Mosaiconline/Dicembre 2023, Ultima tessera

Da più di venti anni la Campagna Ponti non Muri di Pax Christi Italia segue la vicenda palestinese da vicino. In questi anni abbiamo fatto viaggi, incontrato persone fra cui molti israeliani di ogni credo, e visto con i nostri occhi quale sia la reale situazione sul campo.

Abbiamo aperto e alimentato un sito internet, Bocchescucite, e abbiamo fatto divulgazione tramite incontri pubblici e nelle scuole. Abbiamo anche organizzato giornate di approfondimento, in coincidenza con la Giornata Onu per i diritti del popolo Palestinese del 29 novembre, che questo anno si terrà a Bologna sabato 2 dicembre.
Dopo tutto questo tempo speso e dopo tutte le parole pronunciate, siamo ancora qua a dover constatare che la realtà non viene narrata come si dovrebbe. Anzi essa viene spesso omessa e pure distorta. Spesso dobbiamo assistere anche alla creazione di ‘fake news’, spesso riportate proprio dalla RAI, nonostante siano state costituite commissioni per prevenirle e smascherarle. L’unico risultato evidente è una censura intollerabile che prende sempre più campo anche sui social media. In altri paesi si comincia persino ad arrestare persone per aver espresso la propria opinione, come pochi giorni fa in Francia: ‘Apologia di terrorismo’ è l’accusa, solo per aver chiesto che si ponga fine alla uccisione indiscriminata di civili nella striscia di Gaza e che i Palestinesi possano avere uno stato indipendente.
Da dove potrei quindi cominciare? Ho pensato di partire da una definizione di terrorismo, etichetta che viene attribuita ad una sola delle parti in causa, forse solo per leggerezza o forse con dolo, in questi giorni di dolore. Prendiamo allora la voce corrispondente dalla Treccani: “L’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili.”
Come detto sopra, abbiamo visto che nel conflitto fra lo stato di Israele e il ‘non ancora nato’ stato di Palestina, si utilizza il termine terroristi esclusivamente per i membri di Hamas, partito islamico nato negli anni ‘80. Anzi ad Hamas, e per non si quale proprietà transitiva a tutti i Palestinesi, vengono dati appellativi quali ‘animali umani’ e via discorrendo. Questo avveniva già prima ma ora, dopo gli eventi del 7 ottobre, viene dato come acquisito in modo incontrovertibile, anche grazie a notizie false riportate in modo sensazionale e mai smentite, come quella dello sgozzamento di 40 bambini in un insediamento (chissà come mai non si dice città o villaggio) israeliano.
Provo adesso a ripercorrere alcuni eventi accaduti dal 1948, di questa storia lunga in realtà più di cento anni.
Lo stato di Israele nasce il 15 maggio del 1948 a seguito della risoluzione votata dall’ONU il 29 Novembre del 1947 che stabiliva la divisione in due parti della Palestina storica, dopo una fase iniziale in cui la soluzione a uno stato binazionale era stata preferita ma poi accantonata. La parte autoctona rifiutò questa partizione perché in essa si dava molto più territorio agli ebrei immigrati, sebbene in realtà fossero in possesso di poco meno del 10% delle terre.
Scoppiò subito una guerra che si concluse con la cosiddetta Nakba (catastrofe). La parte ebraica vinse, essendosi ben preparata alla guerra da tempo, come testimoniato da documenti poi desecretati e pubblicati da storici come Benny Morris e Ilan Pappè. Nella fase precedente, infatti, furono condotte molte azioni armate da parte di organizzazioni ebeaiche che portarono all’uccisione di civili inglesi ed europei, come nell’attentato all’hotel King David.
Ne seguì una espulsione forzata, con anche atti di terrore da parte ebraica, di circa 700mila persone, cui furono espropriate le terre.
Negli anni successivi lo stato di Israele si consolidò e rafforzò le istituzioni statuali, compreso lo sviluppo di Università prestigiose e un notevole avanzamento tecnologico in vari campi, grazie alla mentalità europea della maggior parte degli ebrei da là emigrati. Si dotò anche dell’arma nucleare con l’aiuto delle Francia negli anni ’60, nonostante la opposizione del presidente Kennedy. Al contrario, lo stato di Palestina non vide nessun progresso, in quanto i territori loro rimasti furono divisi fra Egitto e Giordania. Le risoluzioni dell’ONU al riguardo furono ignorate.
Nel 1967 poi, dopo una guerra preventiva lampo (la Guerra dei 6 giorni), lo stato di Israele si impossessò anche dei territori suddetti. Oltre che l’occupazione militare, questi territori videro da allora una crescente colonizzazione da parte di civili israeliani. Lo studioso Patrick Wolfe ha coniato il termine di ‘colonialismo di insediamento’ per questo fenomeno che può essere accostato a situazioni simili, seppur su più larga scala, avvenuti in Nord America ed Australia.
Le successive risoluzioni votate dall’ONU che condannano apertamente queste pratiche, proibite dal diritto internazionale, sono però sempre rimaste inapplicate, come le precedenti.
