Mosaico di pace maggio 2023/mosaiconline
Riflessioni su Gesù, la nonviolenza e la Bibbia.
Si possono attribuire a Gesù questi aggettivi qualificativi, che oggi designano chi cerca la pace in maniera nuova? Potrebbero apparire se non errati, certo inappropriati, anche perché tali appellativi non si trovano nel Nuovo Testamento.
Quindi andrebbero evitati. Tuttavia, si può controbattere che la problematica di attribuire nomi nuovi a realtà antiche è stata già posta nella Storia e risolta positivamente. Il pensiero corre subito al caso del termine “persona”, che non ricorre nel Nuovo Testamento e ora invece viene tranquillamente attribuito alle tre persone della Trinità. Usato fin dal IV secolo, rimase però oggetto di dibattito ancora nel sec. XIII. Lo testimonia da par suo Tommaso D’Aquino, che non solo risponde all’interrogativo sul suo legittimo uso, ma aggiunge un’importante avvertenza: “Si è costretti a trovare nuovi nomi, per significare l’antica fede circa Dio, dalla necessità di discutere con gli eretici. Né tale novità va evitata, perché non è profana, dal momento che non è discorde dal senso delle scritture” (S. Th. I, q.29, a.3, ad 1). Come dire – ed è stato autorevolmente detto – non cambia il Vangelo, ma cambiamo noi, che riusciamo oggi a comprenderlo meglio.
Risolta la questione della legittimità dell’uso di nuovi nomi, occorre chiedersi se gli aggettivi “nonviolento” e “politico” possono definire meglio la personalità di Gesù, rispetto a quanto dice di se stesso, che è “mite e umile di cuore” (Mt. 11, 29). Chi, infatti, cercando di essere una persona nonviolenta e desiderosa del bene comune della pace – fine della politica – vuole seguirlo per diventare cristiano, e si richiama a lui, e tenta anche di parlare in suo nome, vorrà sapere se in lui può rintracciare la dimensione politica della personalità nonviolenta.
Ebbene, è possibile attribuirgliela se si tiene presente la storia del termine “nonviolenza”, che si contrappone già nel lessico a “violenza”. La lettura storico-critica della Bibbia può aiutare a chiarire il problema.
Nell’A.T., la violenza è ampiamente documentata non solo con la descrizione di tante guerre e crudeli misfatti, ma è addirittura attribuita all’azione di Dio. Un esegeta, Giuseppe Barbaglio, riprendendo la ricerca di altri autori (come p.es. N. Lohfink, Il Dio della bibbia e la violenza, tr. it. Brescia 1985), scrive un saggio dal titolo urticante: Dio violento? (Assisi 1991). In esso, infatti, non solo riporta il gran numero di vicende belliche, oltre seicento, ma aggiunge che vi sono un centinaio di passi in cui appare Jahvé che ordina espressamente di sterminare tutti i vinti: il c.d. Cherem è l’espressione più crudele della guerra santa. Impressionante questo agire di Dio adirato vendicatore sanguinario. Ovviamente oggi diciamo che questa è l’immagine errata che avevano gli antichi scrittori biblici. Infatti, venne Gesù che, ricordando la bontà universale di Dio, invero già cantata da alcuni salmi e da alcune profezie, riuscì a capovolgerla, rivelando all’umanità la nuova immagine di Dio, quale padre misericordioso “che fa sorgere il suo sole su cattivi e buoni e fa piovere su giusti e ingiusti” (Mt, 5, 45). E poi con la sua vita piena di misericordia, fino alla morte quale mite agnello, ha donato la vera immagine del Signore che respinge la violenza assumendola, come chiarito anche da René Girard, autore de La violenza e il sacro.
