Le immagini registrate da una telecamera nascosta e poi trasmesse in televisione del magistrato che sfoglia e conta mazzette da 100 euro frutto di corruzione per aggiustare processi è un monito che scoraggia alla corruzione o un miraggio che stuzzica l'appetito?

Per molti è il primo perché è quanto meno umiliante per un individuo che la legge deve farla rispettare e invece se ne serve come zerbino. Per altri quello è un furbo che non è stato abbastanza attento a non farsi beccare. Si scontrano le culture della legalità e della scaltrezza. Si accettano scommesse su chi vincerà. Io so soltanto del graffio profondo che quelle immagini lasciano in maniera permanente sul fondo delle coscienze dei più giovani. Perché corruzione – lo ripetiamo spesso – è anche sostantivo del verbo corrodere e di fatto erode la fiducia nelle istituzioni, nelle relazioni, nella lealtà tra coloro che appartengono alla medesima comunità. Come fossimo tutti sullo stesso scoglio (o sullo stesso spuntone di roccia) che piano piano si corrompe per via del calcare. Col rischio di precipitare tutti insieme. Restiamo vigili. Ma non per non farci beccare. Piuttosto per non franare.


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