Rigoberta Menchù, Nobel per la pace 1992, è stata testimone diretta di ingiustizie e violenze estreme contro la sua famiglia e la sua comunità.

In più occasioni ho avuto la grazia di incontrarla. Quando le chiedevo se dentro di sé fosse riuscita a perdonare gli autori di quelle orribili stragi, la sua risposta era: "Io sono disposta a perdonare ma voglio sapere chi perdonare. Voglio guardarli in faccia". Penso che si tratti di un sentimento profondo che può essere compreso solo da chi l'ha vissuto, ma provo ugualmente a interpretarlo e a tradurlo. È l'esigenza di confrontarsi con la provocazione del perdono solo dopo aver avuto accesso pieno e completo alla verità. Dei fatti e delle sue motivazioni, delle persone e dei contesti che li hanno incitati ed eccitati. Ho ripensato all'esperienza di Rigoberta alla notizia dell'arresto degli ex terroristi italiani in Francia. Il tempo trascorso, le svolte della vita, il clima culturale che è cambiato, la società di oggi che non ha nulla di simile con quella della fine degli anni settanta… tutto vero. Ma il dolore no. Quello resta e ti morde la carne e non può essere rimarginato con la vendetta che piuttosto lo eccita e lo rinnova, ma solo col perdono che - unico - ha la forza di cicatrizzare definitivamente dentro di te la ferita inferta da quelle persone alla tua vita. Ma hai bisogno di conoscere la verità e di guardarli in faccia. Ecco, ieri si è fatto un passo avanti in quella direzione. Il percorso di perdono è scelta personale e intima e non prevede un colpo di spugna sulla giustizia ma, al contrario, la esige.


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