Mosaico di pace giugno 2025
I curdi, tra dure repressioni e resistenze dal basso.
Il popolo curdo rappresenta una delle più grandi nazioni senza Stato al mondo, con una popolazione di circa 40 milioni di persone distribuite principalmente tra Turchia (quasi la metà), Siria, Iraq e Iran, ma con una significativa presenza in tutti i continenti. La loro lotta per il riconoscimento culturale, l’autonomia politica e i diritti fondamentali continua a essere una delle questioni più complesse e dolorose del Medio Oriente contemporaneo, la più complessa dopo quella del drammatico genocidio palestinese in corso.
In Turchia
Nel 2015 e il 2016, quando il partito filocurdo HDP (partito democratico dei popoli) con il suo ottimo risultato elettorale ha messo in difficoltà l’AKP, il partito del presidente Erdoğan, è stata attivata la strategia del terrore mediante operazioni militari nelle province a maggioranza curda, con bombardamenti regolari, sfollamenti forzati e distruzione di interi villaggi, oltre 2mila vittime civili. La situazione, dopo il colpo di Stato, le purghe e le riforme costituzionali che accentrano i poteri nelle mani del Presidente, si può definire quella di una “democratura”, ormai più dittatura che democrazia, sia formalmente che di fatto. Il governo di Erdoğan ha intensificato la repressione contro organizzazioni, partiti politici e media curdi. Migliaia di avvocati, attivisti, giornalisti e politici curdi sono stati incarcerati con accuse di terrorismo. Simbolo di questa repressione è il martirio dell’avvocata curda Ebru Timtik, nota per il suo impegno nella difesa dei diritti umani, arrestata nel 2018 e condannata nell’ambito di un maxi processo contro gli avvocati progressisti turchi, è stata successivamente condannata con l’accusa di appartenenza a un’organizzazione considerata terroristica dal governo turco. Per protestare contro quelle che riteneva ingiustizie nel suo processo e nel trattamento dei detenuti, ha iniziato uno sciopero della fame, durato 238 giorni, a seguito del quale è morta il 27 agosto 2020, poche ore prima che la CEDU si pronunciasse per la sua scarcerazione. La sua principale richiesta era quella di un processo equo e di un trattamento umano per i detenuti politici. La sua morte ha sollevato preoccupazioni riguardo allo stato dei diritti umani in Turchia. Ad oggi strategia del governo turco sembra essere quella di soffocare ogni forma di dissenso e resistenza culturale, addirittura anche da parte degli Ordini degli Avvocati, indagati e minacciati di scioglimento.
Da ultimo, a marzo 2025, in procinto di candidarsi alle elezioni presidenziali e sfidare Erdogan, Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul, è stato arrestato con l’accusa di corruzione e favoreggiamento del terrorismo, anche se tale accusa è stata successivamente ritenuta infondata. L’arresto di İmamoğlu ha scatenato una forte reazione popolare, con manifestazioni di protesta in diverse città della Turchia ed in tutto il mondo. Si pensa infatti che l’arresto sia motivato politicamente e mirato a ostacolare la sua carriera politica, come già è stato nel 2016 con l’arresto di Selahattin Demirtaş, all’epoca co-presidente del Partito Democratico dei Popoli (HDP), che poi è stato ufficialmente il candidato dell’HDP alle elezioni presidenziali del 2018, ed ha condotto la sua campagna elettorale dal carcere, dove purtroppo si trova tuttora.
Il Modello Rivoluzionario del Nord Est della Siria e il rischio di genocidio
Nel Nord Est della Siria (Rojava), i curdi hanno creato un sistema di autogoverno basato sui principi del confederalismo democratico, dell’ecologia sociale e del femminismo, chiamato Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell’Est (DAANES). Questo esperimento politico, nato durante il caos della guerra civile siriana, ha rappresentato un’alternativa concreta al modello dello Stato-nazione e ha attirato l’attenzione internazionale grazie alla lotta vittoriosa contro lo Stato Islamico (IS), guidata principalmente dalle Unità di Protezione Popolare (YPG) e dalle Unità di Protezione delle Donne (YPJ). Il 16 luglio 2018, quando fu istituita, la DAANES copriva un terzo del territorio siriano e sette cantoni (Kobane, Afrin e Cizre (Al Jazeera), ospitando quasi cinque milioni di persone appartenenti a vari gruppi religiosi ed etnici. Il nuovo sistema di governo, che combinava un approccio organizzativo dal basso verso l’alto con un approccio amministrativo dall’alto verso il basso, mirava a rimanere sotto l’ombrello dello Stato siriano. Il suo statuto fondativo si basa sul riconoscimento della piena uguaglianza tra cittadini e gruppi etnici, sulla gestione democratica e partecipativa dell’autonomia governativa, e sull’applicazione del principio di non discriminazione, compreso il riconoscimento dell’uguaglianza di genere attraverso la piena partecipazione delle donne alla vita politica.
