Il carcere per noi è una protesi lontana che con la vita quotidiana e sociale non c'entra nulla. Il carcere non esiste. Che poi è un modo di esorcizzare quella realtà e di segnare una distanza igienico-sanitaria dal nostro perimetro di perbenismo.
Per questa ragione restiamo sorpresi dai disordini che attraversano gli istituti di pena in questi ultimi giorni e siamo indignati dalla violenza con cui si esprime. Ma tra i detti del carcerario c'è che di tre cose si ha paura al di sopra di ogni altra cosa: i terremoti, gli incendi e le epidemie. Esattamente tre situazioni dalle quali chi è "ristretto" o "recluso" non può mettersi in salvo o quanto meno al riparo o tempestivamente assumere contromisure efficaci. Provate voi, nel sovraffollamento delle carceri italiane, ad osservare in questi giorni la distanza di sicurezza sanitaria prevista! Pertanto nessuna giustificazione per la violenza utilizzata in questi giorni nel corso delle rivolte, tenuto conto che, molto spesso, quello della violenza è l'unica lingua che conosce chi delinque ma, a volte, anche chi reprime. Per il resto se riuscissimo a parlare con lo stile del dialogo più che con la forza dei decreti, ci comprenderemmo meglio. Ma alla base rimane l'esigenza di educarci tutti alla convinzione che il carcere esiste, eccome se esiste!