Mosaiconline dicembre 2023/Dossier "Verso una nuova economia", a cura di Antonio De Lellis
Il liberismo ha condotto l’umanità sui sentieri faticosi dello sfruttamento e del materialismo selvaggio. Occorre uscire dalla spirale in cui siamo.
Uno dei maggiori drammi del nostro tempo è determinato dalla riduzione dell’essere umano a un oggetto perso tra altri infiniti oggetti. L’uomo in quanto persona cessa di esistere; i suoi bisogni psicologici, morali e spirituali vengono completamente subordinati a una nuova divinità: il mercato inteso come entità assoluta. Lo stesso processo economico che, come una sorta di immenso spot pubblicitario, propagandava e propaganda gioia e spensieratezza, oggi mostra, in modo palese e drammatico, tutti i propri limiti: sul viso e la carne di intere moltitudini si coglie il dolore e l’angoscia maturate all’interno di una società priva di forti punti di riferimento.
In questa fase storica il nichilismo ha raggiunto una delle vette più alte: alla negazione di Dio si è aggiunto l’allontanamento dalla politica e dalle istituzioni. Un processo, che non ha comunque soffocato la speranza e la voglia di cambiamento in uomini e donne che rivendicano il diritto a vivere in una società rispettosa della dignità umana.
L’essere considerati esseri umani, reclama in primo luogo il diritto a un lavoro in grado di esaltare la propria realizzazione umana e professionale.
Il valore del lavoro
Per tale motivo il lavoro, rispettoso della dignità della persona, diviene il simbolo tangibile della crescita civile e morale di una determinata società. Al contrario, se il soggetto viene umiliato dalla dimensione nella quale opera, questi risulta essere un cittadino alienato, impossibilitato cioè a vivere con pienezza tanto la vita familiare, quanto quella sociale. Nella concretezza quotidiana, il lavoro atipico e sottopagato alimenta un dinamismo occupazionale che, soffocato dall’assolutizzazione e dalla deregolamentazione del commercio internazionale, ha indotto le imprese a snellire l’organico e a introdurre, allo stesso tempo, condizioni occupazionali più flessibili, come ad esempio i contratti a termine e il lavoro interinale.
Uomini e donne avvertono il senso dello scarto permanente: una condizione che non consente di sposarsi, di comprare casa o di avere dei figli. Le culle vuote, come si vuol definire la denatalità, sono il riflesso di un sistema economico-finanziario che ha privato miliardi di persone di un semplice, ma fondamentale punto di riferimento: sentirsi famiglia all’interno di una comunità di persone. Il liberismo, che esalta l’egoismo del singolo, non ammette alcuna forma di etica; lo stesso cristianesimo è tollerato fin quando i suoi principi e la sua ricca dottrina sociale non vengano a costituire una minaccia al libero espandersi della speculazione finanziaria. Le stesse imprese che, un tempo avevano un imprenditore ben identificabile, oggi, non di rado, sono sostenute e gestite da lontani e anonimi gruppi finanziari. Gli stessi fattori di disagio sociale, come la crescita delle violenze domestiche, l’abuso di sostanze stupefacenti, l’aumento dell’assunzione di psico-farmaci, l’alcolismo, l’anoressia e la bulimia, costituiscono il riflesso di una società che vuole rinchiudere l’uomo in unica dimensione: quella economica-finanziaria.
Si può dunque affermare che il liberismo, non meno del socialismo reale, si manifesta come una dottrina puramente materialistica e priva di amore per l’uomo. Se volessimo sintetizzare le sue direttive, potremmo cogliere la sua identità in cinque fondamentali punti: rifiuto di ogni ingerenza statale nell’attività privata; esaltazione del mercato e della libera iniziativa; progresso e felicità sono garantiti dall’interesse privato; primato dell’economia su ogni altro aspetto dell’esistenza umana; religione ed etica vengono subordinate agli interessi materiali.
Lo stesso marxismo pur rispondendo a principi diversi dal liberismo (assolutizzazione dello Stato, abolizione della proprietà, sconfitta della povertà operaia attraverso la collettivizzazione dei mezzi di produzione), raggiunge il medesimo risultato di alienazione: economia e produttività sovrastano l’intera vita dell’essere umano; Dio e l’uomo risultano essere subordinati al materialismo. La caduta del muro di Berlino, avvenuta nel 1989, avrebbe dovuto costituire la base di un nuovo mondo: più umano, più solidale e più giusto. Quel particolare momento storico avrebbe dovuto favorire, dopo tante sofferenze causate da due conflitti mondiali e dalla stessa guerra fredda, la costruzione di una nuova dimensione sociale: il diritto naturale, inteso come diritto alla vita e alla libertà, poteva e doveva costituire la roccia su cui costruire la nuova casa dell’umanità. Le cose non sono andate così: è come se delle forze oscure, rimaste sopite dopo le conquiste sociali del secondo dopoguerra, fossero state risvegliate; una sorta di piccola umanità rabbiosa ha sentito il bisogno di cancellare ogni forma di giustizia scaturita dallo sviluppo dello stato sociale.
Lo sfruttamento
L’orologio della Storia ha girato all’indietro; i teorici del neoliberismo hanno ritenuto opportuno guardare al modello della prima rivoluzione industriale: nessuna regola può inibire il processo di arricchimento. Forti di questa convinzione hanno considerato i Paesi emergenti luoghi in cui sfogare gli istinti più bassi dell’essere umano: sfruttamento di uomini, donne e bambini; nessun obbligo contrattuale, previdenziale e sanitario. La concorrenza dei prodotti, basata sullo sfruttamento, viene usata come una clava per ridurre i diritti nei Paesi Occidentali.
