Mosaiconline dicembre 2023/Dossier "Verso una nuova economia", a cura di Antonio De Lellis
Il gigante ha i piedi di argilla: quale economia può definirsi nonviolenta?
Per rispondere a questa domanda, partirei da una considerazione di Francuccio Gesualdi, allievo di don Milani, uno dei più importanti maestri di nonviolenza in Italia. Egli afferma che ogni volta che acquistiamo un prodotto, di fatto si fa politica, poiché scegliere un bene nel rispetto dei diritti umani, sociali e ambientali, significa imprimere una direzione alle politiche economiche. In altri termini, si trasforma il ruolo del consumatore che, invece di apparire come “tubo digerente” del sistema produttivo/consumistico propinato dal mercato, diviene “consum-attore” ossia protagonista delle proprie scelte e, in questo modo, esprime una resistenza attiva al predominio del mercato stesso.
Nonviolenza politica
Questa funzione del consumatore a mio avviso risponde a due enunciati della nonviolenza. Il primo è di natura etica e comporta una visione della società per la quale l’economia si caratterizza come trasformazione/riduzione dei desideri alla soddisfazione dei bisogni ridotti all’essenziale. Questo richiama l’assunzione di stili di vita improntati alla sobrietà sia a livello alimentare ed energetico che di opzioni economiche legate al biologico, al commercio e alla finanza. In presenza del cambiamento climatico in atto, queste scelte, oltre che rappresentare un valore etico soddisfacente la coerenza mezzi/fini, rispondono a un’urgenza imprescindibile, se si vuol salvare il pianeta dal flagello di un’economia predatoria.
Il secondo enunciato ha un carattere marcatamente politico e richiama il concetto e la funzione del potere. Potere come verbo e non sostantivo su cui Aldo Capitini, un altro grande maestro della nonviolenza, aveva teorizzato con il termine “omnicrazia” ossia il potere di tutti come possibilità di ognuno di esercitarlo come responsabilità e servizio e non come dominio. Nell’ottica della riappropriazione del potere dal basso, il generico acquirente nel mercato diviene artefice di cambiamento, perché imprime con le sue scelte un indirizzo nonviolento all’economia.
Strumenti
A questo punto, ci chiede quali siano gli strumenti attraverso cui il cittadino, nella consapevolezza di esercitare il suo diritto alla cittadinanza attiva, possa imprimere un indirizzo politico/economico diverso nella società. Un indirizzo che miri alla trasformazione da un sistema predatorio e oppressivo sulle persone e sull’ambiente, in una parola violento, a uno rispettoso degli stessi e quindi nonviolento. Sicuramente sono da annoverare il boicottaggio, l’autogestione e l’istituto della delega. Esse costituiscono, insieme alla non collaborazione e alla disobbedienza civile, strategie che possono essere attuate sotto forma di pressione sulle istituzioni o di avvio di azioni dirette nonviolente. In particolare, se si prendessero in considerazione il secondo e il terzo di questi strumenti, essi, sebbene compresi e attuati, preordinano un tipo di società in cui ciascun cittadino, nel considerarsi l’unico responsabile di tutto, è chiamato all’esercizio della cittadinanza attiva, in forza della quale si debbano riformulare le concezioni e le funzioni della difesa, dell’approvvigionamento e della produzione energetica, delle attività amministrative, economiche e della produzione in generale.
Come si può notare, c’è una forte correlazione tra modello di difesa e modello economico, nel senso che nella misura in cui si esercita il boicottaggio nelle scelte economiche e l’autogestione che chiama in causa il modello di produzione da attuare nelle fabbriche in prospettiva nonviolenta, di fatto ci si orienta verso un modello di società improntato alla difesa popolare nonviolenta. Certamente parlare di Difesa popolare nonviolenta (D.p.n.) sic et simpliciter decontestualizzata da un discorso complessivo sulla stessa, rischierei di sottovalutare l’importanza della posta in gioco e non farei un buon servizio alla campagna tuttora in atto per un’”altra difesa possibile” su impulso del Movimento Nonviolento suo ispiratore. In “nuce” ciò che sto per dirvi non traguarda la D.p.n., ma sicuramente innesca processi che possono andare nella direzione auspicata, facendo leva anche, se non soprattutto, sull’economia.
Attualmente si è in presenza di un modello di sviluppo capitalistico dove il dio mercato sembri quasi invincibile e la ricerca spasmodica del profitto sta comportando la delocalizzazione delle imprese in quei Paesi a basso costo del lavoro. È paradossale che, in questa fase, forse dettata dalla disperazione delle maestranze coinvolte nei processi produttivi, si stiano verificando forme di autogestione dei lavoratori. Embrionalmente in questi casi gli operai stanno attuando forme di obiezione allo strapotere di quegli imprenditori e, a prezzo di forti sacrifici e di rischio d’impresa, consapevolmente o inconsapevolmente, stanno attuando quelle forme di autogestione che vanno proprio nella direzione di un nuovo ed alternativo modello di sviluppo. Purtroppo, costatando la realtà, questi sono casi rari di autogestione, ma indicativi di un processo che si è innescato, soprattutto se c’è consapevolezza, pur in presenza della lotta per sopravvivere da parte degli attori in causa, di essere gli artefici del cambiamento nella direzione auspicata da noi che ci definiamo persuasi della nonviolenza. Se c’è questa consapevolezza, è sperabile che prima o poi si dia concretezza all’autogestione, come strategia verso la D.p.n..
