Se ne è andato anche l’ultimo grande teologo del nostro tempo. Hans Küng era oramai un classico del pensiero, una pietra miliare di una riflessione teologica che ha influenzato fortemente la filosofia, l’etica, il diritto e la cultura in generale.
Ha sollevato le contraddizioni che passano trasversalmente fra le chiese, non riconosceva l’infallibilità del Papa e in materia di bioetica ha più volte criticato le posizioni ufficiali della Chiesa, rigettando le modalità repressive della Congregazione per la dottrina della fede che lo colpirono alla metà degli anni Settanta e gli impedirono l’insegnamento. Nel 1993 si è impegnato per un progetto di formazione ed educazione alla Weltethos, ossia alla ricerca di un fondamento etico globale, interculturale e interreligioso.
Ho incontrato Küng a Brunico, in Alto Adige, in occasione della presentazione del suo libro-racconto “Was ich glaube” (in cosa credo) e ho avuto modo di dialogare con lui. Mi disse: «Scrivo per tutti quegli uomini che sono in ricerca, che non si sentono soddisfatti dal modo tradizionale di professare la fede sia romana che protestante. Scrivo per uomini e donne che non si sentono a loro agio in una costosa spiritualità in stile wellness (Wellness-Spiritualität) o in una semplice fede intesa come balsamo per la vita. Scrivo per chi ha dubbi ma anche il desiderio di vivere la vita come gioia e come bellezza. Non bastano più i catechismi, non sono sufficienti i libri di religione, i corsi di formazione e nemmeno la Bibbia presa soltanto come libro di studio. Molte persone sono in cerca di una fede comprensiva di tutto, di una fede che si combina con un’etica adeguata al terzo millennio». E sul dibattito intorno all’imposizione del simbolo della croce nei luoghi pubblici precisò: «La croce è essenziale per il cristiano. È un messaggio di vita, di speranza, di gioia. Nella storia però la croce è stata brandita come un’arma, è stata utilizzata come strumento di condanna degli eretici. Non è sempre stata un segno di benedizione. Capisco che ci siano delle persone che manifestano dubbi o avversioni nei confronti della croce appesa nelle scuole, però non credo che nemmeno il radicalismo laicista sia la soluzione al problema. La Corte europea non può legiferare su questioni del genere ma sono gli stati che autonomamente sono chiamati a disciplinare la materia.. Sono uno strenuo difensore della libertà religiosa ma sono anche convinto che per la maggior parte delle scuole italiane o tedesche la croce non sia un’offesa semmai è la mancanza di dialogo e di ascolto che è la base di molti conflitti».
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