Mosaiconline/Mosaico di pace ottobre 2023

Arlecchino dal naso lungo e il rospo razzo resistente di Intag.

Questi i nomi scientifici di due specie di rane in via di estinzione per conto delle quali le comunità della regione di Imbabura a Nord dell’Ecuador decisero di intentare una causa per fermare una concessione mineraria dell’impresa statale cilena Codelco. Un progetto del valore di tre miliardi di dollari per l’estrazione di rame e molibdeno approvato a suo tempo senza le necessarie valutazioni di impatto ambientale e senza consultare le popolazioni locali.

La natura

In realtà, il nocciolo della querelle legale riguardava il rispetto dei diritti della natura, riconosciuti – primo caso al mondo – dalla costituzione ecuadoriana del 2008, che definì la cornice valoriale e istituzionale della “Revolucion Ciudadana” dell’allora presidente Rafael Correa. In una sezione dedicata ai diritti della Natura o “Pachamama”, si riconoscono la Pachamama come entità legale e il diritto al rispetto integrale dell’esistenza della natura, alla cura e alla rigenerazione dei propri cicli vitali, funzioni e processi evolutivi. Esperienze simili dimostrano come il riconoscimento dei diritti della natura e della personalità giuridica degli ecosistemi offra alle comunità locali e indigene e ai movimenti ecologisti del Paese uno strumento legale estremamente utile per sospendere o cancellare del tutto progetti infrastrutturali o estrattivi dall’impatto devastante.

Un esempio

Il caso della concessione di Llurimagua si risolse in prima istanza a favore delle due rane, ma nel ricorso in appello la Codelco ebbe la meglio, per poi scontrarsi con la decisione finale della Corte costituzionale che proprio qualche mese fa decretò la sospensione del progetto. Questo caso è solo uno dei più recenti riguardanti iniziative per il riconoscimento dei diritti della Natura in corso in ogni parte del mondo. Un movimento che trae linfa vitale dalle cosmologie indigene e culture autoctone e che si prefigge di creare un nuovo sistema legale e giuridico che superi l’antropocentrismo, riconoscendo pari diritti e dignità a ogni forma del vivente. Già nel lontano 1972 – data importante per la diplomazia ambientale visto che in quell’anno si tenne a Stoccolma la prima Conferenza Onu sullo sviluppo e l’ambiente e il Club di Roma pubblicò il primo Rapporto sui limiti della crescita – Christopher D. Stone propose di attribuire agli alberi personalità giuridica. Il suo testo “Should trees have a legal standing” fu seguito poi da “Wild Law” o “diritto selvaggio” del sudafricano Cormac Cullinan uscito in occasione della Conferenza di Rio+10 del 2002 a Johannesburg. I due testi rappresentano la prima elaborazione legale, giuridica e teorica dei diritti della Natura, contributo a quella che viene definita la “ricomposizione” della frattura tra cultura, scienza e natura che è alla base della modernità. E che rappresenta la visione del mondo dominante, centrata sull’uso della natura come risorsa destinata esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni materiali delle persone. O meglio, del modello dominante di capitalismo estrattivista. Il vero evento fondativo del movimento per i diritti della Natura è però rappresentato dalla Conferenza dei Popoli sulla Giustizia Climatica ed i Diritti della Terra convocata dall’allora governo di Evo Morales nel 2010 a Cochabamba, in parallelo ai negoziati sul clima che di lì a poco avrebbero subito a Copenhagen una brusca battuta d’arresto.

 Diritti

Nella dichiarazione finale della Conferenza si riconosce l’interdipendenza tra umano e altre forme del vivente e che il rispetto dei diritti della Madre Terra è parte essenziale e necessaria per assicurare il rispetto dei diritti umani e viceversa. Tra i diritti della Madre Terra vanno annoverati il diritto alla vita, all’integrità dei suoi ecosistemi, alla rigenerazione, ed al ripristino di ogni forma di danno ad essi arrecato dalle attività umane, il diritto all’acqua come fonte di vita, all’aria pura. Da ciò conseguono una serie di obblighi per gli esseri umani e le loro istituzioni e per la comunità internazionale, tra i quali quello di impegnarsi a evitare qualsiasi attività che possa violare tali diritti e a rispettare, difendere e se necessario proteggere e restaurare gli ecosistemi e i loro cicli vitali.   Cochabamba si alimentò quindi dell’elaborazione teorica sui diritti della Natura che aveva già fatto i suoi primi importanti passi, e, in parallelo, delle pratiche e delle cosmologie dei popoli indigeni in particolare latinoamericani.  Che con le loro conoscenze ancestrali, i loro modelli di coabitazione rispettosa con la natura (si pensi al concetto di Kawsak Sacha o selva vivente dei Kwichwa di Sarayaku in Ecuador e più in generale del “Buen Vivir” o “Sumak Kawsay”) e nell’opposizione all’invasione delle loro terre da parte degli interessi del capitale estrattivista già riconoscevano il fatto che la Natura ha pari dignità rispetto agli umani. A Cochabamba questi due processi paralleli trovano una confluenza e riconoscimento da parte di movimenti sociali ed ecologisti, indigeni e contadini di ogni parte del mondo. Un passaggio chiave che permise di evitare che il dibattito rimanesse limitato all’ambito accademico, legale o all’enunciazione di buone pratiche. La Costituzione ecuadoriana avrebbe poi ispirato una legge sui diritti della Natura in Bolivia approvata nel dicembre del 2010 e, più recentemente, la decisione di inserire una serie di norme simili nella bozza di Costituzione dell’Assemblea costituente del Cile, la prima convocata con il governo Boric e poi naufragata nel referendum popolare. Allo stesso tempo, si sono moltiplicati i casi di riconoscimento dei diritti della Natura o della sua personalità giuridica a vari livelli: dalle corti nazionali, a quelle locali, alle risoluzioni adottate da istituzioni indigene, che autonomamente hanno sancito la sacralità della Madre Terra e il diritto suo e delle sue creature a vivere in armonia. Indubbiamente la spinta maggiore in tal senso è data dalle campagne e iniziative per il riconoscimento dei diritti dei fiumi e degli ecosistemi fluviali. Non a caso il primo caso di uso “creativo” del diritto e il ricorso alla Costituzione per ottenere un’azione di ristoro del danno ambientale subìto da un fiume riguardò il Rio Vilcabamba, nelle Ande meridionali dell’Ecuador.

