Mosaiconline/Giugno 2022 - Se posso dire la mia

Nel mio Valdarno, come in tanti territori italiani, esistono i parchi della rimembranza. Nel 1923, un mio conterraneo, Dario Lupi, sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel governo Mussolini, li istituì per celebrare i caduti della Grande Guerra. L’aspetto indiscutibilmente positivo è stata la nascita di numerosi spazi verdi di cui ancora oggi noi usufruiamo in tutta Italia.

Spesso, al centro di questi parchi, su imponenti cippi sono poste statue della Vittoria alata che può portare in mano una corona di alloro, un ramo di palma, o un gladio. Ma può lasciare il posto anche agli ordigni veri e propri (non dei simboli) che venivano usati per uccidere. Tutti questi monumenti riportano su una lapide, insieme ai nomi di chi partì e non ritornò più, frasi del tipo: ai suoi gloriosi morti nella Grande Guerra la città di [,,,] orgogliosa e riconoscente, Onore ai caduti per la Patria. Oppure il ricordo può essere affidato a una scarna parola: presente! La parola ripetuta ossessivamente sulla scalinata di Redipuglia che ricorda 39.800 caduti identificati fra i tanti rimasti senza nome.
All’ingresso del cimitero militare dei soldati alleati della Seconda guerra mondiale, a pochi chilometri da casa mia, a Indicatore (Arezzo), una lapide porta questa scritta: “Their name liveth for evermore”.
Mi sono sempre chiesto quale messaggio trasmettono oggi tanti monumenti, (al di là delle intenzioni di chi li ha innalzati), “riconoscimenti” spesso messi in essere da personaggi che magari avevano invocato la guerra stando comodamente seduti nei loro salotti.
È vero (quasi banale) sottolineare, che ogni persona che riceve un messaggio, lo interpreta secondo la sua cultura, la sua sensibilità, ma anche chi lo invia lo carica, più o meno consapevolmente, secondo questi fattori: così il messaggio può veicolare significati addirittura opposti.
Per un certo periodo, fui impegnato nella commissione toponomastica del mio Comune e, d’accordo con gli amici della commissione, ottenemmo che l’ennesima mitragliatrice offerta all’ammirazione dei passanti portasse un’insolita espressione; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo: Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci, non si eserciteranno più nell’arte della guerra. (Isaia, 2, 4).
A quanto ci fu riferito, qualcuno storse il naso, ma la mitragliatrice e la frase sono lì…per quanto possa valere.
La narrazione, le storie, il ricordo, delle guerre in particolare, si affidano a linguaggi diversissimi ed è normale che così avvenga. A me personalmente la guerra, ogni guerra, anche quelle raccontate nei libri di storia ha suscitato sempre una valanga di perché nel mio percorso sia di studente che di docente. Quelli della generazione di giovani degli anni pieni di promesse del Concilio, di quella generazione convinta che si stesse aprendo una nuova era, esprimevano le loro interiori domande e le loro speranze, anche affidandosi a una semplice canzone le cui parole commovevano… spingevano a muoversi verso…, a guardare avanti, a lasciarsi alle spalle il buio: “Ancora tuona il cannone, ancora non è contenta di sangue la belva umana” (1964 Auschwitz, Equipe 84), “Non importa se qualcuno sul cammino della vita/ Sarà preda dei fantasmi del passato/Il denaro ed il potere sono trappole mortali/ Che per tanto e tanto tempo han funzionato […] Noi non vogliamo cadere. Non possiamo cadere più giù/ Ma non vedete nel cielo/ Quelle macchie di azzurro e di blu/ È la pioggia che va, e ritorna il sereno”. (È la pioggia che va, Pooh, 1966)
Il sereno non ritornò che a sprazzi.
Chi non ricorda quella immagine straziante della bambina in Vietnam che sotto le bombe al napalm correva piangendo tutta nuda? Era il 1972.
È stato detto che questa immagine fu un messaggio che colpì l’opinione pubblica mondiale, a tal punto che accelerò il processo verso la pace. Il sereno non è tornato neppure negli anni seguenti…. Le guerre sono continuate in tutto il mondo…genocidi, scontri tribali e ideologici, pulizie etniche…
Uomini di buona volontà di ogni credo politico o religioso, di ogni razza, hanno cercato di inverare anche nei decenni che hanno seguito le due guerre mondiali il messaggio espresso dalla fulminante
espressione paolina la lettera uccide, lo spirito vivifica (2 Corinzi 3,4-12). Ma si è continuato a seguire la lettera a tutti i livelli e a ignorare lo spirito.
