Resistettero però esperienze come il movimento contro la privatizzazione dell'acqua, che ha rappresentato in Italia quello che gli indignados hanno rappresentato in altri paesi. Una notevole capacità non solo di mobilitarsi per il referendum ma anche di ispirare una rete orizzontale e partecipata di cittadini che portò ad una straordinaria vittoria (che però non venne riconosciuta a livello istituzionale).
In Italia ci furono poi forti mobilitazioni di studenti nel 2008-2009 e anche tante proteste contro i governi di austerità come il governo Monti, sostenuto però anche dal centro-sinistra, una di quelle forze che almeno in parte aveva criticato la globalizzazione ai tempi di Genova, riducendo così la possibilità di trovare un punto di appoggio a livello istituzionale. In Italia infatti, diversamente da altri Paesi, c’è stata l’incapacità di creare un'alternativa politica. Non c’è stata una Syriza o la capacità di trovare un’alternativa a un partito Democratico, non c'è Podemos o la capacità di costruire alleanze tra il centro-sinistra e una nuova sinistra. Quindi nel 2011, che è l'anno dei Grandi movimenti del 15 di maggio in Spagna, degli indignados e occupy wall street, in Italia ci sono proteste ma rimangono molto frammentate. Sono riemerse più tardi, anche se attualmente un po' congelate dalla pandemia, proteste su temi diversi che toccano anche molti giovani: dai Fridays for future a Non una di meno. Movimenti che vengono da lontano, che sono stati capaci di innovare molto e si sono specializzati. Quello che manca rispetto al social forum è forse il reintrecciarsi di questi temi. la pandemia ha interrotto un 2019 che era stato, pur se altalenante, molto attivo sulle piazze. Quanto ci sarà però la capacità di costruire anche una rete transnazionale è ancora un punto interrogativo.
L’attuale pandemia ha visto un uso esponenziale di piattaforme e mezzi di comunicazione telematici da parte di tutti. Però già da prima erano iniziate forme di protesta telematica. Dal suo punto di vista la protesta sarà sempre più dematerializzata o ci sarà ancora la necessità del proprio corpo fisico e della piazza per manifestare?
Io credo che i movimenti siano stati sempre avvantaggiati dalla presenza di tecnologie di comunicazione economiche, accessibili e diffuse perché permettono a soggetti economicamente deboli di organizzarsi. Le nuove tecnologie sono utili per la comunicazione, ma io credo che i movimenti continueranno ad avere bisogno di spazi fisici e quindi anche dei corpi. Di quei corpi che nelle manifestazioni di Genova erano visibilissimi: le mani alzate di Rete Lilliput, coreografie importanti, etc. La pandemia ha inoltre accentuato il bisogno di essere presenti e insieme; le nuove tecnologie possono surrogare alcuni bisogni organizzativi e alcune funzioni, ma non tutto. I Social forum si basavano sull’idea di potersi incontrare e parlare in decine di migliaia, non soltanto per manifestare, ma anche per poter interagire con tante formule molte diverse, dalle grandi assemblee a momenti di incontro negli spazi liberi: bisognava incontrarsi fisicamente per creare empatia, per creare riconoscimento e stimolare la comprensione. Non una di meno e Fridays for futures sono stati movimenti che hanno utilizzato strumenti digitali, ma anche sottolineato il bisogno di creare momenti emotivamente intensi attraverso l'uso dei corpi. Quindi credo che lo strumento digitale sia stato importante per mantenere l'organizzazione, costruire conoscenze, organizzare incontri e diffondere alcune idee, ma non possa sostituire tutti gli spazi fisici. I movimenti sono incontri, mosaici, come la vostra rivista Mosaico di pace. Sono fatti di tanti frammenti e questi frammenti non si possono mettere insieme solo nello spazio digitale.
Ultima domanda: riesce a intravedere qualche movimento verso quella capacità di interconnessione che rese possibile il Genoa Social forum? Lo spezzettamento attuale pare infatti dispersivo, con meno capacità di incidere ed ottenere dei risultati, salvo forse legati a piccoli obiettivi...
È sempre difficile fare previsioni, soprattutto in un momento di trasformazioni così rapide e intense. Le ricerche sociologiche che stiamo facendo nel centro di studi sui movimenti che coordino alla scuola normale di Pisa evidenzia che in momenti di crisi, come la pandemia e come fu il decennio 2001-2011, la spinta a connettersi è maggiore. Infatti Black Lives matter nel giugno-luglio dell’anno scorso ha catalizzato molte forze attorno alla protesta contro il razzismo e la violenza della polizia, com'era successo a Genova. Lo stesso per quanto riguarda Non una di meno o Fridays for futures. Questa capacità di creare uno spazio aperto dove persone diverse possono presentare e collegare i propri problemi a quelli degli altri è avvenuto anche sul tema della salute, dell’ambiente e dell’inquinamento, delle donne, connettendoli a quello centrale della cura, creando delle opportunità per allearsi a partire dal riconoscimento dei bisogni e dalla necessità di alleanza. Cosa che fu importante anche per Genova, dove la spinta iniziale a stare insieme fu anche nel riconoscimento di un nemico forte a cui ci si sarebbe potuti opporre soltanto stando insieme. Genova era infatti un movimento di movimenti. Oggi non abbiamo ancora un movimento di movimenti in termini di una struttura che riesca a collegarli tutti, però a livello cittadino abbiamo visto spesso convergere in azioni di cura e solidarietà tanti attori diversi. Naturalmente la pandemia è un momento in cui ci sono opportunità ma ci sono anche forti sfide perché è il momento in cui si diffonde la paura dell'altro, in cui gli incontri dei corpi non sono possibili. E chissà se alla fine della pandemia ci si riabituerà rapidamente a incontrarsi o resteranno molte paure, discriminazioni, diseguaglianze. Sembrano però avviati alcuni processi di consapevolezza che il problema non è limitato all'ambiente, alle donne, ai trans o ai riders, ma che sono problemi collegati uno all'altro. Spesso nei momenti grandi crisi la reazione alla sofferenza è una spinta verso il cambiamento. Ma ci saranno, come dopo Genova, anche molte spinte in senso contrario.
Questa versione dell'intervista, più lunga rispetto a quanto pubblicato nel numero di luglio 2021 di Mosaico di pace, non è stata rivista dall'autore. La Redazione ringrazia l'autrice per la sua disponibilità.