Mosaico di pace giugno 2023/Mosaiconline
Riposo e dimensione biologica. In dialogo con la psicologa Raffaella Spinoso. Intervista a cura di Patrizia Morgante
“Quando una persona è esposta a un eccesso di stimolazione nel tempo, ci possono essere alterazioni nella condizione di omeostasi ed equilibrio dell’organismo e si possono verificare i sintomi tipici dello stress acuto. Perché questo? Perché gli stimoli che intervengono dall’esterno possono sollecitare la persona a stare in modo ripetuto e prolungato, in una condizione di iperattività, tensione/attenzione, vigilanza.”
Incontro Raffaella in casa sua, comodamente sedute sul divano, con un registratore tra noi, immerse nella sua quotidianità, coccolate dalle grida di suo figlio che gioca in camera sua, immaginando dialoghi con esseri fantasiosi. La mia postura su quel divano va cambiando nella mezz’ora che dura la conversazione. Il mio corpo, la mia muscolatura reagisce alla voce, alla postura e alle riflessioni che ascolto.
Raffaella è psicologa con competenze psicofisiologiche, segue l’approccio Bio-Esistenziale Psicofisiologico Integrato di Vezio Ruggieri (Ruggieri, 1986). Lei non solo racconta il suo metodo, lo comunica con l’energia del suo corpo e della sua postura.
Secondo questo modello, l’attenzione ha una radice psicofisiologica e posturale molto concreta. “L’attenzione è una forma concreta di tensione che può essere rivolta verso un oggetto fuori o dentro di te. Quando molti stimoli chiamano la tua attenzione contemporaneamente e continuamente e ti sollecitano, è come se fossi portata ad entrare in un ritmo accelerato di risposta non seguito da riposo, entrando in uno stato di tensione e contrazione continua non seguito da un rilascio ed un recupero: è come se si aprissero continuamente delle configurazioni, delle gestalt, ma non si arrivasse mai a un termine, poiché subito l’organismo si rimette in moto.
Ruggieri, nel suo modello, ha cercato di mettere a fuoco la struttura psicofisiologica dell’Io, non in modo astratto ma cercando di studiare da dove nasce, i suoi livelli funzionali e come esso organizza l’attività del corpo (Ruggieri, 2001). A partire dai suoi studi, come medico, e attraverso la sua esperienza di ricerca come docente della cattedra di Psicofisiologia clinica dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, fino al 2003 e presso l’AEPCIS, fino ad oggi, ha messo a fuoco il ruolo che le dinamiche funzionali corporee hanno nella genesi dei processi mentali; l’Io pertanto è da intendere come una funzione psicologica astratta che, però, viene da processi percettivi elementari, più ‘basici’ per così dire.
Il nostro organismo è esposto a vari stimoli che colpiscono i nostri recettori periferici (occhi, orecchie, naso, pelle, ecc.), da qui arrivano direttamente alla corteccia cerebrale, creando una rappresentazione di questa stimolazione.
Questo è già un passaggio importante che trasforma un evento meccanico in un evento astratto.
Dalla rappresentazione, si passa poi alla produzione, tramite gli organi effettori, di un output, cioè un risultato o un’azione.
Tutto si sviluppa nell’interazione tra attività sensoriale (svolta dai nostri recettori) e attività motoria (svolta dal sistema muscolare)”.
Interconnessioni
Il prezioso lavoro psicologico che svolge Raffaella coinvolge il corpo e la parte psicofisiologica: con lei cerchiamo di capire quanto può essere dannoso, per una persona, vivere continuamente stimolata e quanta fatica può fare a riconoscere il bisogno di riposo, di fermarsi, di prendere distanze dal ritmo incessante.
Nella nostra società ci prendiamo cura del corpo più nella dimensione estetica esteriore, per rispondere a ciò che è normato come “esteticamente accettabile”; ma lo ascoltiamo poco nella sua interezza. Un’eccessiva esposizione allo stress, può creare dei danni anche cronici, e ci fermiamo quando proprio non possiamo farne a meno. Non è raro che una malattia o un incidente che coinvolge, portino la persona a rivedere le sue priorità esistenziali e a cambiare il suo stile di vita.