Dopo la Prima guerra mondiale nacque, nel 1919, zoppa, la Società delle Nazioni e non funzionò, Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946 nacque, zoppa, l’Onu, e non funzionò, non funziona.
Pochi ricordano la Dichiarazione di Helsinki, l’atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa che si tenne a Helsinki nel 1975 e che venne firmata da trentacinque stati, tra cui gli Usa e l’Urss. Per l’Italia era presente un uomo di pace, quell’Aldo Moro che tre anni dopo sarebbe stato assassinato dalla belva umana. Ancora la “lettera” fece fallire tutti questi sforzi.
Ancora oggi si discetta sulle definizioni di genocidio, di crimine contro l’umanità; addirittura si sono coniati ossimori come guerra umanitaria, ma gli umani continuano a morire. Con orgoglio qualcuno diceva che l’Unione europea aveva garantito il più lungo periodo di pace della sua storia…è vero, ma le guerre continuarono, anche alle nostre porte, con un’Europa, impotente o inerte.
La belva umana risorgeva sempre.
Spero che, se e quando qualcuno leggerà queste mie strane divagazioni, la guerra in Ucraina sia finalmente finita e la pace, quella vera, sarà ritornata in quei luoghi martoriati. Ma, in questo momento non possiamo fare a meno di chiederci: quale messaggio ci viene dalla martellante “informazione” dei media? O dalle manifestazioni per la “pace” strattonata da schieramenti opposti? Una “tragedia”, non una forma letteraria! Una vera tragedia umana è diventata oggetto di un “copione” che tanti, in maniera più o meno professionale, più o meno onesta, hanno scritto e scrivono.
Un tempo, non lo dico con nostalgia, sentimento che non fa parte del mio sentire, i dibattiti televisivi, anche su tematiche estremamente scottanti e delicate, erano appuntamenti settimanali, parchi, chiaramente mirati a coltivare quella sana diversità cara alla democrazia. La moltiplicazione delle reti, legittimamente sviluppatesi, ha iniziato a incrementare dibattiti che via via sono entrati a far parte del gioco, dello spettacolo, del divertimento. Non a caso si chiamano indistintamente Talkshow (termine che personalmente detesto).
Temo, ma spero tanto di sbagliarmi, che questo martellante insistenza finisca per banalizzare delle realtà che impongono un equilibrio, una sapienza, una cultura che hanno bisogno di tempi lunghi per radicarsi.
Forse la seguente può apparire una digressione inutile in questo contesto. Ma, pensiamo, almeno per il nostro Paese, all’erosione lenta e inesorabile di quella visione della Scuola che le silenziose, ma sostanziali riforme avevano costruito nel secondo Dopoguerra, puntando alla formazione delle persone. Le picconate cominciarono con l’introduzione nei percorsi scolastici delle dinamiche che
portavano, all’abbandono di quella efficienza unita alla solidarietà, che invocava il cardinal Martini. Pensiamo solo alla trasformazione stessa dei linguaggi di riferimento alla istituzione Scuola che ha perso la sua dimensione comunitaria ed educativa in senso lato: …dirigenti, utenti; pensiamo alla caccia agli studenti con sistemi propri di un supermercato nei cosiddetti open day (altra espressione che non amo). Il vuoto culturale è colmato da un gioco massacrante e del tutto inutile di progetti, progettini fumosi ed effimeri a cui viene sacrificata la concreta costruzione della persona a cui ci aveva richiamato don Lorenzo Milani. Quello che avviene nella scuola , avviene in tanti percorsi
comunicativi che ci accompagnano …. Tutti percorsi e contenuti legittimi…..legittime le marce,
legittimi i servizi televisivi, legittimi i dibattiti, legittimi i progetti… Ma personalmente mi hanno profondamente turbato alcuni di questi percorsi, immagini, contenuti a proposito della informazione sulla guerra che vivono tanti nostri fratelli: quando con un sorriso di circostanza si domanda a una signora ucraina che ha dovuto abbandonare suo marito, se le è dispiaciuto lasciare la sua casa…
Quando si intervista una giovane ucraina, collegata a distanza in un rifugio, e le si domanda: quando hai cominciato a odiare i russi? Di fronte alla titubanza della ragazza la si incalza, temendo che non abbia capito: quando è nato il tuo odio per i russi? La ragazza spiega che vuole solo vivere in pace…. Quando si va volutamente a pescare, nel corpaccione liquido in cui siamo immersi, un illustre sconosciuto e lo fai diventare popolare grazie ai suoi sproloqui che mettono in difficoltà un serio e responsabile analista…Si sono moltiplicati (o si sono cercati?) scontri verbali infarciti di offese e di volgarità e si è dato largo spazio alla pubblicità (anche questa legittima, ma del tutto inopportuna) di un romanzo sul tema della guerra…
Si è dato modo di fare spettacolo al solito avvoltoio abituato a spargere escrementi dappertutto e magari ostenta un “rosario” nella stessa mano che il giorno prima “brandiva” un fucile. In un’altra trasmissione le immagini veramente atroci di un bambino che piange sul corpo della madre che non risponde più, e di una mamma che fugge con il volto insanguinato con il bimbo in braccio vengono commentate con l’aggettivo “bellissime”! E in un’altra ancora si indicano le scene con le testuali parole: “guardate, facciamo lo slalom fra i cadaveri!”.