Alla fine degli anni Ottanta, con la colonizzazione in continua espansione, ci fu una prima rivolta di tipo nonviolento, la cosiddetta Prima intifada. Essa si basava su scioperi e altre forme di resistenza passiva e attiva che portarono le due parti al tavolo delle trattative. Il tutto finì con la firma del trattato di Oslo che determinò la nascita di una autorità nazionale palestinese presieduta da Yasser, il quale tornò a vivere in Cisgiordania nel 1996.
Questa autorità però non si è mai evoluta in una piena forma statuale, a causa fra l’altro delle richieste del governo israeliano che chiedeva alla controparte di sedare gruppi ribelli che continuavano a fare azioni di guerriglia, mentre i coloni continuavano a prendere terre sia in Cisgiordania che nella striscia di Gaza. In un clima di crescente diffidenza e provocazioni, come la camminata sulla spianata delle moschee da parte di Ariel Sharon, iniziò un seconda rivolta, questa volta violenta. La Seconda Intifada finì in un bagno di sangue con la distruzione di villaggi e campi profughi palestinesi, come quello di Jenin, e simbolicamente con la morte in esilio di Arafat.
Il momento storico successivo che ha determinato lo scenario che viviamo attualmente sono le elezioni del 2006. Hamas, che con la seconda intifada aveva assunto un forte ruolo politico, rinunciò alla lotta e entrò nella competizione vincendola. La comunità internazionale però non ne riconobbe l’esito ed appoggiò con varie forme di pressione il ritorno al potere di Mahmud Abbas, successore di Arafat. Dopo una breve fase di scontri, si giunse alla totale separazione dei territori formalmente sotto controllo Palestinese, con Hamas che si rifugiò nella striscia di Gaza.
Da allora si è assistito da una parte a una crescente aumento in numero dei coloni in Cisgiordania. Insieme a ciò sono cresciuti gli arresti arbitrari, compresi quelli di donne, bambini e bambine. Negli ultimi anni, i coloni hanno poi dato vita a crescenti azione di terrore nei confronti di contadini. Ad esempio, solo lo scorso anno ci sono state decine di morti e feriti. Tutto questo è accaduto nel silenzio degli organi di stampa nazionali.
Dall’altra parte l’evoluzione nella striscia di Gaza è stata quella di una enclave segregata senza possibilità alcuna di controllo dei propri confini: tutto è stato razionato, dai viveri agli altri beni essenziali come energia e medicine. Una prigione a cielo aperto è stata definita. In aggiunta a questo, ci sono state varie campagne di bombardamenti, a seguito del lancio di razzi da parte palestinese con la morte di alcune decine di civili israeliani, e di omicidi mirati condotti con droni. Durante queste fasi l’esercito israeliano ha utilizzato varie armi ‘illegali’ come bombe a grappolo e fosforo bianco.
Fra gli ‘effetti collaterali’, oltre la morte di moltissimi donne e bambini gazawi, vanno segnalate le distruzioni di centri dell’ONU, scuole e ospedali, chiese e mosche. In pratica, si è sviluppata una compressione delle libertà che la stessa Amnesty International ha chiamato ‘Apartheid’, come già riconosciuto da Nelson Mandela e Desmond Tutu in passato.
Ciò a cui stiamo assistendo dal 7 ottobre, dopo l’attacco ‘terroristico’ da parte di Hamas e l’uccisione di più di mille civili e soldati israeliani, non rappresenta quindi una novità se non nelle proporzioni: bombardamenti indiscriminati con vari tipi di arma, come l’utilizzo di fosforo bianco e nuovi tipi di arma che producono ustioni di quarto grado, la chiusura totale dei valichi con embarghi di medicine, energia e acqua, distruzione di ospedali, chiese e moschee, compresi centri dall’ONU definiti da lei stessa non sicuri come già in passato. In Cisgiordania poi i coloni continuano a terrorizzare contadini e autisti con armi e percosse: circa 60 i morti non riportati dalla stampa italiana.
Molti sostenitori dei diritti del popolo palestinese sono scesi in piazza e hanno sottoscritto appelli per chiedere che queste azioni siano chiamate con lo stesso criterio con cui vengono definite quelle dei membri di Hamas: terroristi, opera di terrorismo di stato. Noi non crediamo che questo possa risolvere la situazione se non al massimo ristabilire una verità storica, mentre la mattanza continua qualsiasi sia il nome che gli diamo.
Quello che chiediamo è invece di smettere di disumanizzare le persone da entrambe le parti a precindere dai crimini commessi, a volte efferati e difficili solo da pensare, figurarsi a narrare.
Chiediamo semplicemente che si torni a ragionare, senza parteggiare per una parte od un’altra, e mettere al centro l’ONU per fermare in tutti i modi le uccisioni di tutti civili, qualsiasi sia la loro provenienza e identità.
Chiediamo che si portino le parti a negoziare nuovi trattati che siano giusti per entrambi, che siano forme di giustizia riparativa come in Sudafrica.
Chiediamo poi che, per attuarli e farli rispettare, si schierino forze di interposizioni internazionali. Solo e semplicemente questo. Tornare ad essere umani nella verità e nella giustizia.
È anche questa Apologia di terrorismo?


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