L’attacco sferrato nei luoghi di lavoro, bassi salari e flessibilità, è stato ulteriormente rafforzato dal taglio alla spesa governativa: la sanità pubblica è stata ridimensionata in tutto l’Occidente a favore di quella privata: la salute diviene merce, il paziente è un cliente, non è più un cittadino portatori di bisogni e diritti. Alla previdenza pubblica, altro pilastro del vecchio welfare, è toccata la stessa sorte con l’introduzione dei fondi previdenziali privati: ingenti risorse dei lavoratori, ormai da diversi decenni, vengono investite nel mercato finanziario. Tutto questo poteva essere evitato obbligando ogni Paese a rispettare le regole sancite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro: la mancata condivisione delle regole da parte delle Nazioni avrebbe dovuto vietare la commercializzazione delle merci prodotte, o, in alternativa, stabilire sanzioni efficaci. Una comunità internazionale che si definisce civile non può accettare la barbaria. Lo stesso mondo cristiano, come già in altre fasi dello sviluppo economico, non è stato in grado di ostacolare questa deriva regressiva: “Il compito temporale del mondo cristiano – come ha sapientemente sottolineato Jacques Maritain pensando ai primi decenni dello sviluppo industriale – è di lavorare quaggiù a una realizzazione sociale-temporale delle verità evangeliche: perché se il vangelo concerne innanzitutto le cose della vita eterna, e trascende infinitamente ogni sociologia come ogni filosofia, tuttavia ci dà le sovrane regole di condotta della nostra vita e ci traccia per il nostro comportamento quaggiù un quadro morale molto preciso, al quale ogni civiltà cristiana, in quanto meriti tal nome, deve tendere a rendere conforme, secondo le diverse condizioni della storia, la realtà sociale-temporale. Una realizzazione sociale-temporale delle verità evangeliche: questa espressione non sembra una derisione quando la si confronti alle strutture temporali dei secoli moderni e specialmente del XIX secolo?
Quando si medita su queste cose, si ha ben ragione di dire che il mondo cristiano dei tempi moderni è venuto meno al dovere di cui parliamo. In modo generale, ha rinchiuso la verità e la vita divina in una parte limitata della propria esistenza – nelle cose del culto e della religione e, almeno fra i migliori, nelle cose della vita interiore. Quelle della vita sociale, della vita economica e politica, le ha abbandonate alla loro legge carnale, sottratte alla luce di Cristo” (J. Maritain, Umanesimo integrale, Borla, Roma, 1980, pp. 95-96, nda).
Il capitalismo
Lo stesso Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus Annus, sottolineò con forza i rischi di un capitalismo senza freni. In definitiva la speranza di costruire un mondo sui pilastri della pace e della giustizia, sembra rafforzarsi con la caduta del comunismo, ma ciò potrà avvenire solo attraverso un capitalismo ben ordinato giuridicamente, e soprattutto lontano da quelle forme di sfrenato individualismo, causa in sé di tanta miseria e disperazione: “Si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? È forse questo il modello che bisogna proporre ai Paesi del terzo mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?
La risposta è ovviamente complessa. Se con capitalismo si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, (…). Ma se con capitalismo si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di quella libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa.
La soluzione marxista è fallita, ma permangono nel mondo fenomeni di emarginazione e di sfruttamento, specialmente nel Terzo mondo, nonché fenomeni di alienazione umana, specialmente nei paesi più avanzati, contro i quali si leva con fermezza la voce della Chiesa.
Tante moltitudini vivono tuttora in condizioni di grande miseria materiale e morale. Il crollo del sistema comunista in tanti paesi elimina certo un ostacolo nell’affrontare in modo adeguato e realistico questi problemi, ma non basta a risolverli. C’è anzi il rischio che si diffonda un’ideologia radicale di tipo capitalistico, la quale rifiuta perfino di prenderli in considerazione, ritenendo a priori condannato all’insuccesso ogni tentativo di affrontarli, e ne affida fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle forze di mercato” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, in Le encicliche sociali: Dalla “Rerum Novarum” alla “Centesimus annus, Edizioni Paoline, Roma, 1984, pp. 742-743, nda)
In definitiva, oggi come ieri, l’assolutizzazione del movente economico ha fatto perdere la centralità della persona. Ma la dissacrazione dell’uomo, nella sua dimensione morale, psicologica e spirituale, impone di guardare anche al maggior contributo che la tradizione cristiana può offrire al mondo globalizzato, e alle sue tante problematiche irrisolte. Si tratta, in altre parole, di guardare alle varie fasi della rivoluzione industriale, come a un processo fortemente incompiuto: espressione, nella sua più profonda essenza, di un progresso chiuso egoisticamente, negli interessi finanziari di pochi, e per questo, enormemente lesiva della più intima e genuina dignità dell’uomo.
Lavoro informale
Ancora nel 2022, due miliardi di persone hanno conosciuto solo il lavoro informale: il che significa meno accesso ai sistemi di protezione sociale e meno diritti; più specificatamente, solo il 47% delle persone sono coperte da almeno una prestazione di tutela; mentre 214 milioni di lavoratori vivono con meno di 1,90$ al giorno: disarticolando questo dato per aree geografiche, si può evidenziare come il lavoro informale tenda colpire maggiormente, ma non esclusivamente, l’America Latina, i Caraibi e l’Africa. Ad esempio, il 34,7% dei lavoratori dell’Asia meridionale e il 60,8% dell’Africa Sub- Sahariana vivono con 3,10$ al giorno.
Cfr., Oil, Emploi et questions sociales dans le monde: tendances 2023.