Ha così avvalorato per sempre l’amore per i nemici, quale segno del regno dei cieli. Allora i primi cristiani compresero alla perfezione il comando di Gesù, che prima della morte intima a Pietro: “Rimetti la spada nel fodero”. Inizia da quel momento la storia nuova di chi non adora l’imperatore e non si sottomette agli ordini ingiusti, come quello di servire nell’esercito, per non uccidere.
Nascono gli obiettori di coscienza al servizio militare. Non si conosce il numero di tali martiri, ma è rimasta la trascrizione del processo di uno degli ultimi: san Massimiliano ucciso nel 295. Dopo due decenni, irrompe la cd “svolta costantiniana”, causata dall’imperatore romano che va in battaglia col vessillo della croce. E poi passa un solo anno ed ecco il Concilio di Arles del 314 affermare: “Coloro che gettano le armi in tempo di guerra sono scomunicati”. Da allora la maggioranza dei cristiani servirà il potere statale anche con le armi. La profezia di pace sembra rimanere confinata nel recinto del sacro, con il privilegio concesso ai sacerdoti e poi ai religiosi di essere esentati dall’obbligo militare. E la politica legittima l’uso della violenza.
Ma la storia dell’amore per i nemici non si ferma, anche se procede di nascosto, rinnegata dai dominatori, scorrendo nei meandri della storia come torrente carsico.
Diversi cristiani, infatti, lungo i secoli preferiscono la morte pur di non essere costretti a uccidere. Addirittura, una piccola ma significativa porzione tra loro, la società degli amici, denominati anche quaccheri, fa professione assoluta di non usare la violenza. Rimane una minoranza negletta. Ma, infine, questo amore per il regno di pace promesso da Cristo viene alla ribalta, sulla scena del mondo, grazie a un famoso scrittore russo, cristiano ortodosso, Lev Tolstoj, che porta alla luce tante figure di poveri giovani europei e americani, che vogliono obbedire al messaggio dello sconfinato amore evangelico. Tolstoj a 50 anni si era rimesso a studiare il greco del N.T. per scoprire ciò che aveva detto veramente Gesù. Così enuclea la verità rivoluzionaria dell’amore dei nemici, incarnato dagli obiettori, e scrive nel 1983 Il regno di Dio è in voi. In esso compare l’imperativo, ripreso da San Paolo: “Non resistere al male con la violenza”, che diventa il manifesto del nuovo pacifismo.
Certo da tempo rifletteva sulla violenza, se già scrivendo il romanzo guerra e pace, dipingeva la sua eroina, la giovane Natascia, molto perplessa quando in Chiesa, chiamata per supplicare l’aiuto di dio contro napoleone che stava per entrare a mosca, era stata costretta, ma si era rifiutata, di pronunciare le parole del salmo 137, che termina con una blasfema immagine contro i nemici: “Beato chi afferri e sfracelli i tuoi lattanti sulla rupe”. Tolstoj non poteva accettare la violenza e per questa ragione condannava senza mezzi termini lo zar e la sovranità degli stati che la praticavano, in particolare con la guerra; come anche le chiese che la assecondavano benedicendo le armi. Ovviamente fu contrastato e vilipeso. Finì anche scomunicato dal chiesa ortodossa, non solo e non tanto per le sue perplessità dogmatiche.
