Mosaico di pace settembre 2024
La fenomenologia di colui che abusa
Troppo breve è lo spazio di questo articolo e limitata la documentazione (essenzialmente il caso francese presentato nel libro Il tradimento dei padri e l’esperienza personale di accompagnamento dei membri di una comunità religioso-monastica situata in Centro Italia e commissariata da Roma e poi sciolta alcuni anni fa) per poter rispondere adeguatamente a quanto richiesto dal titolo di questo intervento. Mi limiterò pertanto a far emergere alcuni aspetti ricorrenti della personalità e dei comportamenti di coloro che hanno commesso “abusi profetici”, come li chiama il rapporto CIASE (Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa), ovvero gli abusi consumatisi all’interno “di quelle che si è soliti chiamare ‘nuove comunità’, cioè le comunità nate dal ‘rinnovamento’ susseguente alla crisi cattolica degli anni 1970”.
Sr. Chantal-Marie Sorlin, nella sua Griglia di analisi per individuare derive settarie nelle istituzioni della Chiesa, individua quattro elementi costanti e ricorrenti – il culto della personalità, la rottura con il mondo esterno, la manipolazione e l’incoerenza della vita (del capo carismatico o fondatore o responsabile della comunità) –, tuttavia va riconosciuto che, tra le personalità carismatiche in questione, esiste una grande diversità sia, com’è ovvio, sul piano biografico, sia anche sul piano psicologico che su quello degli atti commessi (crimini, reati, offese contro la morale, comportamenti inappropriati). Di certo, sempre sono state superate soglie che non dovevano essere varcate, sempre l’asimmetria di potere tra capo carismatico e membri della comunità ha condotto ad abusi di potere, tanto più gravi perché avvenuti in uno spazio religioso e ammantati dall’aura dello spirituale che avvolge la figura del “padre” e che confonde chi vi si rivolge con fiducia e sincero desiderio di radicalità.
La parola e la comunicazione
La parola è luogo privilegiato di esercizio dell’abuso. E si manifesta in una grande varietà di modi. Il camaleontismo, per cui si dice ciò che conviene all’uno e all’altro in base alle convenienze creando un’atmosfera di incertezza e confusione. L’indiscrezione e l’uso spregiudicato delle confidenze ricevute o perfino, nel caso di presbiteri, delle confessioni (arrivando anche alla cosiddetta “assoluzione del complice”). Il silenzio punitivo, cioè il non parlare più, per lungo tempo, con chi ha espresso critiche verso chi detiene l’autorità o ha fatto qualcosa a lui sgradito. Il dire e poi smentire ciò che si è detto creando così confusione e frustrazione, senso di impotenza e colpevolizzazione nelle persone. La parola serve al capo carismatico per operare divisioni tra i membri della comunità seminando diffidenze tra l’uno e l’altro: gratificare qualcuno facendogli confidenze che lui dovrà tenere per sé e non comunicare a nessuno; consegnargli, sempre confidenzialmente, “rivelazioni” denigratorie che screditano un membro della comunità. A volte questo avviene con persone giovani, da poco entrate in comunità, ma investire un novizio o una novizia consegnando loro giudizi che riguardano altri/altre in comunità significa sconcertare e disorientare il giovane che da un lato si sente valorizzato dall’essere ritenuto degno di ricevere comunicazioni delicate, dall’altro si sente riversare addosso un peso non in asse con la sua situazione di persona ancora in ricerca e che deve ancora discernere se quella sarà la sua vita. E questo genera in lui confusione. A questo si lega l’atteggiamento del capo carismatico che “si innamora”, cioè intravedendo potenzialità particolari in un giovane, investe su di lui già immaginandolo al futuro con posti di responsabilità nella comunità. La persona carismatica salta e non rispetta i passaggi