Dal 2017, la Turchia ha condotto diverse operazioni militari contro il Rojava (Scudo dell’Eufrate nel 2016/17 per creare una zona cuscinetto, Ramoscello d’ulivo nel 2018 per occupare il cantone di Afrin, Fonte di Pace nel 2019 per continuare la sostituzione etnica negli altri cantoni). Ad oggi i bombardamenti e gli attacchi con i droni non sono mai cessati, con il chiaro intento di smantellare l’amministrazione autonoma curda, sfollare forzatamente la popolazione curda e sostituirla con coloni fedeli alla Turchia.
Il Tribunale Permanente dei Popoli (PPT) sui crimini contro i curdi in Rojava commessi dalla Turchia, ha accusato Recep Tayyip Erdoğan e altri funzionari turchi di crimini di aggressione, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e violazioni dei diritti umani, commessi dal 2018 in poi. Nella sentenza, presentata a Bruxelles il 26 marzo 2025, è stato confermato che la Turchia e le milizie da essa sostenute hanno condotto attacchi sistematici contro la popolazione civile del Rojava: un crimine di aggressione, nel cui contesto sono stati commessi crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Un caso emblematico, del quale sono state fornite le prove, è l’attacco del 2 dicembre 2019 ad Al-Shahba, dove l’artiglieria turca colpì un quartiere civile, uccidendo 10 persone, tra cui 8 bambini di età compresa tra 3 e 15 anni, e ferendo 17 persone, di cui 9 bambini. L’area conteneva una scuola ed era vicina a una struttura della Mezzaluna Rossa, senza obiettivi militari. Durante l’Operazione Fonte di Pace nell’ottobre 2019, sono emerse prove sostanziali dell’uso di fosforo bianco contro i civili a Tel Abyad e Serekaniye, un’arma vietata a livello internazionale per l’uso contro le persone, incendiaria, che causa sofferenze estreme. Sono poi stati documentati casi non isolati di attacchi a convogli di civili e casi vergognosi e strazianti come quello dell’attacco alla scuola di Schemoka, il 18 agosto 2022, quando droni turchi hanno colpito l’istituto mentre le ragazze giocavano a pallavolo nel cortile, uccidendo cinque studentesse e ferendone diverse altre. La scuola, gestita secondo standard internazionali e con un curriculum internazionale, era stata istituita per i bambini sfollati sotto un protocollo concordato con le Nazioni Unite. Si calcola che venga ucciso, mediamente, un civile al giorno: le aree ad alta densità di popolazione civile sono state prese di mira; le donne costituiscono un quinto delle vittime e i bambini oltre un terzo. L’uso di attacchi aerei con droni, più letali per i civili, è aumentato, mentre gli attacchi di artiglieria non sono diminuiti, riflettendo una violenza mirata sia da parte delle forze statali che di gruppi paramilitari, che ha reso la vita insostenibile in molte aree. Le pratiche di ingegneria demografica, come il reinsediamento forzato di rifugiati arabi nelle aree precedentemente popolate da curdi, hanno deliberatamente mirato a cambiare il volto della regione e cancellare l’identità culturale curda, anche attraverso bombardamenti mirati alla distruzione dei siti culturali. Nella regione di Afrin la proporzione curda è stata ridotta dall’85% nel 2018 al 23% nel 2022. A ciò si aggiungano l’occupazione illegale delle case e terreni degli sfollati, e le diffuse violazioni dei diritti umani nei confronti di chi decideva di restare nelle aree “turchizzate”: torture, stupri, rapimenti e detenzioni arbitrarie, sia da parte delle fazioni siriane dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), di cui la Turchia ha la responsabilità di comando, sia da parte di funzionari della polizia e dell’intelligence turca. Le donne sono particolarmente prese di mira, senza diritti, torturate, stuprate in gruppo, anche minorenni, e soggette a molteplici abusi, fisici e verbali. Dieci donne sono state condannate alla pena capitale, ridotta, poi, all’ergastolo. A ciò si aggiungano i femminicidi politici, mediante droni e attentati nei confronti delle donne che ricoprono ruoli apicali di rappresentanza amministrativa o nella società, utilizzati sistematicamente come metodo per instillare paura e dissuaderne l’attivismo politico e la vita sociale.
