In risposta all’incessante espansionismo di Israele, agli attacchi contro il popolo palestinese e alle violazioni degli accordi internazionali sui diritti umani, la società civile palestinese ha lanciato un appello per una Campagna di boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni (BDS) finché Israele non rispetterà la legge internazionale e i diritti della Palestina. Quest’appello, lanciato nel 2005, è stato appoggiato da oltre 172 Organizzazioni Non Governative e della società civile in Palestina ed è stato successivamente appoggiato da tutte le fazioni politiche nazionali e islamiche palestinesi. Ciononostante, diversi sostenitori della Campagna di solidarietà per la liberazione della Palestina hanno messo in discussione l’efficacia di un boicottaggio culturale. The Occupied Times tenta di mettere ordine nei dati, eliminando le imprecisioni e i miti.
No - Daniel Cooper
Dalla brutale invasione di Gaza del gennaio 2009, sono saliti alla ribalta gli appelli per il boicottaggio internazionale di vari aspetti della società israeliana – accademici, culturali, sportivi, economici o semplicemente totali e radicali boicottaggi “di Israele”.
A oggi, sfortunatamente, le voci di opposizione dominanti sono quelle dei sostenitori del governo israeliano e di coloro che credono che gli studenti o i sindacati non abbiano nulla a che fare con le grandi questioni politiche. Io non sono di questo parere politico.
Ho una lunga storia di Campagne a sostegno dei palestinesi – dalle dimostrazioni alla partecipazione in occupazioni contro l’operazione “Piombo Fuso” all’organizzazione di una serie di incontri a favore della Palestina nella mia ex università, la Royal Holloway. Ho anche intrapreso delle azioni politiche a supporto dei palestinesi nel mio sindacato studentesco. Ho continuato queste attività nel mio ruolo di vice presidente del sindacato dell’Università di Londra (ULU): sostenendo le azioni degli studenti in solidarietà con la popolazione di Gaza (e cercherò di far intraprendere azioni politiche nei forum democratici dell’ULU) in risposta al brutale bombardamento dell’esercito israeliano e ala continuativa occupazione dei territori palestinesi.
Tuttavia, non credo che boicottare Israele sia un modo positivo o efficace di aiutare i palestinesi e sono a favore di un diverso tipo di solidarietà con i palestinesi e con la sinistra israeliana. Lo sono per le ragioni seguenti.
Generalmente i boicottaggi non sono molto efficaci. Perfino nel caso del Sudafrica (in cui avrei sostenuto il boicottaggio) non è stata la Campagna di boicottaggio ma la crescente forza e organizzazione dei lavoratori di colore e dei poveri nelle aree soggette a segregazione a mettere in ginocchio il regime. La solidarietà positiva con i palestinesi e con il movimento anti-occupazione della sinistra israeliana sono strumenti migliori. Una delle tragedie della situazione attuale è che alcuni sindacati britannici hanno intrapreso il boicottaggio – e non hanno fatto nient’altro.
Nella misura in cui il boicottaggio è efficace, rafforzerà la mentalità da assedio su cui fanno leva la destra israeliana e la classe dominante, indebolendo la sinistra radicale israeliana e il movimento anti-occupazione. Intendo dire che probabilmente andrà a colpire i lavoratori israeliani, portandoli tra le braccia dei loro governanti. E questo andrà a colpire la causa palestinese.
I boicottaggi degli accademici e dei sindacati israeliani sono anche peggio. Ci sono delle buone ragioni per il fatto che non boicottiamo gli accademici americani, russi o cinesi nonostante anche questi Stati si macchino di crimini orrendi sia in patria che all’estero. Neppure boicottiamo i sindacati britannici o americani, nonostante la loro lunga storia di collaborazione con l’imperialismo britannico. Anziché boicottare gli studenti, gli accademici e i lavoratori israeliani dovremmo cercare di creare dei legami con i movimenti di sinistra, aiutandoli a sostenere la causa palestinese.
