"Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino!”.

Così papa Francesco nel primo discorso in Congo il 31 gennaio 2023, nel vuoto di un’informazione silente, distratta o attenta solo a particolari secondari. Mentre tanti opinionisti di varia ispirazione cercano di giustificare in modo magico-religioso l’affarismo multinazionale come “provvidenziale” o la logica bellica come “santa” o “naturale”, il Papa affronta subito in modo lucido, laico, cattolico, cioè universale e cristiano, il nocciolo della questione. “Il mondo faccia memoria dei disastri compiuti lungo i secoli a danno delle popolazioni locali e non dimentichi questo Paese e questo Continente. L’Africa, sorriso e speranza del mondo, conti di più: se ne parli maggiormente, abbia più peso e rappresentanza tra le Nazioni!”

Un Paese straniero ai suoi abitanti
Non si può parlare di Africa senza evidenziare i danni del “colonialismo economico” altrettanto schiavizzante di quello politico. “Questo Paese, ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono “straniero” ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca”.

Bambini sfruttati e bambine violate
In tale contesto, “tanti bambini non vanno a scuola: quanti, anziché ricevere una degna istruzione, vengono sfruttati! Troppi muoiono, sottoposti a lavori schiavizzanti nelle miniere. Non si risparmino sforzi per denunciare la piaga del lavoro minorile e porvi fine. Quante ragazze sono emarginate e violate nella loro dignità! I bambini, le fanciulle, i giovani sono il presente di speranza, sono la speranza: non permettiamo che venga cancellata, ma coltiviamola con passione!”

Violenze, corruzione, affari vergognosi
Francesco dimostra di conoscere bene la realtà di un Paese che ha patito quattro milioni di morti nella cosiddetta “guerra mondiale africana”, scatenatasi negli anni Novanta del secolo scorso. Lo sfruttamento operato da imprese multinazionali per l’accaparramento delle materie prime si è poi intrecciato a dinamiche tribali che si contendono terre e potere con gravi violazioni dei diritti umani, instabilità e corruzione. Cento gruppi armati sono impegnati in scontri sanguinosi per sostenere economie protette dai signori della guerra, attivi dentro e fuori il Congo, e da aziende straniere pronte a comprare e corrompere tante persone. Anche la nostra indifferenza. Ecco allora l’insistente invito che rivolgerà anche i giovani. “Non ci si lasci manipolare né tantomeno comprare da chi vuole mantenere il Paese nella violenza, per sfruttarlo e fare affari vergognosi: ciò porta solo discredito e vergogna, insieme a morte e miseria. Fa bene invece accostarsi alla gente, per rendersi conto di come vive. Le persone si fidano quando sentono che chi le governa è realmente vicino, non per calcolo né per esibizione, ma per servizio”.

Non abituarsi al sangue e alla violenza
Di qui una frustata verso l’indifferenza complice di tanti paesi e l’auspicio commosso di una presenza pacificatrice legata alla giustizia e alla cura del creato. “Si faccia largo una diplomazia dell’uomo per l’uomo, dei popoli per i popoli, dove al centro non vi siano il controllo delle aree e delle risorse, le mire di espansione e l’aumento dei profitti, ma le opportunità di crescita della gente. Guardando a questo popolo, si ha l’impressione che la Comunità internazionale si sia quasi rassegnata alla violenza che lo divora. Non possiamo abituarci al sangue che in questo Paese scorre ormai da decenni, mietendo milioni di morti all’insaputa di tanti. Si conosca quanto qui accade. I processi di pace in corso, che incoraggio con tutte le forze, siano sostenuti coi fatti e gli impegni siano mantenuti”.

Illuminare le tenebre dell’ingiustizia
Fare luce, quindi, osserva il papa. Conoscere per cambiare. “Nella società, a oscurare la luce del bene sono spesso le tenebre dell’ingiustizia e della corruzione. Già secoli fa Sant’Agostino, che nacque in questo Continente, si chiedeva: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?» (De civ. Dei, IV,4). Dio è dalla parte di chi ha fame e sete di giustizia (cfr Mt 5,6). Non bisogna stancarsi di promuovere, in ogni settore, il diritto e l’equità”. Il giorno dopo, parlerà di “benedizione della giustizia”.

Tribalismo e riconciliazione
Per custodire il pluralismo del Paese, il suo carattere poliedrico, occorre, allora, lavorare per una robusta riconciliazione nella verità e nella giustizia (Francesco ne aveva parlato nella Fratelli tutti citando esperienze di riconciliazione anche in vari paesi africani). La ricchezza sociale “va custodita, evitando di scivolare nel tribalismo e nella contrapposizione. Parteggiare ostinatamente per la propria etnia o per interessi particolari, alimentando spirali di odio e di violenza, torna a svantaggio di tutti, in quanto blocca la necessaria “chimica dell’insieme”.

Il vocabolario della pace
In una “periferia” così centrale per l’umanità, ferita e sconvolta da violenze inaudite ma carica di germogli e di grandi testimonianze di bene, la lotta per la pace diventa, direbbe Tonino Bello, un grande mobilitante vocabolario. Si coniuga con il disarmo delle menti e dei territori; con “la smilitarizzazione del cuore” e la riscoperta dei volti; con la difesa della dignità umana; con pratiche di riconciliazione; con l’attivazione del perdono socio-politico che “apre il futuro”; con la fame di giustizia; con la cura del creato; con lo stato di diritto; con la cooperazione internazionale; con il dialogo ecumenico e interreligioso. Con il nuovo umanesimo della cura. Un compito affidato ai giovani (incalza Francesco il 2 febbraio 2023) se "creatori di comunione", "indomiti sognatori di un mondo più unito", "trasformatori della società", capaci di incarnare la "beatitudine della giustizia".

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