Le telecamere hanno puntualmente seguito a Versailles la riunione dei 27 Capi di Stato europei del 10 marzo scorso convocati per trovare soluzioni. A un certo punto, in primo piano è apparso un gruppetto di questi responsabili (?) politici che si sbellicano dalle risate…si discuteva delle stragi in Ucraina. Le stesse risate che si sono viste fra i partecipanti di una manifestazione per la pace accompagnate da una selva di bandiere assolutamente “divisive”, portate da soggetti incapaci evidentemente di sollevare lo sguardo dai ristretti confini di una narrazione tribale.
Si potrebbe continuare all’infinito.
Ormai tanti conduttori televisivi danno serenamente al loro pubblico l’appuntamento settimanale come si farebbe con gli episodi di un film dell’horror o di fantascienza.
Non sono un analista, né un intellettuale.
Forse dico un cosa che rischia di provocare reazioni da parte di chi gioca con troppa disinvoltura con le parole e non si rende conto che proprio i contenuti di tante parole a noi care, sono a rischio a causa di uno svuotamento del loro significato. È quello che è successo per la pandemia, quando in nome della libertà, si dimenticava che questo sbandieramento, avveniva a scapito, fino alla sua cancellazione dal vocabolario quotidiano dell’espressione bene comune…e …del bene comune stesso. Si discute, si reagisce, ma …pochi, ritornano all’origine della “guerra”, dell’odio, della violenza. Qualcuno riterrà una banalità scontata dire che spesso sono il biblico Mammona e il dio del potere della mitologia greca, Kratos, a governare le scelte degli uomini. E anche in questa vicenda sono presenze reali, non simboli..
Max Weber gli inizi del novecento dipinse in una frase che rimase famosa il futuro degli uomini
“Specialisti senza spirito, edonisti senza cuore”.
Ma, guarda caso, chi la pace la coltiva….con convinzione e sincerità spesso viene cancellato dai media, o viene strattonato per tirarlo dalla propria parte, come è avvenuto e avviene a papa Francesco. Nei giorni della settimana santa ho visto in lui l’icona di quella sofferenza del Cristo narrataci dai Vangeli, una sofferenza frutto della insipienza, della ipocrisia, della presunzione dei
“grandi” e dei “sapienti”.
Mi chiedo perché si sia dato così poco spazio a quelle carovane di “samaritani” che hanno portato aiuti in Ucraina. Anche dalla mia città sono partiti questi silenziosi “samaritani” con i pullmini che hanno scaricato fra le macerie una grande quantità di cose e sono tornati carichi di donne e di bambini.
In questo periodo ho sentito aleggiare più o meno consapevolmente un comune sentimento di fondo: è andata sempre così…gli uomini faranno sempre così.
A me personalmente tanti maestri hanno insegnato che un cristiano (o sedicente cristiano) non può permettersi di dire così.
Mi ha sempre affascinato il pensiero di Theilard de Chardin, il gesuita a suo tempo accusato di “eresia”, di cui, per la sua originalissima posizione, spesso non si coglie il messaggio. Il grande studioso inserisce l’esistenza del male in un processo di evoluzione in cui l’uomo, la storia procedono per tentativi, attraverso anche gli errori, ma alla fine il male sarà sconfitto dal bene. Theilard sottolinea che in questa visione la croce assume un senso veramente universale e profondo; la storia fa passi avanti, anche se talvolta retrocede un po’.
