Testimoni
Qualifica Autore: docente di Storia della Chiesa moderna e contemporanea alla Facoltà di Lettere dell'Università di Firenze

La pace come scelta di vitaLa relazione della prof.ssa Bruna Bocchini Camaiani all'Assemblea nazionale di Pax Christi Italia

Condivido la scelta del vostro titolo perché il tema della pace rappresenta davvero la scelta di vita di Balducci; è sempre molto presente nella sua riflessione e nelle sue scelte, anche se con modalità, itinerari e decisioni diverse.

All’origine c’è la convinzione profonda della necessità di un radicamento della fede nella storia degli uomini. Richiamava spesso quella espressione di Karl Barth. “In una mano il Vangelo e nell’altra il giornale”. Gli anni Cinquanta e una buona parte degli anni Sessanta per Balducci sono caratterizzati da una profonda affinità e collaborazione con La Pira. Si pensi ai “Convegni per la pace e la Civiltà cristiana”. Quei convegni venivano progettati negli anni difficili della guerra di Corea, in epoca staliniana, e rappresentavano un primo tentativo di dialogo tra mondi contrapposti, nella prospettiva di superare quelle barriere. In quella difficile realtà internazionale e con le diffidenze incontrate nel mondo cattolico, i convegni si erano ripetuti per cinque anni “come riaffermazione ostinata e quasi disperata di pace, mentre la guerra fredda stava per divenire sempre più calda”, scriveva Bernabei sul “Giornale del mattino” (p.343). Ma vanno ricordate le tante critiche e polemiche suscitate anche nel mondo cattolico. Com’è noto il modello della cristianità, insito nello stesso titolo, non permetteva quel “dialogo con l’Est” che era nelle speranze e prospettive di La Pira (1956), ma il modello era stato scelto perché quella impostazione permetteva di avere l’appoggio della Santa Sede, necessaria in una iniziativa internazionale; Montini in effetti ebbe un grande ruolo nell’ottenere la partecipazione delle rappresentanze di molti paesi. Il sindaco chiamava “secessioniste” e “scismatiche” le nazioni dell’Est assenti, alludendo all’unica realtà cristiana, per questo richiamava il Concilio di Firenze del 1439 che aveva riunito la Chiesa d’Occidente e d’Oriente, indicando implicitamente una prospettiva. Le relazioni dei presenti mostravano l’anticomunismo come nota prevalente, anche se veniva contraddetto dalle relazioni centrali di Gabriel Marcel e soprattutto di Charles Journet di impostazione maritainiana, che distingueva nettamente tra Chiesa, cristianesimo e civiltà e sottolineava che “nessuna civiltà sarà mai completamente cristiana” e che “l’identificazione anche solo apparente della Chiesa con una qualsiasi civiltà porterebbe a conseguenze disastrose”. Nei convegni successivi veniva ampiamente argomentata la necessità di un superamento dell’identificazione tra cristianesimo e cristianità, si proponeva un dialogo tra Est e Ovest e tra Nord e Sud del mondo; anche la composizione dell’assemblea mutava, non solo quantitativamente, nel 1956 erano 64, mentre all’inizio erano 31, ma qualitativamente, perché c’erano gli Stati arabi al completo. Nel 1954, il tema, dedicato a “Cultura e rivelazione” aveva come premessa un Appello, scritto da Balducci, Bartoletti e Matteucci, che sosteneva la legittima pluralità delle “diversità culturali sia del passato che del presente” e sottolineava che “nessuna forma di cultura pertanto può con diritto presumere quella preminenza e quella autonomia che solo alla rivelazione compete, nemmeno a rigore alla cultura occidentale”. Nel 1957 il sesto convegno doveva avere come tema “Unità nella diversità” che auspicava: “L’Unità di tutti i popoli, nel rispetto della loro particolare vocazione”. A Firenze questo tema diveniva l’argomento di un volume edito come numero speciale de “L’Ultima”. Balducci partecipava con un saggio su Cristianesimo e cristianità, ma la partecipazione, oltre a La Pira che ne faceva l’introduzione, era di Barsotti, Turoldo, Matteucci, Gozzini, Grassi, Oxilia, e un sacerdote cinese, Hu-Ang. Ma in realtà quest’ultimo convegno non si sarebbe mai svolto perché La Pira registrava una forte avversione della Santa Sede, dell’episcopato e in particolare del potente presidente dell’Azione cattolica Gedda, per la sua partecipazione alla commemorazione di Calamandrei tenutasi in Palazzo Vecchio alla presenza del presidente dello Stato, Gronchi. Di fronte alla Santa Sede che negava un suo rappresentante. Il sindaco rinunciava al convegno e dopo pochi mesi sarebbe caduta anche la sua giunta. Ma del 1955 importante in una prospettiva di dialogo era stata la convocazione di tutti i sindaci del mondo, con il sindaco di Mosca che salutava Dalla Costa all’uscita da Santa Croce. I sindaci di moltissime capitali, di entrambi gli schieramenti, sottoscrivevano un patto di amicizia e pace che rappresentava un’azione di sollecitazione diplomatica a nome di tutte le città, rivendicando il diritto dei popoli alla pace. E ancora dal 1958 al 1964 i Colloqui mediterranei derivavano dalle prospettive, aperte all’interno dei convegni per la pace, dagli interventi  di esponenti dei paesi del Terzo mondo che avevano fatto capire che il Mediterraneo poteva essere l’asse potenziale di un diverso sistema di rapporti tra Nord e Sud del mondo: c’erano stati Incontri non facili, come quello tra algerini e francesi o i colloqui sulla Palestina, con la presenza di Buber che auspicava una federazione di Stati mediorientali dei quali facesse parte Israele; ben presenti poi, con i contributi dei paesi africani, erano i temi della decolonizzazione che indicavano la necessità di accettare una certa relatività storico-culturale dell’Occidente, che doveva liberarsi dalla “mentalità coloniale”. Non si giungeva a soluzioni politico-diplomatiche, ma si indicavano delle prospettive importanti.