istituzionali che magari lui stesso ha stabilito. Stabilisce leggi che valgono per gli altri ma che lui si permette di trasgredire e di trascurare: lui è la legge. A volte la parola può trascendere nella violenza verbale. Sono poi molte e frequenti le forme della manipolazione della parola il cui esito è di fragilizzare chi le subisce che si trova stretto tra la fiducia incondizionata riposta nel capo carismatico e la contraddizione che egli percepisce ma a cui pure deve sottostare come passando sotto forche caudine. Le testimonianze di molti usciti dalle “nuove comunità” ci svelano alcune di queste manipolazioni: la contraddizione fra le parole pronunciate in pubblico e quelle confidate in privato. La sconfessione delle parole pronunciate con i gesti compiuti e gli atti posti in essere. Fare affermazioni per poi smentirle e infine accusare gli altri di aver travisato le sue parole. Riferire come fatti avvenuti quelle che non sono che interpretazioni che distorcono la realtà sostituendovi le proprie proiezioni. Usare le parole per blandire una persona e poi usarla nella prassi. Dire bugie che tendono a convincere una persona o a catturarne il consenso o a manipolare la realtà per ottenere un determinato scopo. Confidare con riservatezza a una persona comunicazioni delicate e scoprire che vengono divulgate ad altri. Manipolare la parola è direttamente manipolare la realtà e le persone. Tutto questo rientra in quella che Dysmas de Lassus chiama “cultura della menzogna”. E la menzogna, che è consapevole ri-creazione della realtà che conferisce un senso di potere quasi divino al menzognero, è strategia finalizzata ad esercitare e mantenere il controllo sui membri della comunità. Se poi avviene che qualche membro della comunità avanzi sospetti o chieda conto o anche semplicemente spiegazioni o addirittura formuli critiche, ecco che la reazione da parte della personalità carismatica sarà lo screditamento, la violenza verbale, la minaccia, fino alle paranoiche affermazioni sul tradimento, sul Giuda che si palesa, sul giudizio in cui il ribelle incorrerà quando sarà davanti al tribunale dell’Altissimo. In quel momento ecco che predicatori della misericordia e compassione di Dio riscoprono d’incanto e rispolverano inopinatamente la dimensione giudiziale e di condanna eterna di una predicazione cattolica che essi stessi avevano rigettato: “Questi fondatori hanno reclamato il posto di Dio, che in fin dei conti hanno occupato nella relazione con le loro vittime” (Céline Hoyeau). Spesso poi la narrazione ripetuta dal fondatore instilla nei membri delle nuove comunità la convinzione di essere “i migliori”, e questo si accompagna al giudizio e alla denigrazione sia nei confronti delle altre forme di vita religiosa che ai vertici ecclesiali, in particolare ai vescovi. Spesso poi queste personalità creano e diffondono una auto-narrazione mitologizzante: la loro vita viene narrata e rinarrata creando una vera e propria mitologia e al tempo stesso, non hanno scrupoli nell’impossessarsi di ciò che nasce da altri e nell’attribuire a sé ciò che pensano altri. Se poi sono persone famose e autorevoli tanto in ambito ecclesiale quanto fuori di esso (si pensi alla figura di Jean Vanier), che pubblicano libri e intervengono sui media, ecco che anche l’uso dei mezzi di comunicazione va messo in conto come strumento di affermazione di sé e di protagonismo. Attirare riconoscimento e stima su di sé, essere al centro dell’attenzione, essere il focus attorno a cui ruotano i discorsi, la realtà, tutto: questo è spesso il bisogno feroce ed elementare delle personalità abusanti. L’uso che spesso esse fanno dei loro malanni e disturbi di salute (veri o presunti o esagerati che siano) va nella direzione di attirare l’attenzione su di sé e di servirsene per giustificare privilegi.