Ma ci si può chiedere: si può concretamente percorrere questa via?
La storia, anche recente ci dice di sì. Quante volte attraverso la tragedia abbiamo scoperto la “resurrezione”?
È possibile che uomini comuni, fermamente convinti dalla speranza, coltivino quella che alcuni hanno definito una “utopia concreta? Ho avuto il grande dono di conoscere due persone che nella loro vita quotidiana hanno coltivato questa utopia, hanno speso tutta la loro vita per realizzarla: Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze, e Alexander Langer con cui passai i momenti indimenticabili della Fuci fiorentina La Pira, fra i tanti viaggi per la pace, raggiunse silenziosamente, con l’umiltà di un anonimo pellegrino, in piena guerra, Hanoi. Strappò ad Ho Ci Min la disponibilità ad aprire la porta a una  possibile trattativa per raggiungere la pace in Vietnmam. Qualcuno (Mammona e/o Kratos) fece fallire quella trattativa e gli uomini continuarono a morire, Langer inseguì per tutta la vita il sogno di far convivere tutte le etnie, tutte le religioni, tutte le ideologie, ma dovette assistere ai genocidi della guerra nella ex Jugoslavia che lo condussero alla disperazione.
La Pira e Langer non sono stati sconfitti, perché ancora oggi, raccogliamo i frutti della loro semina.
Anche oggi non mancano gli utopisti concreti che hanno sempre creduto che le vere vie di comunicazione non sono quelle che, mirano all’Universo, all’impero unico, ma quelle del PLURI verso, come affermava Raimundo Panikkar.
Nel mio territorio esiste una piccola-grande realtà (la Comunità di Rondine vicino ad Arezzo, fondata da Franco Vaccari dove vengono ospitati tramite borse di studio studenti provenienti da popoli in lotta. A pochi chilometri da casa mia esistono altre splendide utopie concrete: la cittadella di Loppiano (Figline-Incisa) dove le parole unità, fraternità, speranza sono incarnate quotidianamente, come in tutte le cittadelle sparse per il mondo sognate da Chiara Lubich, e poi la comunità di Nuovi Orizzonti a Montevarchi, esempio di una solidarietà che fa rinascere le persone a una vita normale.
Per allargare lo sguardo, pochi forse sanno che un gruppo di studiosi di diversi orientamenti stanno lavorando da qualche anno a un progetto che può sembrare visionario”: una costituzione della terra!
Questo gruppo è guidato da Raniero La Valle.
Il testo, diviso in due parti, si sviluppa in 100 articoli. La prima parte (principi e finalità) si ispira decisamente alla Costituzione italiana. La seconda parte ipotizza una Federazione della Terra.
Qualcuno forse sorriderà…ma la serietà dei nomi che stanno dietro al progetto non permettono sorrisi ironici, abbiamo bisogno di queste persone, di questi percorsi…se no il cammino verso il punto Omega come lo chiamava Theilard de Chardin verrà ancora rallentato.

Chiudo con due testimonianze che in qualche modo ci aiutano a coltivare la speranza.

La prima fa parte della memoria della mia famiglia, una piccola testimonianza che ancora non avevo condiviso con nessuno È la triste constatazione dell’assurdità della guerra, dell’impotenza di un uomo normale, normalissimo, come mio padre, che  non avrebbe voluto trovarsi in quella situazione. Mio padre, siciliano di Trapani, era militare di carriera, maggiore dei bersaglieri, di quelli cresciuti con il credo Dio, Patria, Famiglia. Ho ritrovato proprio in questi giorni fra i suoi appunti-ricordo dei giorni di guerra in Africa questo passo: «Soldati: inconsapevoli assassini glorificati. Guerre dei tempi remoti, lontani e vicini…e i giovani morti a Kadesh per la grandezza dei faraoni e quelli delle Termopili, o quelli per l’unione dell’America, o quelli per l’impero romano…o…sono dimenticati sotto il peso dei millenni e dei centenni e forse ricordiamo appena quelli morti nella nostra generazione.
Giovani che hanno offerto il loro sangue per fare una ribellione o per sopprimerla, per i propri ideali o per quelli dei capi. Giovani vite date in pasto alla morte…in nome del popolo. Popoli spinti l’uno contro l’altro al massacro In nome della libertà o della giustizia, della patria o di un’idea. 

