Mc 14,12-16.22-26
¹²Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

¹³Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. ¹⁴Là dove entrerà, dite al padrone di casa: «Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?». ¹⁵Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». ¹⁶I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. ²²E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». ²³Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. ²⁴E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. ²⁵In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».  ²⁶Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Mosaico della Domenica
Qualche giorno fa, Juan, leader dei movimenti popolari soprattutto in America Latina, parlandomi al telefono mi ha comunicato che il giorno dopo sarebbe partito per la Colombia guidando e coordinando una delegazione che potesse monitorare il rispetto dei diritti umani e solidarizzare con i movimenti popolari e le persone che in questo momento manifestano in piazza e ricevono la repressione violenta della polizia e, adesso anche dell'esercito. Gli ho fatto presente che forse non sarebbe stato necessario recarsi direttamente in Colombia e che anch'io ricevo quotidianamente materiale informativo, video e prove della repressione nei confronti dei colombiani. Sarebbe ugualmente utile diffondere quelle informazioni, tentare di smuovere la comunità internazionale per fare pressione sul governo colombiano. La risposta di Juan è stata: "No, è necessario andare per 'poner el cuerpo'" che significa mettere il corpo. Mi sfugge il significato competo di quella espressione che intuisco in questa Domenica in cui celebriamo la Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Gesù. Nell'ultima cena, Gesù spezzando il pane non dice: "Questa è la mia anima" ma "Questo è il mio corpo". Condividendo il calice del vino dice: "Questo è il mio sangue", e non "Questo è il mio spirito". Dobbiamo interrogarci come Chiesa perché troppo spesso abbiamo squalificato il corpo senza comprendere che Gesù ci ha salvati dando il suo corpo sulla croce e offrendo il suo corpo in quella cena "per voi e per tutti". Per tutti, nessuno escluso. Anche per Giuda che da lì a poco lo avrebbe tradito. Per tutti, al di là delle appartenenze e delle identità. E mi chiedo perché quando in Parlamento si discute una legge che riguarda il corpo, l'orientamento sessuale, sentiamo il dovere di intervenire per difendere valori e principi, di impegnare la nostra voce autorevole e quando invece si discute di armi da acquisire o da impiegare o di legalità o si dibatte sulle misure contro la corruzione o sull'abolizione o meno dell'ergastolo o, ancora, sul lavoro, sembra quasi che la cosa non ci riguardi. E allora penso che questa Solennità del Corpo e Sangue di Cristo, del Corpus Domini, debba interrogarci anche su questa profondità. Questa festa non può essere angelica, eterea, poetica nel senso di disincarnata, perché al contrario è alquanto incarnata. Gesù ci chiede di mettere il corpo come ha fatto lui: "Fate questo in memoria di me". Essere presenti, farsi vicini, prossimi, stare insieme a coloro che soffrono, diventa importante. Vamos a poner el nuestro cuerpo, ci insegna Juan, ma soprattutto Gesù. Dalla tavola dell'ultima cena e, soprattutto, dalla croce.

 


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