In conclusione, questo è un disaccordo sulla natura di Israele. Io mi oppongo alla classe dominante israeliana, al suo governo e al suo imperialismo, ma non considero tutti gli israeliani nemici irrecuperabili. Capisco perché molti attivisti e molte organizzazioni palestinesi sostengano il boicottaggio e sono solidale con loro, ma, allo stesso tempo, sono rispettosamente in disaccordo sul fatto che questo sia un modo positivo per aiutare la loro causa.
Sì –Mohammed Abuabdou
Nel 2004 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha dichiarato che la costruzione del muro che separa la Cisgiordania da Israele era una violazione del diritto internazionale. Chiedeva che Israele cessasse immediatamente la costruzione del muro, ne iniziasse la rimozione e risarcisse coloro che erano stati colpiti dai suoi effetti. Nonostante l’importanza di questa sentenza internazionale, Israele non le ha prestato alcuna attenzione. Ha continuato a costruire il muro senza affrontare alcun deterrente morale o politico. Come risultato delle continue aggressioni, atrocità, pratiche espansionistiche e trattamenti inumani del popolo palestinese da parte di Israele, la Campagna Palestinese per il Boicottaggio di Israele ha dichiarato la sua intenzione di farne dichiarare Israele responsabile. A questo scopo, gli aderenti alla Campagna hanno creato strumenti di pressione locali e internazionali allo scopo di delegittimare l’occupazione e fare resistenza alle relazioni razziste israeliane nei confronti del popolo palestinese.
In Sudafrica, il boicottaggio culturale ha efficacemente contribuito a isolare il regime di apartheid e a renderlo vergognoso. In Palestina, la situazione è molto simile, con le organizzazioni della società civile palestinese che invitano artisti, cantanti e operatori culturali ad astenersi dal prendere parte a qualsiasi evento in Israele, considerando la partecipazione a tali eventi come una forma di normalizzazione dell’atteggiamento coloniale, delle politiche segregazioniste e dell’occupazione militare in corso. Il potere del boicottaggio risiede nella sua alternativa alla resistenza armata. Quando gli artisti israeliani rispettano e sostengono le Campagne di boicottaggio, sostengono i loro amici artisti palestinesi in Palestina. Israele sta affrontando un’ondata di delegittimazione da parte della comunità internazionale per la sua mancanza di rispetto per i diritti umani fondamentali e per il diritto internazionale. Le misure punitive nonviolente dovrebbero essere mantenute finché Israele non adempirà al suo obbligo di riconoscimento del diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione e finché non adempirà pienamente i precetti del diritto internazionale.
Dal massacro di Gaza del dicembre 2008, in cui Israele uccise 1400 palestinesi – soprattutto donne e bambini – e dopo il massacro della flottiglia del maggio 2010, molti artisti internazionali, intellettuali, accademici e operatori culturali hanno rifiutato di prendere pare a qualsiasi lavoro culturale, accademico o artistico che potrebbe portare a insabbiare i crimini di Israele. Tra coloro che hanno dato il proprio sostengo al movimento BDS globale ci sono l’arcivescovo Desmond Tutu, Adrienne Rich, John Berger, Ken Loach, Alice Walker, Arundhati Roy e Naomi Klein.
In un pietoso tentativo di mostrare al mondo quanto sia moderno e civilizzato, il governo israeliano tenta regolamente di invitare artisti e cantanti rinomati a esibirsi in Israele, spesso per intrattenere i soldati israeliani e il pubblico. Dopo ogni assalto e massacro che Israele commette, il governo fornisce ai militari la possibilità di celebrare i crimini commessi contro il popolo palestinese.
Direi che il BDS dovrebbe essere il futuro collettivo, il corpo rappresentativo per i palestinesi nella loro lotta contro Israele. Alcuni sostengono che il boicottaggio culturale di Israele possa violare la libertà di espressione e gli scambi culturali, ma queste sono esattamente le stesse obiezioni fatte contro la proposta iniziale di boicottaggio del Sudafrica sotto l’apartheid, un boicottaggio che infine contribuì a costringere il Sudafrica a riconosce le persone che opprimeva e il loro uguale diritto ad esistere accanto alla popolazione bianca sudafricana.
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traduzione a cura di Sara Manzoni