Colossale contraddizione, scandalo intollerabile e grande ipocrisia
Gli interventi del Papa sono sempre scomodi. Penso a quelli sull'economia o sulla cura del creato. Ma quelli più duri e imbarazzanti per gli affaristi delle guerre e per i mercanti di armi riguardano proprio il disarmo, coperti da minimizzazioni furbesche o da un silenzio tombale. Distrazione? Voluta indifferenza? Paura? Subalternità alle logiche del nemico? Complicità con il riarmo? Poca fede (per i cristiani)?
Sette appelli solenni
Tra i tantissimi, praticamente ogni settimana, tralasciando le belle riflessioni pagine di Fratelli tutti (256-262), ricordo solo sette pronunciamenti degli ultimi tempi.
Quello classico (ribadito il 24 novembre 2019 in Giappone) contro le armi nucleari: non solo contro il loro uso ma anche contro l'immoralità del loro possesso, in sintonia col Trattato ONU di messa la bando delle armi nucleari (2017, 2021), non firmato dall'Italia.
Quello indignato di Pasqua 2021: "La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo – ed è scandaloso – non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi".
Quello incalzante (contenuto nel libro Dio e il mondo che verrà, Lev e Piemme 2021): "Non è più sopportabile che si continuino a fabbricare e trafficare armi spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone, salvare vite. Non si può far finta che non si sia insinuato un circolo drammaticamente vizioso tra violenze armate, povertà e sfruttamento dissennato e indifferente dell’ambiente" (p.82).
Quello tremendo del 5 febbraio 2020 alla Pontificia Accademia di Scienze sociali: "È necessario affermare che la più grande struttura del peccato, o la più grande struttura dell'ingiustizia, è la stessa industria della guerra, poiché è denaro e tempo al servizio della divisione e della morte. Il mondo perde miliardi di dollari in armamenti e violenza ogni anno, il che porrebbe fine alla povertà e all'analfabetismo se potessero essere reindirizzati".
Quello bruciante del 22 febbraio 2020 a Bari: "La guerra è una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare [...]. E a questo io vorrei aggiungere il grave peccato di ipocrisia, quando nei convegni internazionali, nelle riunioni, tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra. Questo si chiama la grande ipocrisia".
Quello orante e rivoluzionario rivolto ai movimenti popolari il 16 ottobre 2021: "Voglio chiedere, in nome di Dio, ai fabbricanti e ai trafficanti di armi di cessare totalmente la loro attività, che fomenta la violenza e la guerra, spesso nel quadro di giochi geopolitici il cui costo sono milioni di vite e di spostamenti" .
Un grande multiforme impegno
La pandemia ha reso evidente che la nostra sicurezza non è garantita dalle armi, quanto dal potenziamento di sanità, servizi, lavoro e dalla cura del creato. Su questo decisivo argomento c'è troppo silenzio. La politica estera deve essere asservita all’industria militare?. La comunità cristiana (compresa la CEI) deve accontentarsi di vaghe esortazioni?.
Il 29 aprile 2021 qualcosa si è mosso in ambito cattolico: l’Appello contro le armi nucleari promosso da Acli, Azione cattolica, Associazione Giovanni XXIII, Movimento Focolari e Pax Christi che ha avuto poi l’adesione di altre 40 associazioni. Rivolto al nostro Parlamento e al governo, esso ricorda che l'Italia non solo non ha firmato il Trattato ONU ma sta ammodernando le basi nucleari di Ghedi e di Aviano. Mentre troppi tacciono, il papa continua con insistente realismo profetico.
Riconversione civile
Nel libro Pace in terra. La fraternità è possibile (Lev, 2021), Francesco pone una serie di interrogativi: "Siamo consapevoli della sofferenza di tanti per la guerra? Siamo coscienti dei rischi per l’umanità? Cerchiamo in qualche modo di spegnere il fuoco delle guerre e di prevenirle? [...]. Come essere cristiani con la spada [nucleare] in pugno? Come essere cristiani fabbricando “spade” con cui altri si uccideranno? Oggi purtroppo si realizzano armamenti micidiali e sofisticati. Dare ascolto all’appassionato grido del Signore vuol dire smettere di vendere armi […]. Non esistono giustificazioni in proposito, fossero quelle dei posti di lavoro che si perderebbero con la fine del commercio delle armi" (p.162).
Nei primi mesi della pandemia, precisa Francesco nel testo Dio e il mondo che verrà, "è stato bello sapere che, mentre mancavano ventilatori polmonari, alcune aziende di armi in Italia hanno cambiato la produzione, realizzando quel materiale di bene comune di cui c’era urgente necessità. È questa la strada: la creatività" che "può diventare un metodo politico e imprenditoriale" (p. 85). Si chiama riconversione civile (ed ecologica) delle spese militari. Bisogna volerla e organizzarla. Ci sentiamo responsabili di questa situazione, pronti a operare non solo sette ma settanta volte sette?