Quasi tutte le cose che sono successe nella vita di Liliana Segre non hanno vocabolario per potersi raccontare. Se ne può balbettare più o meno la scorza, ma non la sostanza amara e triste.

Come fai a dire il sapore della lacrime e la sensazione del fango che ti arriva alle ginocchia e di Janine che viene condotta alla camera a gas mentre tu non ti volti nemmeno a guardarla e sei contenta in cuor tuo per averla fatta franca un'altra volta? Celebrando con lei i suoi inattesi novant'anni (10 settembre 1930) ripenso al racconto del corridoio di San Vittore attraversato per l'ultima volta prima di raggiungere il binario 21 e il treno piombato di Auschwitz. I delinquenti che erano rinchiusi in quelle celle, al passaggio di quei prigionieri "colpevoli di essere nati", dicevano: "Dove vi portano?", "Voi non avete fatto niente!", "Vi vogliamo bene!", "Coraggio!", "Vi vogliamo bene!", e lanciavano tozzi di pane e avanzi di portata. L'unico sussulto di coscienza, in quel tempo che traboccava odio e indifferenza celebrando la latitanza di umanità, fu di quei ladroni anch'essi in croce. Come vorrei oggi, davanti a Dio, promettere di stare sempre dalla parte di quei delinquenti che con le parole accarezzavano le treccine di una bambina "colpevole d'essere nata" e le offrivano il prezioso tozzo di pane della propria sopravvivenza.


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