Vertenze

Correva l’anno 2011 e a seguito dei lavori di allargamento di una strada, il corso del Vilcabamba, fiume le cui acque sarebbero dotate di virtù taumaturgiche, venne parzialmente interrotto da una discarica di materiali di risulta, al punto da inondare le terre di una attivista pacifista statunitense, Norie Huddle. Quest’ultima decise di ricorrere alla Corte provinciale del cantone di Loja sulla base della costituzione ecuadoriana vincendo la causa. Fu questo il primo caso al mondo di giudizio legale sui diritti della Natura, seguito poi dalla ratifica del Trattato tra governo neozelandese e nazione Maori che pose fine a una disputa che risaliva ai tempi della colonia e che riguardava i diritti ancestrali e territoriali del fiume Whanganui. Atto di grande importanza storica e non solo, visto che amplia ulteriormente il concetto di ecosistema fluviale che, secondo il principio Maori del Te Awa Tupua, comprende tutte le entità umane e non umane, le cosmologie, e ancestralità del passato, le conoscenze tradizionali del presente e il futuro, e le sue generazioni. In America Latina ad oggi sono state censite circa 140 vertenze per il riconoscimento dei diritti della natura ai vari livelli. Da alcuni municipi in Brasile a Panama che nel 2022 ha adottato una legge per il riconoscimento dei diritti della Natura, all’Ecuador con ben 72 casi. In Colombia sono stati riconosciuti, tra gli altri i diritti dei fiumi Cauca, La Plata, Magdalena, Combeima, Coello e Atrato. La sentenza della Corte costituzionale della Colombia sul fiume Atrato rappresenta un precedente di gran valore visto che per la prima volta adotta il concetto di “diritti bioculturali” per riconoscere lo stretto legame tra diritti della Natura e quelli delle comunità ancestrali. Un concetto che poi sarebbe stato adottato di recente come riferimento per le deliberazioni del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura in particolare quella relativa al megaprogetto infrastrutturale del Tren Maya, in Yucatan. Questo Tribunale di opinione venne creato all’indomani della Conferenza di Cochabamba assieme alla Alleanza Globale per i Diritti della Natura (Garn). Oltre ad accogliere ed esaminare istanze presentate da comunità minacciate o che agiscono in rappresentanza degli ecosistemi minacciati (una sorta di procura in quanto custodi e guardiani degli stessi) il Tribunale attraverso le proprie sentenze contribuisce all’ulteriore sviluppo della cosiddetta “Giurisprudenza della Terra”.

America Latina

Per quanto riguarda l’America Latina, val la pena di rammentare l’importante sentenza sul caso della autostrada voluta dal governo Morales attraverso la riserva del Tipnic, e le sessioni sull’Amazzonia brasiliana tenutesi a Santiago nel 2019 e a Belem in parallelo con il Forum Sociale Panamazzonico (Fospa) nel luglio del 2022. Più di recente nel marzo scorso il Tribunale ha affrontato il caso del Tren Maya, con una visita di campo alle comunità Maya minacciate, (nella delegazione Padre Raul Vera, già vescovo ausiliario della diocesi di San Cristobal in Chiapas e stretto collaboratore di Don Samuel Ruiz) richiamando l’attenzione sui rischi di ecocidio e etnocidio connessi al progetto voluto con forza dall’attuale Presidente Lopez Obrador. In aprile, una delegazione di giudici del Tribunale si è recata   nella regione della Patagonia Argentina di Vaca Muerta per accertare gli impatti causati dal fracking per estrazione di gas naturale, in quello che è considerato essere il secondo più grande giacimento di gas di schisto nel mondo. Una “bomba climatica” che porta con sé gravi danni all’ambiente, contaminato e scosso da numerosi terremoti causati dalle attività di estrazione, ed alla salute ed ai diritti del popolo Mapuche. Le cui proteste sono sistematicamente represse dal governo, che non ha esitato a dichiarare Vaca Muerta zona di rilevanza strategica nazionale, permettendo così l’invio dell’esercito a presidiare le installazioni. Sempre dall’Argentina partì lo scorso anno una delegazione di avvocati ambientalisti della Garn che incontrarono Francesco in Vaticano per perorare la causa dei diritti della Natura, trovando un importante riscontro e sostegno, sulla scia della Laudato Si’ e dell’ecologia integrale della sua dottrina.

 

L'articolo è pubblicato nel numero di ottobre di Mosaico di pace, in verisone ridotta: La nostra Pachamama


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