Nella stessa direzione potrebbero intendersi quelle forme di economia costituite dal commercio equo e solidale. Questa forma di commercio può considerarsi di autogestione, se correlato al boicottaggio di quei prodotti che sono espressione di oppressioni e di ingiustizie.
Nel mosaico di un’economia di stampo nonviolento è da considerarsi la finanza etica di cui la banca etica è espressione, soprattutto quando investe in tutte quelle forme di energie rinnovabili. Queste ultime costituiscono la reale alternativa a quelle derivanti dai combustibili fossili che invece rappresentano l’attuale volano dell’economia di guerra. Un altro tassello di un’economia alternativa può ritenersi l’agricoltura biologica perché, affrancandosi dall’uso dei fertilizzanti chimici, si proietta in un tipo di economia nonviolenta nel duplice aspetto del rispetto della madre terra e del non uso dei fertilizzanti prodotti da combustibili fossili che alimentano l’economia di guerra di cui sopra.
In questa carrellata di tasselli che possono comporre il mosaico dell’economia nonviolenta possono annoverarsi anche le comunità di energie rinnovabili di recente costituzione e che stanno avendo una significativa proliferazione. Possono farne parte singoli, famiglie, imprese, pubbliche amministrazioni ed anche associazioni che si uniscono per procurare da sé localmente l’energia di cui hanno bisogno, usando appunto fonti rinnovabili, in alternativa ad approvvigionamenti energetici provenienti da mega centrali. La caratteristica interessante di queste comunità consiste nell’affrancamento dal mercato; infatti, il loro scopo non è quello di fare utili, ma di soddisfare un bisogno di energia pulita. Se le comunità energetiche dovessero prendere piede, l’autoproduzione diffusa toglierebbe spazio al mercato dell’energia, in tal modo costringendo i grandi operatori a convertirsi. Questa esperienza è in palese correlazione tra modello di economia e modello di difesa. Nella misura in cui si decentra e si autoproduce l’energia, di fatto si innesca quel modello decentrato di società in quello che costituiva l’auspicio di Gandhi ossia la costituzione per l’India, ma per qualsiasi altra parte del Mondo, di villaggi con lo scopo di autoproduzione a tutti i livelli, proprio per non accentrare il potere in poche mani, dando così un impulso all’omnicrazia tanta cara Capitini. In questo modo decentrando e non accentrando il potere, così come sono gli attuali assetti della società, di fatto si rende la vita difficile a un ipotetico esercito invasore a dare seguito al proprio obiettivo strategico ossia quello di impossessarsi del controllo in questo caso delle fonti energetiche del Paese invaso e non solo di quelle. Sicuramente costituirebbe una forma di dissuasione dall’operare l’invasione, poiché i costi da sopportare di fronte ad una società in cui tutti i poteri sono decentrati sotto il profilo amministrativo, economico, dell’informazione ed energetico, sarebbero molto alti per cui un esercito invasore ci penserebbe due volte o quanto meno rivedrebbe le sue strategie per portare in porto l’operazione.
Campagna Banche Armate
Un ulteriore tassello di questa economia nonviolenta è dato dalla campagna “banche armate”, ideata da Missionari Saveriani, Missionari Comboniani e da Pax Christi. Questa campagna promuove l’obiezione bancaria in base a cui il cittadino esprime una forma di boicottaggio verso quelle banche coinvolte nel traffico di armi o perché finanziano quelle imprese le cui produzioni avvengono con l’uso di combustibili fossili. L’obiezione bancaria, oltre che essere tale, sul piano delle scelte rappresenta una forma di non-collaborazione e di boicottaggio verso quegli istituti bancari ostinati a non cambiare investimenti, dopo reiterati inviti a desistere da quelle scelte da parte dei clienti. Sicuramente non sarà il gesto individuale a scalfire l’assetto di una banca, ma se l’impegno della società civile dovesse coinvolgere migliaia e migliaia di persone ad effettuare questa forma di boicottaggio, senza dubbio il risultato sarebbe più perseguibile. Tenuto conto che le banche danno importanza alla loro immagine, considerano inaccettabile una pubblicità ad essa contraria.
In conclusione posso affermare che, come Gandhi ebbe a dire, “la nonviolenza è antica come le montagne”, così anch’io con questa rassegna per la maggioranza di quanti leggeranno queste righe, forse non avranno scoperto niente di nuovo. E potrà essere proprio così. Se mi può essere consentito, la novità potrà solo consistere nell’acquisire maggiore consapevolezza di quanto proposto, convinto che questa potrà spingerci ad implementare con più concretezza le vari proposte prese in esame.
Di tutto ciò il Pianeta ci ringrazierà, perché l’economia nonviolenta, proprio perché ci àncora alla visione etica della stessa, può contribuire a preservare l’umanità dai pericoli già in atto.