Sul treno veloce che mi riporta a casa dopo la grande e bella manifestazione a Roma di sabato 5 si accavallano pensieri. Un po’ si sonnecchia e i pensieri, i volti, le emozioni, le parole ti risuonano dentro in modo disordinato, ma bello. Sì, sono contento. Questo grande appuntamento a Roma del popolo della Pace mi ridà speranza.

Voglio conservare tutto questo per non lasciarmi vincere dalla paura, dal senso di impotenza e anche qualche volta dalla rabbia. E non è solo questione di numeri. Anche. Ma di idee, di proposte e di impegno. Riascoltare dal palco parole che toccano il cuore. Rivedere volti, riascoltare la voce di Katrin (Katya) Cheshire, pacifista ucraina che ho incontrato a Kiev un mese fa, con la carovana di #Stopthewarnow. Sì, ti riaccende la speranza! E non è cosa da poco. Poi, certo, ci sono un’infinità di cose che ti preoccupano: la guerra, le guerre prima di tutto.

Poi le navi respinte dei migranti. Poi centomila altre cose che ti angosciano. Compresa “La metamorfosi della manifestazione sui giornali” come scrive oggi Tonio Dell’Olio su Mosaico di pace “…Un mosaico bellissimo animato dal desiderio della pace… Leggo i giornali del giorno dopo e assisto a una metamorfosi indecorosa della realtà. Quella a cui ho partecipato diventa la manifestazione di Letta e Conte, contrapposta a quella di Calenda e Renzi a Milano.

E l’elenco di motivi per essere molto preoccupati sarebbe lungo. Comprese le dichiarazioni di qualche politico della mia zona che – proprio in questi giorni in cui si parla sempre più di uso di bombe nucleari – esalta il progetto degli aerei da guerra F-35, predisposti per il trasporto delle bombe nucleari B 61-12: “autorevolezza e eccellenza italiana”, “progetto ambizioso e lungimirante”. Sì, di cose ‘brutte’ ce ne sono tantissime. Compressi gli insulti di ‘ipocrisia’ dalle colonne di qualche grande giornale o su FB. Il clima che viviamo è molto violento, avvelenato. Ma io non voglio perdere la serenità, la speranza per essere costruttore di pace, in cammino con tante altre persone.

Bello il titolo di Avvenire di domenica 6: Corpi di pace.

Belle anche le parole di papa Francesco dal Barhein in questi giorni e sul volo di ritorno:

“… hanno bisogno di fare una guerra per sentirsi forti e anche per vendere le armi eh! Perché oggi credo che la calamità più grande che c’è nel mondo è l’industria delle armi. Per favore! Mi hanno detto, non so se è vero o no, che se per un anno non si facessero le armi, si metterebbe fine alla fame nel mondo. L’industria delle armi è terribile”.

Il lavoro non manca. E neanche la speranza.