La mancanza di una risposta internazionale adeguata ai crimini di guerra commessi dalla Turchia e dai suoi alleati in Siria ha alimentato una cultura di impunità, permettendo che tali attacchi ai civili continuino ancora oggi, terrorizzando la popolazione curda.
A ciò si aggiunga che dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad a fine 2024, la situazione è ancora più complessa. Infatti, il nuovo governo di transizione siriano da un lato ha firmato una costituzione provvisoria che stabilisce la legge islamica come principale fonte di giurisprudenza, che DAANES ha ufficialmente criticato per la sua incapacità di riconoscere la diversità etnica e culturale della Siria e per il suo approccio centralizzato al governo, e dall’altro ha firmato un accordo significativo il 10 marzo 2025 delineando l’integrazione delle SDF nell’esercito siriano e il trasferimento al governo centrale del controllo di tutte le istituzioni civili e militari situate nel nord-est della Siria. I punti chiave dell’accordo includono il riconoscimento dei curdi come componente integrante del popolo siriano, la garanzia dei diritti di cittadinanza e di tutti i diritti costituzionali, l’integrazione di tutte le istituzioni civili e militari nel nord-est all’interno dell’amministrazione statale siriana e un cessate il fuoco generalizzato in tutta la Siria. Questo accordo rappresenta un passo importante verso una Siria unificata, ma la mancanza di dettagli specifici e l’esteso periodo di implementazione, fissato entro la fine dell’anno, suggeriscono la possibilità di sfide nell’esecuzione pratica.
Il ruolo di Öcalan
Abdullah Öcalan è il fondatore e leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Sebbene sia stato riconosciuto rifugiato in Italia, è detenuto da oltre 25 anni nel carcere di massima sicurezza dell’isola di İmralı, in Turchia, condannato all’ergastolo per terrorismo e separatismo, in relazione alle attività del PKK e al conflitto con lo Stato turco. Organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno espresso preoccupazione per le condizioni di detenzione di Öcalan, in particolare per il prolungato isolamento e le restrizioni ai contatti con avvocati e familiari. Anche la CEDU ha condannato la Turchia per aver violato i diritti del detenuto, richiamando il “diritto alla speranza” ed il necessario rispetto della dignità umana anche per i detenuti politici. La figura di Öcalan rimane centrale per la questione curda in Turchia e influenza le dinamiche politiche interne. Anche a livello internazionale, la sua influenza intellettuale sulla rivoluzione del Rojava (è sua la teoria costitutiva del confederalismo democratico) e sulla rivoluzione delle donne (Jin Jiyan Azadi) estesa anche in Iran, continuano a essere temi di dibattito nella complicata scacchiera mediorientale. In questo complesso scenario nazionale turco ed internazionale, ha costituito uno spiraglio di luce l’appello al disarmo che è stato permesso di lanciare da Imrali al leader curdo il 27 feb 2025 e con cui Öcalan ha invitato il PKK a deporre le armi e a sciogliersi, al fine di riavviare il processo di pace. Per la prima volta dopo 7 anni è stato concesso agli avvocati di rivedere il loro assistito. Il 1° mar 2025, in seguito all’appello di Öcalan, il PKK ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale. Questo sviluppo potrebbe portare a una nuova fase nelle relazioni turco-curde, aprendo la strada alla riconciliazione politica, alle opportunità economiche e alla riduzione delle tensioni regionali.
Sfide
Oggi, la popolazione curda affronta sfide enormi. Tuttavia, continua a resistere e a costruire alternative democratiche dal basso, sperando in un maggiore sostegno e riconoscimento da parte della comunità internazionale. La questione curda non è solo una questione regionale, ma un test cruciale per la democrazia globale e per i diritti umani fondamentali. L’esperienza dei curdi, e in particolare delle donne curde, offre preziose lezioni di resistenza, solidarietà e immaginazione politica in un’epoca di crisi multiple, a cui varrebbe la pena prestare attenzione. Diritto alla speranza e diritto alla pace infatti dovrebbero essere elementi imprescindibili non solo per la popolazione curda, ma per ogni persona al mondo.