È una questione simbolica. Ormai nemmeno ci si ricorda che la Forze Armate italiane hanno diritto all'assistenza religiosa, ovviamente "cattolica". Ma resta - e deve restare - la questione di principio di cui Pax Christi è stata interprete e sostenitrice: se la sigla del movimento cristiano richiama la pace, sarebbe bene non usare la parola come se fosse un mantra.

In realtà, proprio se si ha a cuore la pace, sembra consigliabile studiare prima la guerra e le strutture militari che, solo dopo la prima guerra mondiale, si appellano alla difesa. La linguistica svela che, se la guerra è stata sempre maledetta, è anche stata sempre ritenuta una condizione di necessità della disperazione storica secolare: i ministeri dei governi europei lo chiamavano "ministero della guerra", come se fosse una struttura normale e necessaria, come se il Vangelo suggerendo la fratellanza universale, tenesse sempre d'occhio Caino e Abele. Ma il "progresso" fa sì che dopo la seconda guerra mondiale e la minaccia nucleare anche i militari si ritengano operatori di pace. Tuttavia non poi sanno bene che cosa fare se altri paesi civili non "nostri" (le responsabilità non sono mai anche nostre) rivendicano diritti e appartenenze - metti un'Ucraina che abbandona la Russia e un Putin che blocca il gas ai paesi della Nato - che i politici non sono riusciti a prevenire e comporre.
Pax Christi ha sempre denunciato la demenzialità (come diceva teologicamente Giovanni XXIII) delle guerre ma non ha esitato a denunciare la contraddizione tra l'imperativo della pace e la presenza di un presbitero interno alla struttura difensiva italiana: non negava l'assistenza religiosa nelle situazioni estreme, ma con riserve critiche, a partire dalla parzialità della confessionalità solo cattolica, tanto più che, oltre alle altre confessioni cristiane, ormai i nostri concittadini di seconda generazione possono accedere alla professione militare e nessuno sa se sono musulmani. Ma è nella sostanza che risulta irragionevole che il cappellano faccia parte della struttura militare. Il buon cristiano, tanto più se cattolico, proprio perché è "pacifista", sa che "la difesa" e, quindi, le "forze armate" sono un dato di realtà ineludibile e il "soldato/a" è un impiegato/a dello Stato come gli altri. Passi che il Vaticano abbia la difesa (?) della Guardia svizzera e perfino un Ordinario militare secondo i Concordati tra due Stati sovrani (non riapriamo, per carità, la dubbia questione concordataria), ma che l'Ordinario abbia il titolo di "tenente generale" (corrisponde al "generale di corpo d'armata") con relativo uguale stipendio a carico del contribuente non sta né in cielo né in terra. Non è laicismo anticlericale, ma normale rispetto democratico dei diritti di cittadinanza.
Reso omaggio al presidente italiano di Pax Christi Luigi Bettazzi che in tempi. non lontanissimi non ha mai provato il minimo imbarazzo a sollevare, teologicamente e laicamente, questa contraddizione della sua Chiesa - Grazie, don Luigi, hai fatto storia - il nostro antico impegno deve accusare la sconfitta.
Non è la prima. Non abbiamo saputo fronteggiare tempestivamente la lunga trattativa che ha finito per attribuire a Giovanni XXIII, il papa della Pacem in terris, il titolo di patrono dell'esercito italiano. Davvero bisognerebbe andare almeno una volta al mese a visitare il sito dell'ordinariato militare perché si muove tacitamente e combine stranezze. Questa volta lo scherzo è stato più pesante, perché, senza nemmeno riprendere i termini dell'Intesa concordataria, il 22 aprile dello scorso anno (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale un mese dopo) è stata promulgata la legge 70 - Ratifica ed esecuzione dello Scambio di Lettere tra la Repubblica italiana e la Santa Sede sull'assistenza spirituale alle Forze armate, fatta a Roma e nella città del Vaticano il 13 febbraio 2018, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno a obbligazioni internazionali contratte con la Santa Sede. La complessità della procedura a Camere riunite conferma la radicalità del provvedimento, avvenuto mediante scambio di lettere tra le cancellerie del governo italiano (Gentiloni) e del Segretario di Stato vaticano (Parolin) su questioni così rese definitive. Le variazioni rispetto alle determinazioni di legge precedenti sono irrilevanti (anche se è da menzionare un piccolo risparmio nella gestione) e hanno a che vedere prevalentemente con questioni burocratiche, amministrative e giudiziarie (nei casi di specie i cardinali possono chiedere di testimoniare in sede diversa da quella prescritta). Anche prima l'istituto dell'assistenza religiosa alle FFAA era disciplinato dal diritto italiano: è infatti lo Stato che assume i cappellani cattolici con un rapporto di pubblico impiego e la gerarchia militare italiana li conforma distinguendoli nelle qualifiche di cappellano "addetto", "capo dei cappellani" e "primo dei cappellani" per diversità di funzioni e durata. Andranno bene anche per il Vaticano, ben soddisfatto di ricevere dallo Stato italiano il finanziamento di un servizio istituzionalmente proprio. Aspettiamo che qualcuno dei 162 cappellani (la norma ne ha stabilizzato il numero) sia un presbitero che si sente a disagio. Perché ormai questo provvedimento ha chiuso la partita