Gv 20,19-31

¹⁹La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». ²⁰Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. ²¹Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! (…)

Mosaico della Domenica

Spesso sono così le porte della mia vita: chiuse sbarrate. Una trincea difensiva più che una dimora ospitale. Un bunker dentro cui ho chiuso, insieme a me, ogni fobia, ogni ansia, ogni paura e pregiudizio. Dietro quella porta chiusa e sbarrata ci sono le mie false sicurezze riposte unicamente nelle mie debolezze e le mie fragilità, sulla mia precaria volontà che non produce che spasmi e paralisi in un'alternanza che mima una danza senza armonia. È in quei momenti che vorrei trovare il coraggio dell'invocazione che sottrae al mutismo della rassegnazione e dire semplicemente il tuo nome. Oppure alzare gli occhi verso il cielo o all'innocenza del filo d'erba e implorarti di fare tu, come sempre, il primo passo. Le porte sono chiuse e solo tu sai come attraversarle. Per rivelarmi ancora ciò che è più disarmante e convincente di ogni altra profondità: hai sofferto più di me, ne porti i segni, e non sono cicatrici. Tutto questo dice pace. Quella pace di cui ho bisogno. Di cui tutta l'umanità ha bisogno. Una pace che non si stipula e non si tratta, non ha condizioni e non umilia, non è risultato di compromessi a metà strada o di accordi con la bilancia dell'orefice. È piuttosto un unguento che pervade e accarezza ma nello stesso tempo impegna sulla giustizia e illumina le zone d'ombre. È vigore ritrovato nelle gambe che riprendono il passo. Ed è cammino nuovo che impegna a farsi eco di quel saluto a tutto il mondo: Pace a voi.