Se l’azione per la pace aveva caratterizzato La Pira e anche Balducci in tutti gli anni Cinquanta dal 1961 questa azione si intensificava per l’accelerazione nella corsa agli armamenti legata allo sviluppo dei missili intercontinentali. La Pira esprimeva a questo proposito una sua convinzione storico-teologica: che il mondo si trovasse a un “crinale apocalittico” della sua storia e che fosse indispensabile reagire. Per questo poi ha parlato di un “laboratorio fiorentino” che dal 1961 al 1966, con una serie di iniziative, dalla proiezione “proibita” del film Tu ne tueras point di Autant Lara, alle prese di posizione connesse ai processi di Giuseppe Gozzini, e poi di Balducci, e Milani, fino al progetto di legge elaborato da Pistelli per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, aveva posto con forza all’attenzione nazionale, e in particolare a quella cattolica, la necessità di ripensare in modo radicalmente nuovo il tema della pace, come momento centrale e basilare della convivenza umana e anche, in particolare per Balducci, di una teologia ed ecclesiologia rinnovate.

Dal 1961 La Pira oltre a denunciare il riarmo nucleare, inviando numerosi messaggi diplomatici come quello a Chruscev sul “crinale apocalittico” della storia umana, riapriva il dibattito sull’obiezione di coscienza decidendo di proiettare in forma privata, ma con centinaia di invitati, il film Tu ne tueras point che il regista Autant Lara aveva presentato al festival di Venezia e che era stato censurato in Italia. Grande approvazione trovava questa scelta nella stampa, anche lontana dalla problematica del film, perché di fatto risultava un attacco censorio su problemi politici e quindi incostituzionale. Severe critiche venivano da Andreotti, ministro della difesa, e anche da “L’Osservatore romano”. Si apriva anche un’azione giudiziaria contro di lui, ma gli atti furono inviati alla Corte costituzionale che nel 1964 lo avrebbe prosciolto perché era stata varata una nuova legge sulla censura. La Pira era stata difesa anche da studiosi molto autorevoli come Bobbio e Jemolo,