Al di là del ponte sul fiumiciattolo c’era una strada che costeggiava la collina lunga e boscosa e sulla collina i nostri soldati e al di là a vista d’occhio su di un’altra collina anch’essa lunga e boscosa il nemico.
Io, con la mia compagnia, arrivavo in quel momento dall’est, forse in quello stesso istante un altro ufficiale nel campo nemico arrivava dall’ovest, anche lui con la sua compagnia, forse ci si avvicinava l’uno all’altro circondati ciascuno dai propri uomini, forse avevano fatto tanta strada per avvicinarsi l’uno all’altro. Io venivo dall’Italia, lui chissà dagli stati Uniti, dal Canadà, dall’India, dalla Francia, o chissà da dove; anche lui era partito per incontrarsi con me.
E lungo la strada da liberi cittadini che erano, erano stati trasformati, vestiti con una divisa, vennero addestrati e venne loro assegnata un’arma e poi tanti soldati, anch’essi armati e tante armi e munizioni per tutta la compagnia e lentamente furono
trasportati sempre più vicini l’uno all’altro, come due masse pieni di odio e di esplosivo, forse fra poco si sarebbero cozzate, sarebbero esplose le due masse, schegge di ferro e brandelli di carne sarebbero volati in aria e impasti di sangue, carne e schegge sarebbero rimasti sul campo di battaglia e come escrementi della morte».
Queste parole hanno illuminato ancora di più quello che già conoscevo del bagaglio culturale e spirituale del babbo, la sua scelta di vita improntata alla solidarietà e alla condivisione. 

La seconda testimonianza è affidata alle indimenticabili parole che Dossetti pronunciò in un periodo della nostra recente storia, il 18 maggio 1994 in occasione della commemorazione dell’ottavo anniversario della morte di Giuseppe Lazzati. L’Italia attraversava ai suoi occhi un periodo di grande decadenza morale e civile. Certamente ferite non materiali come quelle della guerra, ma comunque ferite che facevano temere una mutazione antropologica del nostro popolo (come, in parte, almeno secondo il mio parere, è avvenuto). Dossetti si chiedeva quale sarebbe stata la riflessione di Lazzati di fronte a quella che lui chiamava la diffusa inappetenza di valori che realmente possono liberare e pienificare l’uomo». A quella inappetenza- aggiungeva - corrispondono appetiti crescenti di cose che sempre più lo materializzano, lo cosificano e lo rendono schiavo. Questa è la notte, la notte delle persone: “la notte davvero impotente, uscita dai recessi dell’inferno impotente , nella quale la persona è “custodita” rinchiusa in un carcere senza serrami”(Sap, 17, 13,15).
Anche noi in questo scorcio del 2022 potremmo affidarci, come suggeriva Dossetti, al «breve e un po’ enigmatico oracolo del libro di Isaia
Mi gridano da Seir:
Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella , quanto resta della notte ?
La sentinella risponde:
se volete domandare, domandate.
Viene il mattino, e poi anche la notte, convertitevi, venite !(Isaia,
21, 11-12»,
[…] «L’oracolo di Isaia […] parla di notte, e di notte fonda,
[…] esso non lascia grandi speranze ai suoi interpellanti; con
voluta ambiguità, annunzia sì il mattino, ma subito anche il ritorno
della notte, L’oracolo …non vuole alimentare illusioni di
immediato cambiamento, e anzi invita ad insistere, a ridomandare,
ancora alla sentinella, senza lasciare intravedere prossimi rimedi.
[…] la sostanza ultima dell’oracolo della sentinella è al di
fuori di ogni ambiguità : convertitevi! […], ma può esprimere
anche specificamente il rivolgersi a Dio»
E allora con don Giuseppe ripetiamoci:
«In tanto baccanale dell’esteriore bisogna recuperare decisamente
l’assoluto primato della interiorità , dell’uomo interiore »..


Mosaico di pace, rivista promossa da Pax Christi Italia e fondata da don Tonino Bello, si mantiene in vita solo grazie agli abbonamenti e alle donazioni.
Se non sei abbonato, ti invitiamo a valutare una delle nostre proposte:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/abbonamenti
e, in ogni caso, ogni piccola donazione è un respiro in più per il nostro lavoro:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/altri-acquisti-e-donazioni