Le relazioni interne alla comunità
Tipico del comportamento abusante è alternare benevolenza e maltrattamento fino a gettare nella confusione la vittima. Lusinga e biasimo, esaltazione e umiliazione sono l’altalena perversa di cui serve la personalità abusante per confondere l’altro e assicurarsene il controllo conducendolo alla perdita di punti di riferimento, generando in lui perdita di senso del sé, disistima, colpevolizzazione. E così la strategia di colui che abusa trova la sua piena vittoria: la vittima si convince di essere colpevole. Spesso poi la figura del leader crea attorno a sé un cerchio magico, un sistema clanico che diviene una sorta di mini-comunità, legata da dipendenze affettive e psicologiche, all’interno della comunità. Costoro, scrive efficacemente Dysmas de Lassus, diventano una sorta di “guardia del corpo”. Il leader abusante è poi seduttivo, fa leva sul piano affettivo per legare a sé le persone che più gli interessano. Il legame affettivo, opportunamente utilizzato, diventa per la personalità abusante, uno strumento fondamentale per il controllo delle persone che si sentiranno legate a lui e passeranno sopra a tanti suoi comportamenti che invece meriterebbero di essere riprovati. Altro elemento ricorrente nei comportamenti della personalità abusante è il confondere il piano affettivo e quello istituzionale. Oltre ad avere effetti gravi sul discernimento vocazionale (e dunque sulla vita di una persona!) questa confusione fa sì che persone che non hanno alcun ruolo istituzionale nella comunità, ma che per motivi affettivi godono di una vicinanza privilegiata con chi detiene l’autorità, arrivino a esercitare un potere su di lui e a provocare criticità e divisioni nel corpo comunitario. Interessante, da parte di Dysmas de Lassus, l’individuazione della figura del “perno” come elemento importante del disfunzionamento comunitario: può essere il superiore, ma anche un fratello o una sorella o perfino un esterno che arriva a esercitare un peso tale nella comunità da essere la figura attorno a cui tutto ruota.
La vita personale
Tra gli elementi ricorrenti della personalità abusante troviamo la doppiezza. Dove doppiezza si riferisce certamente al fatto che colui che abusa si esenta da ciò a cui sono sottomessi tutti gli altri membri della comunità (tranne l’eventuale persona a cui egli è legato più particolarmente): pernotta in hotel di lusso, viaggia in prima classe, ha una abitazione molto più bella degli altri, frequenta ristoranti di qualità, … E certo, l’abuso patrimoniale è elemento costante e immancabile. Ma oltre allo stile di vita, ciò che più è inquietante in queste personalità è la capacità psichica di tenere insieme una vita doppia per anni e decenni nascondendo e mentendo a quanti hanno intorno e riuscendo a coltivare un’immagine pubblica estremamente positiva di sé. E l’equilibrio si fonda proprio sulla divisione interna, sulla schizofrenia spirituale: questa è la paradossale base di equilibrio. Non è importante quanto costi sul piano psichico interno, sul piano delle relazioni, della coerenza con i valori professati, con l’impegno nella vita religiosa, con la dimensione etica. L’equilibrio è dato dal risultato: la propria immagine. Al fine di raggiungere e custodire quel risultato, ogni prezzo può essere pagato.
Bibliografia
D. Johnson – J. Van Vonderen, Le pouvoir subtil de l’abus spirituel. Comment reconnaître la manipulation et la fausse autorité spirituelle dans l’Église et comment y échapper, Les Éditions JASPE, Magog (Québec) 1998
M.-F. Hirigoyen, Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino 2015
D. de Lassus, Schiacciare l’anima. Gli abusi spirituali nella vita religiosa, Dehoniane, Bologna 2021
Les violences sexuelles dans l’Église catholique. France 1950-2020, Rapport de la Commission indépendante sur les abus sexuels dans l’Église, Octobre 2021: https://www.ciase.fr/medias/Ciase-Rapport-5-octobre-2021-Les-violences-sexuelles-dans-l-Eglise-catholique-France-1950-2020.pdf
M. Marzano, «Gli abusi clericali nel cattolicesimo: uno sguardo sistemico», in L. Benadusi e V. Lagioia (a cura di), In segreto. Crimini sessuali e clero tra età moderna e contemporanea, Mimesis, Milano – Udine 2022, pp. 191-217
J. Häuselmann – F. Insa, «Abuso di potere, abuso spirituale e abuso di coscienza. Somiglianze e differenze», in Tredimensioni 1 (2023), pp. 42-53
L. Eugenio, «Dalla vulnerabilità alla vulneranza. I contesti e le dinamiche istituzionali dell’abuso», in Tredimensioni 1 (2023), pp. 54-64
C. Hoyeau, Il tradimento dei padri. Manipolazione e abuso nei fondatori di nuove comunità, Queriniana, Brescia 2023
Gli abusi nella Chiesa, Concilium 4 (2023)
https://eglise.catholique.fr/wp-content/uploads/sites/2/2023/10/Repe%CC%80res-de%CC%81rives-sectaires-ma%CC%80j-2023.pdf
F. G. Brambilla, «Derive settarie nella Chiesa di oggi? Cinque criteri per riconoscerle e prevenirle», in Tredimensioni 1 (2024), pp. 37-50
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