Julian Assange è a casa. La notizia è talmente bella e sorprendente che i social inizialmente sono cauti nel rilanciarla. Ma è vero, per fortuna. La sua vita è salva.
Wikeleaks (Wiki = fuga, fuga di notizie), il sito di informazione indipendente da lui fondato, ha dichiarato: “Questo è il risultato di una campagna globale che ha coinvolto organizzatori di base, attivisti per la libertà di stampa, legislatori e leader di tutto lo spettro politico, fino alle Nazioni Unite. Ciò ha creato lo spazio per un lungo periodo di negoziati con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che ha portato a un accordo che non è stato ancora formalmente finalizzato. Assange dopo più di cinque anni in una cella di 2x3 metri, isolato 23 ore al giorno, presto si riunirà alla moglie Stella Assange e ai loro figli, che hanno conosciuto il padre solo da dietro le sbarre". Una mobilitazione capillare a livello internazionale, in effetti – la moglie si è rivolta “a te, a te, a te”, dicendo che “non ci sono parole per esprimere l’immensa gratitudine”- una mobilitazione che è andata in crescendo nella fase finale, quando si avvicinava il rischio dell’estradizione negli USA.
Lì Assange rischiava una condanna a 175 anni di carcere sicuramente durissimo, a cui non sarebbe potuto sopravvivere a lungo, date le sue condizioni già gravi. L’Alta Corte di Londra gli ha concesso la libertà su cauzione. Il prezzo è stato il patteggiamento concordato con gli Stati Uniti, che sarà ratificato in questi giorni da un tribunale a Saman, nelle Isole Marianne, territorio USA. Biden non poteva affrontare una condanna senza appello di Assange in un anno elettorale – è già troppo in difficoltà con i progressisti per il suo appoggio a Israele - Ma ha preteso che Assange, in cambio di una condanna pari al periodo di carcere già scontato, accettasse di dichiararsi colpevole di “aver cospirato per ottenere e divulgare documenti classificati della difesa nazionale degli Stati Uniti”: un unico reato dei 18 che gli si addebitavano, che però rientra nel famigerato Espionage Act del 1917, fortemente lesivo della libertà di stampa. Diversi osservatori, infatti, pur esprimendo la massima soddisfazione per la conclusione positiva di un dramma umano e anche politico, hanno osservato che i principi della libera espressione delle informazioni non sono stati veramente riconosciuti. L’immenso lavoro svolto da Assange viene alla fine condannato dalla giustizia degli Stati Uniti. Questo vuol dire che la mobilitazione per difendere le libertà democratiche e i diritti umani deve continuare.
Perché chiunque ragioni in modo libero sa che quelle accuse sono strumentali e che Assange non ha fatto altro che svelare gravissimi crimini di guerra e violazioni di diritti umani commessi dall’esercito e dal governo degli Stati Uniti: migliaia e migliaia di fotogrammi e testi ricevuti da fonti attendibili, che ha sempre protetto non esponendole, controllati minuziosamente da riscontri incrociati. Gli orrori di Guantanamo, lager extragiudiziale con condizioni di tortura praticamente permanente, la violenza sadica di Abu Ghraib in Iraq, la guerra sporca in Afghanistan e, ancora, in Iraq. Oltre molte trame politiche oscure. Tutto questo non lo avremmo mai saputo senza Julian Assange. La libertà di informazione è il fondamento della democrazia. Come ha detto lui stesso: “Ogni giorno la gente comune ci insegna che la democrazia è libertà di parola e dissenso. Ogni volta che rinunciamo a parlare e a dissentire, ogni volta che siamo distratti o pacificati, ogni volta che ci allontaniamo gli uni dagli altri non siamo più liberi. Perché la vera democrazia è la somma della nostra resistenza”.