Il modello di Ruggieri sviluppa una teoria dell’Io inteso come una struttura-processo in continuo divenire che affonda le sue radici nel corpo: raccoglie segnali, li sintetizza, li colloca in alcune zone cerebrali e poi, tramite interconnessioni, li riporta all’esterno. Quando c’è una sintesi di tutte queste afferenze, che provengono dalla periferia del corpo, la persona percepisce un piacevole vissuto di unità che lui chiama “narcisismo”. “Questo concetto, che Ruggieri riprende da Kohut, e poi amplia, vede il narcisismo come un’esperienza importantissima per ciascuno di noi, perché è l’esperienza di sentirci uniti, coesi, di sentire di sostenere la nostra struttura e di poter occupare uno spazio, di stare nel mondo con serenità, sentendo il sentimento del diritto di esserci, di esistere”.
Attenzione
Torniamo a parlare di attenzione, e della connessione con la contemplazione, oggi una merce rarissima.
“L’attenzione è un’attività che ha vari livelli e coinvolge il soggetto nella sua interezza: c’è una componente cognitiva, legata alla dimensione intellettuale, una componente per così dire strutturale, legata alla componente muscolare perché per rivolgere l’attenzione verso un oggetto (interno o esterno), un’altra persona ad esempio oppure una situazione, organizzo le mie tensioni muscolari-posturali e le oriento verso quello stimolo. Dietro questa operazione c’è sempre un soggetto; gli stimoli attentivi sono modulati e organizzati da un soggetto”.
Nella contemplazione, si dirige la propria attenzione verso un oggetto esterno (ma anche interno) e su questo ci si sofferma; nella gestione della tensione muscolare e attentiva entra in gioco anche l’aspetto spirituale del soggetto.
Ascoltando questa risposta, comprendo che l’immaginazione può avere un ruolo importante per far dialogare la parte meccanica-fisiologica con la dimensione astratta dell’Io e dell’esistere.
“Spesso si insiste sui danni provocati da una carenza di stimolazioni, ma è necessario considerare anche quelli provocati da un eccesso. Quando una persona è sottoposta a uno stress prolungato ci possono essere modifiche molto profonde che poi si manifestano attraverso una particolare sintomatologia.
Le modifiche sono dovute ad una iper-reattività fisiologica: stimoli eccessivi, somatici e psicologici, causano una sequenza tipica di risposte che comprendono attivazione simpatica e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che si attiva per tutelare l’organismo, attraverso una secrezione maggiore di alcuni ormoni, tra i quali il cortisolo. Questa sostanza, all’inizio, è importante per la difesa dell’organismo, come nel caso dello stress acuto, in quanto arresta tutte le reazioni biologiche avviate dalla risposta stress. Ma una secrezione prolungata nel tempo di questo ormone, come avviene nel caso dello stress cronico, porta al decesso delle cellule dell’ippocampo, creando, pertanto, una modifica strutturale e funzionale. Lo stato di ipereccitazione e iperattività in cui si trova un organismo sotto stress inoltre non permette di modulare le risposte attentive agli stimoli e questo è alla base della sensazione di stare sempre in allarme; il sistema muscolare attraverso l’innalzamento del tono muscolare svolge un ruolo cruciale anche nella percezione di se stessi e dei propri confini corporei la cui percezione può pertanto risultare alterata”.
Comprendo che il problema non è avere momenti di stress o tensione, che tutte e tutti viviamo nella nostra vita, ma la difficoltà nasce quando questi stati si prolungano oltre un tempo e diventano quasi cronici.