Il processo a carico di Giuseppe Gozzini, il primo obiettore cattolico in Italia, celebratosi a Firenze nel 1962 aprì un dibattito sull’obiezione di coscienza. Di fatto in Italia il problema non era mai stato affrontato, nonostante che la prima condanna risalisse al 1949 per Pinna, un obiettore non cattolico e che allora fosse stata avanzata da Calosso e Giordani una proposta di legge per legittimare l’obiezione. A Firenze, in appoggio a Giuseppe Gozzini si creava una mobilitazione che aveva un carattere interconfessionale e che assumeva forme di collaborazione tra cattolici e laici. I protagonisti erano, tra gli altri, Balducci, Giorgio Spini, Aldo Capitini, Il pastore Luigi Santini e Walter Binni. La condanna di Gozzini era dovuta, secondo i giudici, al fatto che quella posizione non era condivisa dall’autorità della Chiesa, che aveva una “autorità ben maggiore” e che “l’ordinamento giuridico è dato esclusivamente dallo Stato che esso solo è il metro della moralità e della socialità di un Paese”. Queste tesi, che i giudici avrebbero espresso anche nei processi a Balducci e a Milani, sarebbero poi state oggetto di ampio dibattito. Ma sui contenuti della tradizione cattolica si apriva uno scontro, con don Stefani che parlava della scelta dell’obiettore come “un gesto arbitrario” al quale rispondeva un’intervista di Balducci sul “Giornale del Mattino” che sosteneva la necessità di ridimensionare un “concetto enfatico di patria” e invocava il “dovere di disobbedire” in alcuni casi specifici. Sulla guerra richiamava la dottrina della “guerra giusta”, aggiungendo che, dopo l’invenzione della bomba atomica, la Chiesa aveva “in maniera autorevole dichiarato che una guerra totale sarebbe inevitabilmente ingiusta. Il che significa che nel caso di una guerra totale i cattolici avrebbero non dico il diritto, ma il dovere di disertare”. Pertanto, secondo Balducci, la Chiesa accettava sia il servizio militare sia chi “riteneva di testimoniare la sua volontà di pace rifiutando non il servizio alla patria, ma di servirla indossando la divisa militare” e ricordava che l’esenzione dal servizio militare per i sacerdoti era paragonabile a un’obbiezione istituzionalizzata.

In realtà nell’immediato dopoguerra il tema della guerra totale era stato condannato anche dal manuale di diritto ecclesiastico di Ottaviani, poi i gesuiti di “Témoignage chrétienne”, e lo stesso Congar erano intervenuti ponendo anche il problema dell’obiezione di coscienza. Ma l’accentuazione dello scontro tra i blocchi con la guerra di Corea bloccavano quel dibattito, fino a un intervento di Pio XII, dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, che negava decisamente anche l’obiezione di coscienza. Ma con il pontificato di Giovanni XXIII quel dibattito era ripreso con forza. Balducci veniva denunciato per “istigazione” alla procura della Repubblica e un esposto veniva inviato al provinciale degli scolopi e un articolato capo d’accusa al Sant’Uffizio. Nel primo grado Balducci veniva assolto “perché il fatto non sussiste”, ma il procuratore generale ricorreva per “apologia di reato” e in appello Balducci veniva condannato a otto mesi con la condizionale, che sarebbe stata confermata in cassazione, e approfondivano il problema del parere espresso dallo scolopio, chiedendosi se potesse rispecchiare il pensiero della Chiesa. Citavano I gesuiti Brucculeri e Messineo de “la Civiltà cattolica” e Palazzini, ma mostravano il loro impianto ideologico ignorando completamente il dibattito conciliare che, in particolare in materia di libertà religiosa, evidenziava posizioni di difesa dei diritti della coscienza e soprattutto non citavano la Pacem in terris sulla condanna della guerra nucleare. Per il processo in Cassazione la difesa presentava i pareri favorevoli a Balducci dei più rilevanti teologi europei, da Rahner a Congar a padre Tucci, attuale direttore de “La Civiltà cattolica”. Ma la condanna veniva confermata.

