Fallaye Dabo, 28 anni, nato in Mali, lunedì scorso si è suicidato nelle campagne di Lucera (Foggia).

Tranne qualche foto da Facebook e qualche amico che lo piange, non abbiamo altra notizia e non credo che qualcuno si affannerà a indagare a fondo per spiegare il gesto di una "vita di serie B" e trasmettere bonifico del Tfr alla famiglia. Simbolicamente Fallaye si è impiccato a un ulivo nelle stesse campagne in cui raccoglieva pomodori e ortaggi. La provincia di Foggia è la provincia agricola più grande d'Italia: 500mila ettari coltivati a pomodori, ortaggi e frutta. Solo che i braccianti vengono pagati con salari da fame e sfruttamento. Da quando è entrata in campo la grande distribuzione, quella che ci fa pagare solo le confezioni di plastica di pomodorini, sedano e finocchi, contadini e caporali cercano solo manodopera a buon mercato. Al punto che a Fallaye Dabo la vita nei campi della Capitanata è risultata addirittura più dura della traversata del deserto, della permanenza in Libia e della roulette del Mediterraneo. Se è così, Fallaye Dabo non si è ucciso ma "è stato suicidato" da un sistema che impone i prezzi, specula e si arricchisce sugli anelli più deboli della catena. E in quella catena ci siamo anche noi e siamo tra gli anelli che acquistano e consumano.