"Torna, padre, se devi morire, moriremo insieme". È ciò che la gente di Rumbek ha gridato all'aeroporto mentre trasportavano il vescovo eletto Christian Carlassare a Juba (e poi a Nairobi) per consentirgli le cure necessarie dopo l'attentato che aveva subito la notte precedente.

Non ci interessa, in questa sede, entrare nel merito di una vicenda intricatissima di cui a noi occidentali mancano le chiavi di lettura. Mi interessa piuttosto quel sentimento che ha attraversato le persone di Rumbek e che è diventato urlo, invito, dichiarazione compromettente. In questa situazione si sono invertiti i ruoli al punto che non è il pastore che sceglie di dare la vita per il gregge che gli viene affidato, ma piuttosto quel popolo ad accettare, accogliere, scegliere la sorte toccata al pastore. È al di là del Vangelo. Un morire "con" te che supera persino il morire "per" te. Un filo come un'arteria che tiene uniti pastore e popolo in vita e in morte. E anche oltre. Se ne prende coscienza quando, con prove evidenti, l'altro dimostra di avermi talmente a cuore da decidere persino di dare per me quanto ha di più caro: la vita. La qualità delle nostre comunità, tanto di fede che sociali, si ritroverebbero in un balzo di qualità se solo lo si comprendesse. 


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