“Esatto. Si possono creare nel tempo alterazioni nella percezione di se stessi, modifiche strutturali e funzionali che possono influire su varie funzioni dell’individuo come ad esempio sulla memoria a breve termine, portando la persona a dimenticare più facilmente le cose. La risposta dell’organismo a uno stress acuto è un’iperattivazione, un Hyperarousal dell’organismo che porta a un’attivazione interna continua. Nel nostro modello teorico, questa attivazione è sempre accompagnata da uno stato di tensione muscolare molto concreta. L’Hyperarousal ci fa capire che usciamo da una finestra di tolleranza (per citare un concetto introdotto da Siegel), che è lo stato entro il quale la persona riesca mantenere una sensazione di padronanza di sé, di sostenere gli stimoli esterni, gestire e modulare le risposte attentive, attivare meccanismi di difesa evoluti. Nella finestra di tolleranza ci sentiamo sicuri, non siamo irritabili. Quando invece arriva un’ipereccitazione iniziamo a non modulare più bene le risposte, e ogni stimolo può diventare un allarme e “farci scattare”. Iniziamo ad avere implicazioni sulla qualità e la durata del sonno, difficoltà ad addormentarci, a rilassarci. È ciò che accade a un organismo in perenne stato di tensione e contrazione, al quale non segue una fase di rilascio, quello che viviamo in uno stato di riposo e recupero e al quale accediamo se cediamo in modo opportuno la tensione acculmulata”.
“Uno stato di tensione fisica o distrettuale, ad esempio nella parte superiore del corpo, crea strettoie e rigidità che non permettono un respiro libero, espanso e armonioso.
Questa dinamica di tensione eccessiva, secondo me, è una delle implicazioni negative più evidenti e importanti dello stress, perché spezza un ritmo che serve molto all’individuo per stare in una condizione di armonia con sé e con gli altri, di gestione integrata e matura delle varie funzioni. Il ritmo ideale è creato dalla contrazione muscolare e dal suo successivo rilascio. Come quando ci appoggiamo a qualcuno o a qualcosa. Questo concetto dell’appoggio è strettamente correlato al rilascio della tensione, sia essa fisica e/o psicologica: ad esempio, poggiare un gomito sul bracciolo del divano ti permette di non stare in tensione o in sospensione col braccio e la spalla, di conseguenza, di non avvertire la spiacevole sensazione di fatica che invece subentrerebbe dopo un po’. È buono creare una dinamica in cui io posso cedere questo peso, questa tensione su una struttura di cui mi fido. Correndo sempre vengono meno i momenti in cui possiamo fermarci e appoggiarci; “correndo continuamente da una parte all’altra” (per usare una metafora che può diventare concreta) diventa una sfida maggiore modulare la propria tensione corporea, trovare momenti di riposo, di appoggio delle parti corporee, di strutture interne ed esterne dove lasciar cadere, scaricare la tensione”.
E quindi cosa succede?
“La tensione prolungata, che si può vivere sotto stress continuo, va contro questa dinamica del contrarre/ rilasciare, e si intromette anche a livello di rappresentazioni mentali. Possono esserci ripercussioni sulla percezione di noi come di un’unità: possiamo arrivare a perdere il senso di coesione interna quando c’è troppo stress, sentendoci come frammentati e provati.”
Metaforicamente possiamo trovare degli appoggi di cui ci fidiamo anche per il nostro cuore, la nostra mente e la nostra anima. “Anche solo l’idea di appoggiare il cuore crea una micro risonanza sul corpo; la metafora ha una matrice fisiologica molto concreta, ovvero i muscoli dei distretti implicati nella metafora sono coinvolti, anche se non si vede un cambiamento visibile a livello macroscopico.”
Nella nostra vita accelerata, spesso, non abbiamo il tempo e la consapevolezza di cogliere i segnali e interpretarli come un invito a fermarci: a respirare, a rallentare, a rifugiarci in spazi fisici e emotivi sicuri, a ridurre le stimolazioni. Appunto, a riposare.
Sarebbe un primo passo in questa direzione se ci domandassimo: cosa è chi mi fa riposare? Come mi riposo io? Quali sono i miei punti di appoggio fisici e affettivi per rilasciare la tensione accumulata?
Raffaella Spinoso
Psicologa Clinica e di Comunità. Lavora con l’approccio Bio-Esistenziale Psicofisiologico Integrato di Vezio Ruggieri. Svolge attività di sostegno e riabilitazione a taglio psicofisiologico, lavora nell’ambito del post-traumatico, nell’educazione ed intervento nella sfera sessuo-affettiva.
Specializzata in sessuologia clinica presso l’ISC (Istituto di sessuologia clinica).