In un limbo: “Il verdetto odierno lascia Assange e tutti coloro che difendono la libertà di stampa in un limbo”, ha dichiarato Simon Crowther, consulente legale di Amnesty International.
L’Alta Corte del Regno Unito ha infatti concesso ad Assange un nuovo ricorso in appello, finora rifiutato, e ha sospeso, fissando una nuova udienza il 20 maggio, l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti. Una decisione che non spalanca subito l’abisso, non solo per Assange, ma come viene sempre sottolineato, per la libertà di stampa in tutto il mondo. Consegnarlo, dice da sempre Amnesty, avrebbe un “effetto raggelante”: “Con la loro intenzione di imprigionare Assange, gli Usa stanno mandando un messaggio chiaro ai giornalisti in ogni parte del mondo: possono diventare un bersaglio e non devono sentirsi al sicuro se ricevono e pubblicano materiale riservato, anche se lo fanno in nome dell’interesse pubblico”.
Due elementi sono molto negativi: la Corte inglese non ha riconosciuto, come richiesto dai legali di Assange, la natura politica delle accuse e ha anche chiesto nuove rassicurazioni agli Stati Uniti sul trattamento che riserverebbero ad Assange, già allo stremo per anni di detenzione terribile: una richiesta ipocrita, perché lo stato dei diritti umani nelle carceri Usa è in generale gravissimo e nei carceri speciali – dove sicuramente finirebbe Assange - le condizioni tecnicamente giudicabili “tortura e trattamento inumano e degradante” sono norma e quotidianità senza spiragli. Ma la Gran Bretagna evidentemente cerca solo il modo per sollevarsi da responsabilità dirette (visto anche il caso Navalny).
Resta quindi solo la mobilitazione dal basso per chiedere la cancellazione totale delle accuse a un coraggiosissimo giornalista senza il quale non conosceremmo gli orrori di cui sono macchiati gli USA ad Abu Grahib e Guantanamo. E molti altri ancora.