Nei quartieri di Napoli anche i muri fanno scuola, si trasformano in lavagna e plasmano le coscienze più indifese.

Negli anni scorsi l'arroganza e lo strapotere dei clan e delle famiglie legate alla malavita è arrivata al punto di segnare il territorio con murales, altari con pretesa di luoghi di culto, piccole opere da street-artist raffiguranti giovani che hanno perso la vita mentre compivano una rapina, in un conflitto con il clan rivale o comunque in modo violento. Esposti a passanti e ad abitanti come eroi, ostentati come modelli, erano piuttosto l'affermazione di un predominio del territorio. Ora la determinazione del prefetto di Napoli Marco Valentini, insieme al comune, ha fatto in modo che quei simboli venissero rimossi, abbattuti, coperti. In nome del decoro delle strade e delle coscienze. La risposta non si è fatta attendere e nei giorni scorsi in diversi quartieri sono apparse scritte sui muri che dicevano: "I morti vanno rispettati, non cancellati". Una reazione che rivela che quella scelta colpisce al cuore il mondo della delinquenza e la sua cultura. La malavita si nutre di simboli e si diffonde mescolando paura e rispetto, proponendo modelli e solleticando aspirazioni segrete. Per questo teme la cancellazione di quei murales più del carcere. E per questo bisogna proseguire nella direzione giusta.

 

 


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