Richiamare al cuore (ri-cordare) il caro Luigi Bettazzi significa per me ricapitolare gran parte della mia vita sia in ambito ecclesiale che in quello civile e in quello politico.
Vuol dire incrociare la sua storia con esperienze multiformi che sono alla base della mia formazione e che guidano il mio cammino: persone come Primo Mazzolari, Giovanni XXIII, Martin L. King, Lorenzo Milani, Giorgio La Pira, Ernesto Balducci, David M. Turoldo, Tonino Bello, Helder Camara, Leonidas Proaňo, Oscar Romero, Marianela Garcia, Giulio Battistella, Giulio Giradello; esperienze come l’attività nella Fuci (era assistente nei miei anni Lorenzo Bellomi, poi vescovo di Trieste), lo scautismo, l’obiezione di coscienza al servizio militare e il servizio civile in Ecuador (1971-1973), la partecipazione ai movimenti per la pace (dagli incontri areniani degli anni ‘80 e ‘90 alle iniziative attuali per la pace in Ucraina), l’attività in Pax Christi; eventi come il Concilio vaticano II (e il Patto delle catacombe per la povertà della Chiesa), gli incontri ecumenici (orientati alla costruzione della pace, della giustizia e della cura del creato), la cooperazione missionaria con comunità africane e sudamericane, la presenza all’ONU dove ricevette il premio Unesco per l’educazione alla pace; la marcia dei 500 a Sarajevo con Tonino Bello di cui si sentiva “maestro e discepolo” nel dicembre 1992.
L'ho incontrato la prima volta durante la marcia notturna di capodanno 1969 da Valeggio al carcere militare di Peschiera in solidarietà con l'obiettore di coscienza Enzo Melegari. Nel 2018, ero con lui a Molfetta durante la visita di papa Francesco nei luoghi di don Tonino Bello. L’ho visto l’ultima volta a una settimana di spiritualità presso la casa per la pace di Firenze nel luglio 2022 durante la quale scherzava sul suo diventare vescovo “secolare” e ci annunciava la sua prossima “entrata nella vita eterna”.
Importante è stata per me e per tanti della “sinistra indipendente”, coordinata da Raniero La Valle, la lettera ad Enrico Berlinguer del 1976 in cui citava la Pacem in terris (bella anche la risposta dell’allora segretario dl Pci sul dialogo tra persone differenti ma convergenti nella difesa della dignità umana e della pace). Costante era la sua attenzione per lo sviluppo della democrazia, minata dall'opera di poteri occulti ed eversivi.
Nel maggio scorso ha partecipato alla "staffetta dell'umanità per la pace". Stretto al suo bastone, fragile ma lucido e deciso, esortava a seguire tre obiettivi: creare una mentalità nonviolenta, mettere in atto gli strumenti della diplomazia, sviluppare forze di interposizione. Sapeva coniugare alcune dimensioni tipiche del patriarca biblico: la profezia e la sapienza, la serietà e l’ironia, l’impegno assiduo e il gusto di vivere. Ricordo di lui non tanto le argomentazioni concettuali ma la presenza costante fiduciosa e costruttiva (veglie, marce, viaggi, indagini sui diritti umani dal Vietnam al Centro America, almeno quaranta pubblicazioni). Il suo stile era sobrio, essenziale e chiaro. Scomodo a molti, rispondeva a critiche e insulti con l’arguzia e il sorriso. Gli sono molto grato non solo per gli incontri personali e le prefazioni a miei libri su Tonino Bello e papa Francesco, ma soprattutto per la sua azione fiduciosa a favore di una chiesa ospitale, conviviale, sinodale, fresca e aperta alla gioia del Vangelo e alle attese profonde dell'umanità. Per la sua educazione alla speranza. Per la sua mitezza. Il modo migliore di ricordarlo è continuare la sua azione.