Sì, è quasi banale, ma non inutile, ricordare che il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarava guerra all'Austria. E non era una guerra di difesa...
Quanta retorica abbiamo ascoltato in tutti questi anni. La canzone del Piave che "mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio" l'abbiamo imparata sui banchi di scuola, ma la sentiamo ancora suonare e cantare in molte manifestazioni, cortei e quant'altro. La bugia e follia della guerra ha bisogno della retorica, per creare consenso.
Ieri come oggi.
La canzone del Piave fu scritta nel 1918 per sollevare il morale delle truppe.
E così i circa 650.000 morti, solo tra gli italiani, vengono chiamati eroi, e non – come sarebbe giusto - carne da macello, mandati a morire nelle trincee. E quanti furono quelli che 'obiettarono'? Quelli che venivano chiamati disertori o traditori?
870.000 militari denunciati, 470.000 per renitenza, 350.000 processi celebrati, 170.000 le condanne, di cui 111.000 per diserzione. Oltre 4.000 condanne a morte, 750 eseguite.
"Il superiore - si legge in una circolare firmata da Cadorna - ha il sacro potere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacchi". E sempre Cadorna amava ripetere: "Le sole munizioni che non mi mancano sono gli uomini". Cadorna è considerato un eroe. Quanti monumenti, vie, piazze e scuole sono a lui dedicate!
Forse dovremmo riflettere prima di canticchiare, magari anche sorridendo, la canzone del Piave.
E la storia si ripete. Cresce anche oggi la retorica della guerra: inevitabile, giusta e magari anche benedetta, se non proprio santa. Cresce la propaganda, la cultura di guerra, che entra alla grande anche nelle scuole con i militari che presentano il servizio militare come un investimento sicuro per il futuro di un giovane. È nata una campagna "scuole smilitarizzate" e anche "L'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole". Ne ha parlato Luca Liverani su Avvenire il 9 maggio scorso: "L'alternanza scuola lavoro - oggi Pcto - usata dalle Forze armate per impiegare gli studenti in attività nelle caserme. Fino al caso in Sicilia dei Marines di Sigonella invitati come insegnanti".
Chiudo ricordando quanto scrisse don Lorenzo Milani (il 27 maggio avrebbe compiuto 100 anni) ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell'11 febbraio 1965. "L'Italia aggredì l'Austria con cui questa volta era alleata... Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una «inutile strage»? (l'espressione non è d'un vile obiettore di coscienza ma d'un Papa canonizzato)".
E poco prima aveva scritto: "Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese più la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo?
La retorica cresce... e il Piave? Mormora... Pensiamoci su un momento prima di cantare il Piave.