Mosaico di pace/settembre 2021/ Se posso dire la mia 

Gent. Sig. Vanoni,
prima di tutto grazie per l’attenzione con cui segue Mosaico di pace e il nostro lavoro.
Nel merito di quanto scrive, in modo schematico riprendo alcune questioni. Riferendosi alle iniziative per il ventennale delle contestazioni al G8 di Genova, lei parla di “festeggiamenti”. Francamente non ce n’era traccia né nel dossier di Mosaico di pace, né nei molti incontri cui ho partecipato...

Mi soffermo naturalmente solo sul primo aspetto, laddove lei ritiene sia “meglio dimenticare”. Su questo dissento in modo radicale.
"Ricordare” quei fatti è, infatti, prima di tutto un dovere morale verso quelle centinaia di persone inermi vittime di una repressione ferina nelle piazze, nella scuola Diaz, a Bolzaneto che non hanno avuto giustizia. Dimenticare significherebbe fare loro violenza per la terza volta: dopo le botte per strada, le mancate condanne degli aggressori nei tribunali (il processo per l’omicidio di Carlo Giuliani non è mai stato celebrato, così che non si è potuto mai accertare se a ucciderlo sia stato davvero Mario Placanica, e negli altri procedimenti i membri delle forze dell’ordine sono stati in generale prosciolti e dove ci sono state condanne sono state a pene risibili, a differenza delle pesantissime pene inflitte a chi è stato condannato per le devastazioni), ora l’oblio! Come dire: qui non è successo niente.

"Ricordare” la “più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale” significa anche “essere onesti verso la realtà”, come direbbe p. Jon Sobrino, e ristabilire quella verità negata da una narrazione ancora egemone, secondo cui “furono talmente feroci e violente le proteste dei ‘pacifisti’ che successivamente una parte delle forze dell'ordine” realizzarono “pestaggi selvaggi contro persone inermi e indifese”. L’atteggiamento delle forze dell’ordine non fu affatto “reattivo“ e in quei giorni andarono in due scena due copioni: il primo (per es. in piazza Danovi e piazza Manin il 20 luglio) prevedeva l’arrivo dei black bloc che cominciavano a distruggere vetrine, bancomat, ecc., senza che polizia o carabinieri, chiamati dai residenti o fermi a poche decine di metri, intervenissero, salvo poi farlo, quando questi si sono allontanati indisturbati, attaccando violentemente i manifestanti inermi; il secondo prevedeva cariche pesantissime contro cortei autorizzati e pacifici, con successiva “caccia all’uomo”, tanto è vero che le sentenze hanno riconosciuto che la reazione dei manifestanti è stata una forma di legittima difesa.

“Ricordare” è ancora necessario perché, purtroppo, quella pratica repressiva non è “roba del passato”, come hanno dimostrato quanto avvenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ma anche innumerevoli episodi che in questi anni, seppur in dimensioni per fortuna minori, hanno riguardato proteste dei migranti, manifestazioni operaie o, nei mesi scorsi, picchetti dei lavoratori della logistica. E soprattutto non è roba del passato la cultura “fascisteggiante” robustamente presente nelle nostre forze dell’ordine. C’è un’enorme e aperta questione democratica, rispetto alla quale, dopo i movimenti che negli anni Settanta avevano lottato per la smilitarizzazione della polizia e della guardia di finanza e per la democratizzazione dell’esercito, sono stati fatti passi indietro, con la trasformazione dei Carabinieri nella quarta arma (un caso condiviso solo col Cile) e l’apertura di corsie preferenziali per l’assunzione di ex militari di professione (queste ultime decise dai governi di centrosinistra).

"Ricordare” infine, è particolarmente importante nella nostra Italia, un paese istintivamente incline a dimenticare, il quale, a differenza di altri, non ha mai fatto i conti né col proprio passato fascista né coi crimini commessi nei Balcani, in Grecia e nell’ex Urss durante la Seconda guerra mondiale o durante il colonialismo né, più di recente, con le stragi di Stato.

Insomma, più che il “coraggio di capire i poliziotti, servirebbe oggi il coraggio dello Stato e dei vertici delle Forze dell’ordine di chiedere scusa per le violenze commesse, per le bugie, le omissioni e i depistaggi attuati, di collaborare affinché sia fatta piena luce su questi fatti e sollecitare interventi volti all’evitare il ripetersi di quegli illeciti. Altrimenti diventa difficile auspicare un’alleanza tra manifestanti e forze dell’ordine, cui spetta, per funzione, la tutela dell’ordine pubblico.
Un’ultima osservazione: per chi aveva 20-30 anni nel 2001, i fatti di Genova sono stati quello che per la la generazione del Sessantotto è stata piazza Fontana. Un trauma che ha profondamente incrinato la fiducia nelle istituzioni. Tuttavia mai, in questi 20 anni, in una manifestazione si è registrata la presenza di armi da fuoco. Un grande successo della cultura pacifista.

Sull'argomento leggi dossier di luglio 2021: "Venti anni dopo"


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