Le riviste cattoliche erano molto prudenti, l’analisi delle posizioni assunte evidenziavano lo sconcerto e la impreparazione su questi temi, mentre il dibattito lentamente avrebbe mostrato una certa maturazione. Su una rivista ufficiale come la “Civiltà cattolica”, che nel 1950, in occasione della proposta di Giordani, Messineo aveva affermato che “l’obiezione di coscienza trae la sua origine dal soggettivismo religioso e morale introdotto dal protestantesimo” ora manteneva il silenzio sulla questione, così come “Aggiornamenti sociali” e “Vita e pensiero”, mentre si era aperto il dibattito conciliare sulla libertà di coscienza. Una rivista come “Il Regno” riportava pareri favorevoli e contrari. A Firenze, “Testimonianze”, “Politica” e “Il Ponte” pubblicavano molti articoli sui temi della pace e rappresentavano una opinione pubblica favorevole in ambito religioso e laico; “Politica”, avrebbe presentato un disegno di legge di Pistelli per il riconoscimento dell’obiezione; anche “Quest’Italia” erano nettamente favorevole. Molto negativa la posizione di “Palestra del clero” che esprimeva una decisa avversione anche a molte delle novità conciliari. Dopo la condanna definitiva di Balducci la posizione de “Il Regno” diventava decisamente favorevole a un riconoscimento da parte dello Stato del diritto della coscienza, mentre pubblicava anche una lettera aperta di appoggio a Balducci di oltre cinquanta intellettuali cattolici, da Scoppola a Jemolo a Verucci o sacerdoti come Clemente Riva. A questo punto, anche “L’Avvenire d’Italia” di Raniero La Valle criticava la sentenza, con un’analisi giuridica. Tutta la vicenda aveva in realtà provocato un dibattito che aveva fatto maturare le posizioni inizialmente ostili, che lentamente erano divenute favorevoli, in particolare dopo la condanna e con quelle motivazioni giuridiche sui poteri dello Stato. Nell’ottobre del 1964, dopo la condanna definitiva Balducci veniva ricevuto in udienza da Paolo VI che aveva sempre mostrato stima e attenzione nei suoi confronti e questo portava ad un’approvazione delle sue posizioni all’interno del mondo cattolico. A Firenze il dibattito poi sarebbe stato ripreso da Milani, dapprima in una lettera molto critica verso Florit e poi nel 1965 con la lettera rivolta ai cappellani militari che avevano definito “espressione di viltà l’obiezione di coscienza”, e poi con il processo a don Milani e la lettera ai giudici.

