Persino la zona residuale della mia coscienza interista ieri sera si è rifiutata di festeggiare la vittoria dello scudetto tanto a lungo agognata.

Il blitz dei giorni scorsi denominato Superlega, ha segnato un punto di non ritorno: il calcio non è più il calcio. Il motto di mio padre, che mi aveva iniziato al tifo calcistico, era: "Il pallone è rotondo". Punto e basta. Significava che nessun risultato è scritto in maniera determinata e definita e che il bello di quello sport sta proprio nella sua imprevedibilità che si chiama sorpresa. Oggi invece sempre più ci si rende conto che anche il calcio è vittima di algoritmi predeterminati e che il giro vorticoso di soldi condiziona pesantemente i risultati. In maniera assolutamente legale, si intende! Diritti televisivi, quotazioni di borsa, merchandising e attività parallele e poi il calciomercato con l'allenatore più pagato del campionato o di tutta la storia del football e i calciatori trasformati in marionette, in macchine, o ancora in modelli da passerella e da pubblicità. Cosa c'entra tutto questo col calcio? Sei antico, mi dicono. Eppure un modo ci sarebbe per emergere da questa sbornia di soldi e di debiti, di élite e di stadi-astronave. Basterebbe mettere un limite massimo al prezzo dei trasferimenti dei calciatori. Mi piace pensare che Messi potrebbe accettare perfino l'idea di giocare nel Frosinone per dimostrare che riesce a cambiare il corso di un campionato. E tutti ci divertiremmo di più. 


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