Mosaico di pace/settembre 2024, pagg 4-5
Abbiamo iniziato, con il Dossier di ottobre di Mosaico di pace, un percorso di approfondimento e di confronto sul maschile e sulla necessità di smaschilizzare la Chiesa, cercando e proponendo nuove strade e nuovi modelli. Dopo aver pubblicato una lettera aperta su Avvenire, che potete leggere nel nostro sito nella rubrica La parola a voi, diamo spazio e voce a contributi sul tema che ci sono giunti in redazione. In questo numero la parola a Manolo Farci, del Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali Università degli Studi di Urbino, Carlo Bo.
Leggendo il denso dossier Il maschile le Chiese e noi curato da Davide Varasi per la rivista Mosaico di Pace (ottobre 2023, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.mosaicodipace.it) confesso che il primo mio pensiero è andato a Otto Weininger e alla sua visione della trascendenza legata alla maschilità. In un periodo in cui assistiamo alle prime forme di emancipazione della donna della media borghesia, Weininger scrive un libro come “Sesso e carattere” (1903), in cui esprimeva opinioni che oggi sarebbero considerate estremamente sessiste e misogine. Weininger suggeriva che la trascendenza su cui si fonda la religione, con il mistero di Dio come Creatore e Valore assoluto, è intimamente connessa alla trascendenza attribuita all’Io maschile. In questa visione, Weininger immaginava un legame di continuità tra l’Io maschile e Dio, con la donna a simboleggiare la sessualità e la materia, soggetta a regole morali superiori come purezza e verginità. Tutte le rappresentazioni religiose non sarebbero altro che la narrazione dell’origine della civiltà maschile e della sua separazione dalla natura e dal corpo femminile. Rifletterebbero, cioè, una genealogia che si snoda da padre a figlio, con la donna che diviene mera mediazione simbolica e contenitore.
Non avevo pensato a quanto l’identificazione dell’atto fondativo con il maschile continui a condizionare ancora oggi l’orizzonte di senso attraverso il quale tanti ragazzi e uomini pensano al loro essere sessuati. Un pensarsi “autosufficiente”, come una roccia inscalfibile all’Altro, il quale scompare nel suo essere reale, nella sua diversità. È una immagine potente che non può essere relegata solo all’esegesi religiosa, ma si estende al di là di essa, influenzando la formazione delle identità sessuali maschili nella società contemporanea. Ho trovato, per questo, davvero stimolante leggere i diversi saggi presenti in questo dossier. Forse guidato da un laicismo miope, confesso di aver sempre pensato alla religione come l’espressione massima, idealizzata di questo Io maschile, il fulcro dell’androcentrismo. Non avevo mai considerato, invece, quanto potente e contemporaneo potesse essere il messaggio evangelico per chi vuole approcciarsi alla questione maschile. È un tema urgente che richiede la nostra attenzione e riflessione.
Come dimostrano numerosi studi, la maggior parte delle persone si identifica in modo piuttosto marcato con i propri ruoli di genere. Questo è particolarmente vero per i ragazzi, che appaiono essere più preoccupati per la propria maschilità e maggiormente ansiosi per la sua mancanza. Un recente sondaggio del Pew Research Center ha dimostrato che per la maggior parte degli adolescenti è molto o abbastanza importante che gli altri li vedano come virili e maschili. Per questo andare dai ragazzi e dirgli che c’è qualcosa di intrinsecamente sbagliato in loro non è sufficiente. Non basta denunciare gli elementi negativi della maschilità tossica. Anzi, penso che patologizzare la maschilità sia il modo migliore per gettare centinaia di giovani nelle braccia di gruppi conservatori, populisti e misogini, dove potrebbero trovare conforto nell’idea che non hanno fatto nulla di sbagliato e il patriarcato è solo un’invenzione delle femministe.
Sebbene ci troviamo nel bel mezzo di un referendum di portata globale su cosa significhi essere un uomo, non siamo adeguatamente attrezzati ad affrontarlo. In un recente libro che ho letto, la studiosa Peggy Orenstein ha intervistato molti ragazzi e ragazze, chiedendo loro cosa trovassero di positivo nell’essere maschi. La sorpresa è stata che la maggior parte di loro non ha saputo rispondere. Mi ha colpito, in particolare, un commento di una studentessa: “È interessante. Non ci avevo mai pensato. Si parla molto di ciò che non va nei ragazzi, ma poco di ciò che va bene”. Questo penso sia un punto nodale. In uno scenario sociale in cui la concezione della maschilità viene sempre più problematizzata, come un costrutto di genere da decostruire e ridefinire, mancano modelli positivi che permettano ai ragazzi di vivere bene e consapevolmente la propria identità sessuata.
Grazie alla lettura del dossier, ho riflettuto su quanto Gesù sia sempre stato un esempio di uomo in discontinuità con i modelli dominanti dell’epoca. L’atto fondativo maschile diventa qui più complesso del modo in cui lo leggeva Otto Weininger. Nel suo vissuto di uomo, di maschio, Gesù dà forma e sostanza nuove alla maschilità di “un Messia atteso, fino alla fine, fino alla croce”. Egli si presenta come un esemplare di uomo vulnerabile, persino capace di accogliere lo sguardo dei bambini e delle donne. Non chiudendo la porta alla diversità, sfida apertamente quell’idea una maschilità costruita su un castello di impenetrabilità e inaccessibilità all’Altro. Oggi diremmo che Gesù Cristo sfidava la mascolinità tossica. Offriva una visione positiva della maschilità, da cui possiamo trarre ispirazione per aiutare gli uomini ad adattarsi a una società post-patriarcale in continuo cambiamento. Per questo motivo, reputo fondamentale che la sociologia, gli studi di genere e, non ultimi, i men’s studies, debbano instaurare un dialogo costante con la religione. In un periodo storico contraddistinto da profonde crisi nelle grandi istituzioni politiche e secolari, la religione si presenta come una fonte di simbolizzazioni sublimi e di interrogativi che affondano nelle radici stesse della nostra umanità. Ci chiama, come donne e come uomini, a una riflessione profonda sul nostro ruolo e significato nella società in quanto identità sessuate.
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