Per Balducci la difesa dell’obiezione di coscienza si inseriva in quadro di riferimento teologico ed ecclesiologico complesso nel quale la valorizzazione della coscienza individuale faceva parte di un’immagine della Chiesa più articolata, non più “societas perfecta”, ma “popolo di Dio”>, all’interno del quale la figura del fedele acquisiva un riconoscimento e una centralità nuove. Una Chiesa non più modulata su immagini societarie, ma centrata sulla liturgia e sull’annuncio della Parola. In questi anni maturava un superamento definitivo del tema della cristianità, per una forte valorizzazione degli esiti sociali e politici dell’ispirazione cristiana della fede, e un ridimensionamento, e in prospettiva un abbandono, della cosiddetta “dottrina sociale”. Ma gli anni del post-Concilio evidenziavano, in particolare nella Chiesa italiana, una prassi di continuità con la mentalità e la prassi precedente, in particolare verso la fine degli anni Sessanta, con numerosi casi di dissenso che rivelavano crisi profonde. Lo stesso Montini, che Balducci, pur ammirando il suo essere un “raffinato uomo di cultura”, riteneva avesse una immagine della Chiesa troppo contrassegnata da una assoluta centralità nel rapporto con il mondo, che “implicava (…) la difesa a oltranza di certi valori portanti della tradizione”. Così come era avvenuto con la Humanae vitae. Ma la sua convinzione profonda era che “la rivoluzione del Concilio è stata compiuta quando al centro dell’aula conciliare è stato posto il Vangelo (…). Al Concilio di Trento non c’era il vangelo al centro. (…)”. Questo significava che “la Chiesa doveva interrogare sé stessa non riferendosi ai suoi documenti del passato, ma alla volontà di Gesù Cristo” (p.88). I conflitti del post-Concilio lo coinvolgevano in prima persona, voleva mantenere una “fedeltà critica”, rimanendo “in comunione con la Chiesa e i suoi pastori” ma cercava anche di spiegare la diffusa sfiducia nell’istituzione, della quale condivideva alcune ragioni. In uno dei momenti di crisi scriveva a Paolo VI: “Forse il mio posto è proprio qui, alle frontiere dell’inquietudine”, ma aggiungeva: “conflitti del genere non arrivano mai a rimettere in questione la mia fedeltà” (257).

Balducci aveva sperato che la centralità della Scrittura avrebbe messo in second’ordine l’apparato teologico come tale di cui denunciava “la struttura inguaribilmente occidentale” che era di impedimento per l’evangelizzazione, e dopo alcuni anni affermava: “In quel giro di anni, di delusione in delusione, sono giunto alla convinzione che la Chiesa, assumendo sé stessa come centro, non è in grado di realizzare l’universalità di cui è potenzialmente segno e strumento. Basti pensare alla sorte toccata alla collegialità, che non è cosa da poco; basti pensare al ristabilirsi di un certo stile monarchico pontificio (…). Basti pensare anche ai rapporti dell’istituzione con gli apparati politici, specie con la realtà politica del nostro Paese. Di delusione in delusione si è trasformata in tesi la mia ipotesi che fosse possibile guardare la Chiesa a partire dal mondo (…) come punto di riferimento del progetto di salvezza e come luogo di elaborazione dei suoi contenuti storici”. Negli anni Settanta Balducci si convinceva che quel cattolicesimo ideologico che era ancora ben presente nella Chiesa italiana era alla fine e che fosse necessaria una rifondazione della fede a partire dalla riflessione sulla liberazione che viene da Cristo e dall’annuncio della Parola. Da queste premesse derivavano poi, più compiutamente negli anni Ottanta, alcune modalità nuove di riproporre i temi della “cultura della pace” e poi dell’“uomo planetario”. Valorizzava alcune tematiche di diverse teologie, dalla teologia politica di Metz a Rahner, con la sua “svolta antropologica”, al “cristianesimo non religioso” di Bonhoeffer. Condivideva una conclusione che anche Chiavacci aveva espresso “La filosofia (…) non è più in grado di offrire una metafisica, un sistema assoluto all’interno del quale l’uomo possa trovare una sua spiegazione. Ogni metafisica oggi è idolatria”. Ma un modello di grande rilievo era quello della Chiesa latino-americana che, in particolare con l’esperienza dell’assemblea di Medellin, evidenziava una capacità di superare la tradizione eurocentrica per cogliere i “segni dei tempi”, scegliere il modello del buon Samaritano e compiere quella “scelta dei poveri” che si realizzava in una prassi evangelica di liberazione, esemplificata negli scritti di Frei Betto (Calos Alberto Libanio Christo), che Nei sotterranei della storia, elaborati nelle carceri brasiliane, aveva espresso una severa critica della teologia occidentale.