ma il suo libro infine tradotto si diffuse e capitò grazie a un pastore protestante nelle mani di un piccolo avvocato indiano, gandhi, che in sudafrica stava difendendo la comunità dei suoi connazionali in lotta per rivendicare i diritti umani. Si trovava in grandi difficoltà ed era - come lui stesso racconta- molto sfiduciato. Il libro di tolstoj, gli dette tanto coraggio, così da trovare la via e l’ispirazione per definire il movimento di pace che intendeva perseguire, imperniato su due parole: ‘Satiagraha’ o forza della verità (dio) e ‘ahimsa’, cioè nonviolenza. Per comprendere quest’ultimo termine (scritto tutto attaccato), che designa il nuovo modo personale, sociale e politico delle relazioni, non scisso dalla fede, è bene tener presente quanto Gandhi esprime in una delle ultime pagine della sua autobiografia: “ per vedere faccia a faccia l’universale e onnipresente spirito di verità si deve essere in grado di amare il più infimo degli esseri umani come se stessi. E un uomo che aspira a ciò non può permettersi di estraniarsi da nessun campo di attività umana. E’ per questo che la mia devozione alla verità mi ha condotto alla politica; e posso dire senza alcuna esitazione, anche se con assoluta umiltà, che coloro che affermano che la religione non ha nulla a che fare con la politica, non sanno che cosa significa religione”. La novità introdotta dal mahatma consiste appunto nell’assunzione della nonviolenza in un’etica della responsabilità, ciò che comporta un confronto tra violenza e nonviolenza sullo stesso piano, mentre fino a Gandhi la violenza è stata assunta in un’etica politica e la nonviolenza in un’etica religiosa dalle buone intenzioni, cioè in etiche disomogenee, con ispirazioni, strutture e finalità diverse. Tale nuova visione fu compresa perfettamente da Aldo Capitini, che ebbe il merito di tradurla e diffonderla in Italia e poi di rielaborarla secondo i codici della cultura europea con la proposta religiosa, filosofica, pedagogica e politica della prassi nonviolenta, definita come “attiva apertura all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo, alla compresenza di tutti gli esseri”. Era tanto convinto del potere rivoluzionario della nonviolenza attiva da ripetere con razionale speranza: “metto sulla bilancia intima della storia il peso della mia persuasione”. Si definiva solo un laico; tuttavia nella sua riflessione campeggia la figura di Gesù Cristo, il quale – egli afferma - “era per la nonviolenza perché capiva che solo con la nonviolenza l’assemblea pura dal basso, quella convocata dal discorso della montagna, sarebbe andata avanti: la nonviolenza è la prua di un nuovo mondo”. Per rimanere all’Italia sappiamo quanto dopo le guerre mondiali si sia approfondita la coscienza dell’obiezione nonviolenta alle armi, sostenuta fortemente da alcuni pensatori cristiani, accusati di far politica, quali don Mazzolari e don Milani, p. Ernesto Balducci e mons. Tonino Bello, profeti dell’amore nonviolento di “Gesù cristo, nostra pace” (Ef. 2, 14).
Ebbene, è evidente che oggi il magistero della Chiesa, incarnato nelle parole e nei gesti di papa Francesco, sta facendo sua l’apertura multiforme della nonviolenza. Lo testimonia in particolare l’ultima sua enciclica, Fratelli tutti. Ricordando paolo vi, il quale, rifacendosi anche a tommaso d’aquino, aveva affermato che l’amore più alto viene espresso dalla carità politica, egli si domanda: “il mondo può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?” (n°176). Ma già il 1° gennaio 2017 per la Giornata della Pace, fin dall’inizio del messaggio aveva incitato a fare “della nonviolenza attiva il nostro stile di vita” … così “che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali”. Da tali premesse non possono stupire allora le ultime sue affermazioni, in linea con la dottrina sociale della chiesa, contenute in un libro di prossima pubblicazione (El pastor, anticipate dall’Ansa): “Sì, faccio politica, perché tutti devono fare politica. Quando leggiamo ciò che disse Gesù, vediamo che era coinvolto nella politica. E che cosa è la politica? Uno stile di vita per la polis, per la città. Quello che non faccio io, né dovrebbe fare la Chiesa, è la politica dei partiti. Ma il Vangelo ha una dimensione politica: quella di convertire la mentalità sociale, anche religiosa, delle persone”.
Forse allora, sulla base di tali autorevoli parole, non è improprio definire Gesù, che annunciava agli operatori di pace il regno di dio, un "nonviolento politico". Anzi va detto, come affermava don tonino bello, che Gesù è il fondatore della prassi politica della nonviolenza.