27 anni dopo siamo più forti noi o sono più forti loro? Questa è la domanda che dovremmo riuscire a porci come un mantra.

Perché di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina i giornali oggi scrivono che “persero la vita” in Via D'Amelio e invece a noi piace pensare che, più che perderla, l'hanno “sparsa”. Come si spargono i semi. Nella speranza di trovare un terreno fertile. Ascoltare oggi le parole di Borsellino che denuncia la sua stessa solitudine e capisce di essere il servitore di uno Stato che preferisce i lacchè dello status quo, rinnova la ferita. Certo, i sei sarebbero felici di constatare che tanti giovani in questi giorni sono impegnati nei Campi di Libera a discutere di antimafia e ad ascoltare testimonianze significative di familiari di vittime. In questo siamo più forti noi. E lo diventeremmo ancora di più se certe sfumature di mafiosità scomparissero definitivamente dall'agire politico e sociale. Se la verità non fosse continuamente sacrificata sull'altare degli interessi di consorterie di potere e di denaro, che è un altro modo di dire mafia. Ai martiri di Via D'Amelio possiamo soltanto rinnovare quel giuramento solenne in cui ci impegniamo a convertirci in terreno fertile.


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