Consapevole di una profonda “crisi delle ideologie”, cercava allora di proporre una “vera rivoluzione culturale” con l’edizione di una Enciclopedia della pace che prevedeva una serie di pubblicazioni importanti, di autori di diverse epoche e origine ideologica che riflettevano sulla pace e nuovi modelli di convivenza. Da queste premesse derivavano anche i convegni di “Testimonianze” negli anni Ottanta: “Se vuoi la pace, prepara la pace”. Questa prospettiva veniva proposta come esito necessario della “unificazione planetaria e (del) il ripiegamento della specie su se stessa provocata dalla possibilità della morte totale (…) il nuovo umanesimo nasce appunto dalla consapevolezza della necessità di questa tradizione”>>. Rispetto alle obiezioni possibili ribadiva la sua speranza: <<Conosce veramente l’uomo chi crede nelle sue possibilità ancora inedite. Il tratto essenziale del nuovo umanesimo è la fede nell’uomo e precisamente la fede nella possibilità della specie di abbandonare l’età delle guerre come, un tempo remotissimo, abbandonò le caverne>>. Una fede intesa come <<virtù laica (…) che metta in second’ordine tutte le appartenenze, anche quelle religiose>>.  Per Balducci si apriva allora anche la possibilità di una <<nuova identità di credente>>, come uomo planetario che superi la tradizione filosofica e teologica occidentale, scriveva: << “Non sono che un uomo”, ecco un’espressione neotestamentaria in cui la mia fede meglio si esprime. E’ vicino il giorno in cui si comprenderà che Gesù di Nazareth non intese aggiungere una nuova religione a quelle esistenti, ma al contrario, volle abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello all’uomo e specialmente all’uomo più diverso, più disprezzato. Egli disse: quando sarò sollevato da terra attirerò tutti a me>>. Allora Cristo era <<universale…com’è universale …l’amore per gli altri fino all’annientamento di sé (…) divenne per sempre il fratello di tutti i disperati>>.

In questa prospettiva, in parte utopica, seguiva anche l’andamento delle vicende delle diverse Chiese cristiane. Nell’evento di Assisi nel 1986, con l’incontro fra le grandi religioni del mondo per una preghiera comune per la pace, gli sembrava di poter vedere una ispirazione di unità <<da attribuire allo Spirito>> in una <<unità che era nell’invisibile, in quell’orizzonte a cui approdava la preghiera di ciascuno>>. <<Per la prima volta – aggiungeva – il mondo è diventato uno e in un mondo diventato uno, Dio non può essere molti>>.

Ma il modello, il vero punto di riferimento di una Chiesa che era radicata nella storia e fondava il suo messaggio nel servizio ai poveri era quello dell’America latina dove nel 1968 a Medellin avevano lavorato insieme con una esperienza comunitaria e spirituale, i vescovi e quei teologi, che poi avrebbero anche dato origine ad una riflessione teologica innovativa, che ponesse come tema centrale la ‘liberazione’ anche economico-sociale e politica dei poveri. Così nel 1992, nei mesi precedenti la sua morte, inaugurava una nuova collana delle Edizioni cultura della pace che si intitolava ‘Le Caravelle’ e il primo volume aveva come titolo Montezuma scopre l’Europa. Il senso di un centenario. Pur consapevole della complessità storica del centenario Balducci voleva proporre una speranza, una possibile prospettiva non solo per la Chiesa: “E per quanto riguarda la Chiesa il prodigio è già sotto i nostri occhi: il suo futuro prossimo si sta costruendo nella terra in cui Las Casas seminò il Vangelo nelle lacrime della disperazione e nel conforto della speranza. Prima del Concilio e subito dopo, fino al 1968, l’anno della grande conferenza episcopale latino-americana, l’egemonia sulla cristianità, per quanto riguarda la riflessione teologica e le forme di vita cristiana era ancora nelle chiese europee, di quelle ad alto sviluppo tecnologico. Ma oggi gli impulsi della novità del pensiero e della vita vengono dai paesi in cui il vangelo fu portato con la spada. Gli evangelizzati hanno già cominciato ad evangelizzare gli evangelizzatori” (p.75).


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