È successo diverse volte. Al termine dell’ennesima corsa affannosa tra lezioni, incombenze burocratiche e spesa, mi son domandata: “Chi me lo fa fare?”.
Chi me lo fa fare a vivere a 1000 km da casa, a patire il freddo, a non godere degli affetti familiari, delle amicizie? La mia vicenda ha inizio nell’estate del 2020, quando, dopo la prima ondata di Covid-19, si riponevano ancora molte speranze nel futuro e pensavamo che la pandemia ci avrebbe resi migliori, che illusi!
Compilo la fatidica domanda Gps - Graduatorie provinciali per le supplenze e, dopo un lungo toto province tra amici e colleghi, con l’obiettivo di ricevere un contratto al 31 agosto o al 30 giugno, la scelta ricade sulla provincia di Cuneo, sì proprio dove Totò ha fatto il militare.
Il 25 settembre 2020 arriva la convocazione. Ottengo un incarico al 30 giugno in una scuola media della provincia di Cuneo. E tra le lacrime dei miei genitori, le chiamate agli zii e i saluti dei vicini di casa sul pianerottolo, la mattina seguente sono sul volo Bari-Cuneo e il lunedì prendo servizio. Forse un giorno riuscirò a realizzare cosa ha rappresentato quell’anno per me, tuttora le parole continuano a non prender forma sul foglio. Poi arriva, in pieno stile orwelliano, l’algoritmo, il Big Brother degli insegnanti, con l’obiettivo di accelerare i tempi e avere tutti gli insegnanti in cattedra dall’inizio dell’anno scolastico. Il conto alla rovescia comincia: 24h di tempo per fare la presa di servizio. Altrimenti il fortunato o la fortunata – sì, perché di questo si tratta – sarebbe stato/a qualcun altro/a. Un altro anno passa, scuola differente, zero continuità didattica. E ancora una volta Big Brother l’algoritmo decide dei nostri destini.
Certo, nei momenti più difficili, mi chiedo: “Tutta questa corsa dove mi porterà, cosa troverò al traguardo? A un contratto a tempo indeterminato, e poi?”. Il pensiero comune ci impone di accettare la nostra condizione lavorativa. Bisogna, in altre parole, “tenerselo stretto il lavoro”. E, come bestie da soma, accettiamo tacitamente i dettami della società.
E ancora mi chiedo come posso presentarmi ai ragazzi e alle ragazze e parlare di Giacomo Leopardi, di Pericle e della fame nel mondo, se prima non ho provato in prima persona a cambiare la situazione? Poi, un sabato pomeriggio, incontri un’ex alunna, che, sorridendo, ti dice che è felice del percorso che ha intrapreso e quella mano sulla spalla, quell’abbraccio, ti ricorda che nonostante la rabbia e la distanza, fai il lavoro più bello del mondo!
Ed eccomi, valigia pronta, un’insegnante precaria ma felice.